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Normandia: un viaggio senza Tempo. Agosto 2017.
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15890332 Inviato: 17 Ott 2017 13:40
 

uoi quantificare la reale spesa a fine viaggio?
 
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15891068 Inviato: 18 Ott 2017 22:09
 

Miei carissimi tutti,

Mi sono persa. Un buco nel vuoto.
Pagine che so essere tutte nelle mie mani, tutte da scrivere.
Passaggi di paesaggi, dell’anima, che non so, come, de-scrivere.
Persa, dispesrsa, io mi trovo.

E fuori di testa mi toverete...

Kimo, certamente quantificherò la somma totale, la spesa economica è cosi semplice.
I numeri sono così lineari. Li ho persino tutti scritti. Devo solo recuperarli.

È la spesa emotiva che a tutt’oggi pesa, in questo viaggio.
Devo pubblicare ancora 6 giorni. Bretoni.
Non so quando, non so come. Ma, lo farò.

L’assurdo è che nel mio salto nel vuoto, “mi porto dietro” persino chi, qui su questo report, ci è già stato.
Più di un mese fa.

Mi scuso tantissimo.

Avrò pazienza di me. E voi, inermi, pure.
Anzi... Forse è persino meglio che io non vi racconti più nulla...
Altri sei giorni... roba da flebo... rotfl.gif

Un sorriso per tutti.
E grazie sempre per il tempo qui dedicato.

atram 0510_saluto.gif
 
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15942873 Inviato: 3 Mar 2018 22:33
 

Ritorno.
A scrivere. A lasciare ancora due righe. Forse a completare, il racconto di questa mia piccola Odissea... E così ho di nuovo tutto davanti agli occhi, le foto sul cellulare, le cartine, le cartoline, il diario di viaggio, ed il tablet su cui strimpello lettere che arrivano a voi stonate come al solito... ...

Soprattutto una cosa: la stagione motociclistica 2018 sta per cominciare. Vorrei davvero poter chiudere, per quanto possibile, la “scatola” 2017. Ma forse c’è stata così tanta roba, che faccio fatica a mettere il coperchio e riporre nello scaffale delle mie emozioni. Troppo materiale resta ancora da rielaborare.

Comunque sia... ecco un altro giorno: era quasi completo mesi e mesi fa. L’ho concluso e, come per gli altri giorni di viaggio, è permeato dai miei pensieri ed opinioni. In quanto opinioni, appunto, opinabili.

Grazie, a chiunque abbia persino ora i suoi occhi, qui. Sul grigio di un forum, che sa di asfalto e di gomme nere. Da moto.


VENERDÌ 18 AGOSTO DA CORSELLEURS A PERROS GUIEREC
Dolo de Bretagne, Canacale, Saint Malo, Dinard, CAP Frehel, Sable d’or dei pins, mi sono persa, forse sono passata da Lamballe, poi ritrovata a Paimpol, quindi Treguier e Perros di sto c@xzo….


Oggi comincia il viaggio.

Ancora tutto è guerra. Sporadica e non segnalata come in Normandia su cartelli di gabbiano di Overlord. Ma c'è, la seconda guerra mondiale, nelle bandiere, nei monumenti, specie a Saint Malo. Il resto è noia. Mista a boschetti, campi di pannocchie e oceano.

La notte è volata via, ho la sensazione che sia la prima notte del mio viaggio in cui posso dire di aver dormito. Anche se ha piovuto tutta il tempo. Quando esco dalla tenda, entro dentro un prato di gocce verdi. Non c'è il sole, ma sono lo stesso tranquilla. Oggi si cambia cartina: Bretagna.
Decido di prendermela comoda: ho voglia di una colazione con un te caldo e due biscottini. E poi questo camping è davvero accogliente nell’interno della sua reception-bar. È tutto curatissimo, divanetti, cuscini, piantine, tavolini di legno e tende raccolte alle finestre. Il bancone del bar lo adoro: ha sgabelli alti comodissimi e mi ci siedo sopra. Solo che sul bancone ci sono i giornali del mattino:“L’horreur à Barcelone”. Prima reazione: il gelo. Giuro. Ho avuto paura di me stessa. Era come se a primo acchito la cosa non mi riguardasse. Come fossi indifferente. Perchè se la cosa non ti interessa, allora non ti tocca. Non ne sei coinvolto. Distacco. Devo avere un meccanismo di difesa davvero contorto: mio fratello è lì in vacanza con moglie e figlie. Ci vanno spesso dalle parti di Barcellona. E sulla Rambla ci camminano un girono sì e un giorno no. E tutto è lasciato al destino che gioca a dadi con le nostre vite. Chi muore oggi in seguito ad un attentato? Chi sopravvive? Chi, ne sarà segnato per sempre? Le notizie atroci trafiggono come i fulmini su cui viaggiano. Non ho avvertito nessuna sferzata. Ma voglio sentire mio fratello, almeno su whatsapp. Era il loro giorno no: ci erano stati il giorno prima. Non mi rendo conto di quanto tutto sia pazzesco. E sono comunque contenta. Ma stranita. Sono di nuovo dentro la Guerra. E non è lo sbarco. È oggi. Il mio presente, il mio occidente, la mia Europa. Che combatte una guerra che io non conosco. Non capisco. Non so comprenderne le ragioni: gli obiettivi delle parti in causa. Perché certamente una meta da raggiungere ce l’avranno le persone che rivendicano gli attentati di Londra, Madrid, Manchester, Parigi, Stoccolma, Berlino, Nizza, Bruxelles, e chissà dove prossimamente. Ed io non sono capace di ragionare, non sono in grado di pormi domande a cui offrire risposta, lineare, se non vera, almeno veritiera. Ci sono confini geografici da abbattere di cui appropriarsi? Ci sono risorse da estirpare ad un altro Paese perchè il proprio versa in condizioni disastrose? Per cosa combattono gli attentatori di tutti i tempi, disposti alla propria morte? In cosa credono? Nella vendetta? Cosa non vedo? La guerra esiste da sempre: famiglie contro famiglie, tribù contro tribù, città contro città, popoli contro popoli. Intere Nazioni contro il mondo: la nostra Roma secoli fa, la Germania di Hitler qualche anno fa. Sarà la legge naturale del più forte? Legge della sopravvivenza? Cosa c'è che non so? Quante cose non conosco delle guerre in tutto il mondo? Chi ne paga le conseguenze sulla pelle? Io non sono niente, io non sono nessuno. So solo che a combatterle sono uomini e donne. E non automi. L’azione umana, per quel poco che so muove da una motivazione, intrinseca o meno, deve pur esserci qualcosa che mi motiva, mi dia la spinta, l’energia psichica e fisica, quel crederci che poi fa la differenza nel raggiungere o meno un obiettivo. Quel mettercela tutta… Essere appunto ben motivati. Ultimamente so che esistono se non i motivatori, gli incoraggiatori. Festival della banalità: personal trainer in palestra. Non immaginate quanti “Dai” io abbia ascoltato. E pensiamo che questo meccanismo in un esercito non esista? Se non fossero stati incoraggiati, quei soldati, ad andare Avanti, Omaha Beach sarebbe sprofondata in eterno. Ma lì, a motivare, era la vita stessa. Gli spari delle mitragliatrici tedesche probabilmente hanno avuto un certo ruolo. E mi viene in mente una testimonianza ascoltata al Museo della Resistenza della mia città: un reduce italiano della guerra sul fronte Russo. L’inverno, russo. Cosa non ha visto. Ed era un ufficiale. E la pistola la usava, sì, per sparare, accanto alle caviglie dei suoi soldati italiani a lui affidati che esausti si lasciavano abbandonare sulla neve, a morire, di freddo. E lui sperava, che quegli spari potessero svegliare dal torpore. Dal dolore di tutto. Sono incisive le sue parole, quando la ascolti, quella specifica parola ti rimane “Responsabilità. È la responsabilità che mi ha salvato. Ero responsabile della vita dei miei soldati”.

Per molti la resa. La morte. Chissà se nelle Università di psicologia nel mondo esiste un dipartimento che studia proprio questo: il comportamento del soldato. Sicuramente esiste. E chissà se la ricerca è libera oppure già influenzata alla base. Cosa chiede un governo democratico ad ogni suo soldato? Cosa chiede un governo totalitarista ad ogni suo militare? Chissà se esistono collaborazioni internazionali in merito… Non conosco nessuno e non so nulla dell’esercito delle Nazioni Unite. Delle missioni umanitarie, pur sempre con un fucile in mano. Qualcosa non mi torna. Cosa si combatte? Per quali valori si muore? Quali sono i reali interessi che io non riesco a vedere? O forse solo non ci credo: no lo credo possibile. Si uccide per “antipatia” più o meno religiosa? Sto di nuovo delirando. E non ne vengo mai fuori. So solo che lo stato di paura è una percezione, del popolo. A Torino sicuramente. Lo dimostrano i fatti accaduti qualche mese fa in Piazza Vittorio. Le mie stesse allieve mi hanno raccontato la loro esperienza personale: la loro paura, l’incapacità di controllarla. Io? Cosa avrei fatto? Non lo so. Proprio non lo so.

L’unica cosa che so è che sono qui, nella mattina bagnata del Camping Saint Michel. Volevo solo fare colazione. E cambiare cartina: Bretagna.

Ed è quello che faccio. Ripreparo di nuovo tutto. Sgonfia materassino, arrotola il piumino, ricompatta tutto nel borsone: i libri della Normandia li lascio giù ben nascosti sul fondo arrotolati dentro una maglia, non li voglio neanche vedere, tutto il resto a caso… kit cucina che non funziona più, kit bellezza che in realtà in me sarebbe tutto da rifare più-o-meno-quasi secondo i canoni patinati ed io ovviamente me ne strafotto, kit moto che non ho mai usato ma non si sa mai, più un mix di magliette lavate che non asciugheranno mai e naturalmente un boato di indumenti già indossati e quindi da lavare, tutti appallottolati in giro. Insomma ‘sta borsa amphibius sta cominciando a diventare una bomba ciccionissima… devo mettermi sopra a cavalcioni per chiuderla… Ma vedo che non sono l’unica a sclerare… pur sempre con serenità.

Un po più in là c'è una famiglia: lui e lei in una tenda e la figlia di circa 13-14 anni in un’altra. E due moto, italiane. Li ho semplicemente adorati. Moto vecchie, lei una stradale lui un endurone. Ed erano fantastici. All’unisono facevano, montavano, prendevano, caricavano, si aiutavano. Lei poverina aveva borse ovunque: serbatoio, laterali, sulla sella passeggero e zaino. Lui idem, più la figlia, ma lei senza zaino. Avercene in classe di ragazze che se gli chiedi a settembre come hai trascorso le vacanze ti rispondono “In Normandia in moto con mio padre e mia madre”. Grandissimi!

E in mezzo alla pioggerellina li vedo allontanarsi.
Bene, è il mio turno: carico tutto sulla mia motina, che secondo me comincia a patire acqua e umidità, l’accensione non è sempre fluida. Ma sono pronta. C’è una nuova cartina, ed io voglia di vedere un paio di cose: Saint Malò in primis.

Quanto merita Saint Malò. Tantissimo. Roba da alloggiarci e godersela anche la sera. É stupenda. Semplicemente meravigliosa. Arrivo che si percepisce subito di essere su un altro versante dell’Oceano, e la cosa mi piace. Avevo bisogno di allontanarmi da quell’altra zona. Quella di sofferenza ad ondate. Sanguinose. E qui é stupendo. C’è sole e mura di Fortezza, porto al riparo e spiaggia d’infinito. E quella foresta. È stata la prima cosa che ho fatto: camminare sulla spiaggia fra tronchi frangiflutti. Qui l’Oceano urla la sua potenza alle case in inverno, che credono di arginarlo, standogli di fronte. Qui l’Oceano ricorda agli uomini il loro posto nel mondo: sei uno zero. E sei solo di passaggio. E muschio e nodi di legno fra sabbia e sole.
Cammino tranquilla nel centro storico, imbardata di giacca e zaino, ma due passi qui li fai proprio volentieri: è festosa. Negozietti, cartoline che profumano le onde del mare e sciano le barche a vela su carta stampata... Sì... si incomincia a sentire un’altra aria... fresca... Ed io ne ho bisogno!

Ritorno su motina... e via verso Cap Frehel. Rido, durante l’inverno avrò visto la foto sulla guida del Touring Club 265 volte ed ogni volta dicevo “Qui ci passo sicuro”... Eh... chissà da dove l’hanno scatta quella foto... È stato un delirio arrivarci, pagare l’ingresso, parcheggiare la moto, scendere e farsi 456 km a piedi... in tenuta motociclistica: una rottura di cogli0ni senza senso. Detto ciò, però, che bello é l’Oceano? Quel Blu è penetrante. Ed i fari? Quanti ce ne sono qui in Bretagna? Si potrebbe organizzare un itinerario motociclistico solo per quelli... C’è un vento pazzesco, giustamente, e ho voglia di proseguire il viaggio. Ho voglia di vedere altro. E devo decidere: costa oppure entroterra? Sapevo che della Bretagna sarebbe stato molto interessante anche il suo entroterra, boschi e paesaggi mistici. Ma boh... Seguo la costa. Volevo vedere le rocce di granito rosa. Ed è quindi lì che mi dirigo. Un po’ ad minkj@m a dire il vero. Mi sono persa 8 volte....

Ma che bello è perdersi... Sei in vacanza, é ancora giorno, e vaghi a caso. Fino a quando dici “Ok, per oggi va bene così”. Ed infatti ad una certa decido di cercare un campeggio. E pensa il Garmino mi dice che ce n’è uno vicino, ma faccio la “noiosa”, ne voglio uno sul mare, a due km di di distanza. Non lo avessi mai fatto: 3.456 curve fra sali e scendi e, soprattutto, un traffico della m@donn@. Sono tutti fermi. In coda. In salita. Voglio morire. Sono stanca, pesa la moto, pesa la giacca, pesa tutto... e finalmente mi infilo in un rigolo di strada per dirigermi al c@xxo di campeggio a Perros Guierec. Affaticata, monto la tenda, e nel mentre ho capito perché c’era tutto quel casino: sento il suono sordo di un motore, sempre più forte e vivo sulle orecchie. Era un aereo. Anzi, più e più aerei. Quel giorno c’era una manifestazione aerea: strade chiuse e bla bla bla. I soliti imprevisti. Più che mai: non prevedevo di immaginare cosa potessero provare i soldati al suono degli aerei e certo, delle loro mitragliatrici. Si rabbuia il viso. Sono stanca, ho fame. Via a fare due passi, incantevoli su quella spiaggia. Forse un po’ vip e snob. Non è il mio posto. Ristoranti di pesce da capogiro. Cerco qualcosa alla mia portata, e la trovo. Una paninaeria favolosa: una mezza baguette farcita di pomodoro e insalata e zucchine. Me ne faccio 3.
E poi comincia a fare freschetto. C’è aria. Voglio tornare in tenda. Voglio dormire. Vicino alla mia moto. Quasi un’amica. La mia migliore.
 
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15943249 Inviato: 5 Mar 2018 14:20
 

non mollare!
 
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15943388 Inviato: 5 Mar 2018 20:22
 

SABATO 19 AGOSTO DA PERROS GUIEREC A QUIMPERE
Pleumanach e le rocce di granito rosa- Lannion- Morlaix bellissima barche a vela e canale - Plougoulm (credo) - Plouescat - Plouguerneau - Praticamente la Cote de Legendes tutta stupenda - Saint Michel - Lonnillis - Ploualdemezau - Landunvenz - Argenton - Brest bruttabrutta - Quimper stupenda. Campeggio campeggio comunale ( ben 6 € ...)


Oggi comincia il viaggio.

Fa un freddo pazzesco. È mattino ed é tutto bagnato. Ha piovuto, sul prato, sulla moto, sulla tenda. Con me dentro... Quale novità. Via... voglio andare via da qui. E accendo la moto, che non parte più al primo colpo. Poverina. Forse ne ha già passate troppe, da subito. Forse troppa acqua, credo. Non lo so, sono sempre un po’ giù di tono quando devo accendere la moto sotto la pioggia. Ma comunque poi, funziona e quindi voglio la “Cote de Leggendes”... Ha un così bel nome: lo adoro. Desidero un po’ di magia, un po’ di morbidezza, non ho voglia di traffico, ieri é stato un casino. Voglio calma. Magari anche nel paesaggio. E la trovo. Che meraviglia... A partire dalle rocce di granito rosa che raccolgono i primi raggi del sole con leggera sonnolenza velata. Sonnecchia ancora questa spiaggia di Pleumannch, ma io riesco a rapirne alcuni profumi di intenso colore dentro il mio cellulare: scatto fotografie ad alghe dalle forme e dimensioni a me sconosciute. E sempre mi entusiasma la vita sopita delle spiagge oceaniche: conchiglie e granchietti, apparentemente così lontani dal mare. Ma loro lo sanno. Lui, l’Oceano, viene a prenderseli quando vuole. Come fosse un’astronave immensa e facesse salire a bordo i suoi passeggeri, lasciati in escursione per alcune ore sulla terra... Forse persino io sono un’aliena. Lasciata sul Pianeta Terra in eterna escursione. Termica di sicuro... Le strade sono ancora umide, ma viaggio tranquilla: il traffico quasi inesistente mi rilassa ed il sole, pian pianino, inizia a brillare l’asfalto. Mi ritrovo così in un luogo incantato di vento, nuvole e sole. E vuoto il blu. Immenso laggiù. Non scorgo barche a vela, ma ci sono due altalene sulla spiaggia immensa dorata che mi rapiscono: a Saint Michel en Greve, sono sull’Oceano. E sventolano fiere le bandiere: quel così trasudato blu-bianco-rosso del tutto francese e quel bianco e nero a strisce, con riquadro “gigliato” bretone. Bretoni... Sono gente orgogliosa, rivendicano ferree le loro origini e la loro indissolubilità fin dall’epoca romana... Sono per lo più loro a rispondere al richiamo del Generale De Gaulle. Qui è alto il senso della patria, e ancora di più il senso di appartenenza alle terre: Armor e Argoat. L’Armor è la costa, la “terra affacciata al mare” e l’Argot è l’entroterra, la “terra dei boschi”. Qui i cartelli stradali hanno tutti i doppi nomi: francese e bretone. Il che per me diventa ridicolmente complicato: imposto il navigatore di volta in volta, sperando non mi abbandoni, direttamente dalla mappina sulla borsa da serbatoio. E proseguo, fino a quando mi ritrovo in un altro posto del tutto inaspettato.

E per me é sempre tutto sconosciuto: rarissimo che io guardi e programmi i percorsi da casa con tanto di google map. Meno che mai l’ho fatto per la Bretannia. Avevo visto, questo sì, un po’ di Normandia. Per rendermi conto più obiettivamente del senso geografico dello sbarco. E pure per vedere a grandi linee se c’erano campeggi. Ma in realtà spesso i miei viaggi sono un po’ a caso. Ed è bello perché ad un certo punto non capisco più se costeggio un fiume o se é il mare che rientra fino in mezzo alla Bretannia... Praticamente sono a Morlaix. Ed è stupenda. Merita. E alla fine, è l’ Oceano qui, che entra a far visita alle montagne, come se avesse voglia di una vacanza. Un po’ di quiete, fra palazzine, ponti e ormeggi di barche stanche appoggiate sulla riva del canale salato...
Bene, mi fermo anche io: pausa caffè. Incredibile, incomincio ad apprezzare il caffè lungo francese in tazza grande.
Ho la moto davanti, bardata di roba. Ci appoggio casco e guanti, paraschiena e giacca. Un tipo mi guarda fisso da un po’, poi mi chiede sorridendo da dove vengo. Quanti chilometri ho fatto. Gli rispondo “Je sais pas”. Ed è vero. Io non lo so. Non ho idea di quanto abbia viaggiato. Dovrei accendere la moto, vedere il quadro digitale, schiacciare qualche pulsante... già troppo difficile. L’ultima cosa che mi può interessare sono i km percorsi. Ci sono. E so solo che comincio a sentirli. Il tipo sorride quasi spiazzato dalla mia risposta e mi augura “buona strada”... E lo sarà.
Questo tratto della Bretagna l’ho amato. Stupendo. E proseguo probabilmente verso Brest. Ma in un qualche modo sulla via che fiancheggia la costa. Ed è così che è di nuovo magia. C’è un sole soffice e sono accanto a me lievi adagi di terra smeraldo ad accarezzare quel blu cobalto di moto ondoso perpetuo: brilla tutto. Persino le casette tipiche grigegrige che proprio non vogliono sfilare in colori sgargianti, sferzanti, si illuminano di luce, umile. Le adoro. Sono perfette in questa Natura oceanica in cui mi sento completamente immersa. E con la moto percorro una stradina che mi porta il più possibile verso quelle lingue di terra, che hanno preferito fare amicizia col mare piuttosto che rimanere aggrappate alle montagne... A dire il vero, sarebbe bello scendere dalla moto e continuare a piedi per ore. Ma no, non lo faccio. Desidero continuare a vagare in moto. E ci riesco, benissimo. Ho visto paesini dolcissimi. Paesaggi nuovi. E verdissimi. E porticcioli microbi, e barche sedute sulla sabbia che si chiedono speranzose “ma quand’è che arriva?”, allacciate alle boe che anch’esse ferme rassicurano “tanto arriva sempre”, la marea. Paiono come bambini che danno la mano alla mamma per non perdersi nel mezzo della vita, in attesa di un evento... Magari anche solo l’arrivo del sorgere della Luna. Sono carinissime le barchette messe così, quasi buffe.

E a Brest, ci arrivo. Fra un sorriso ed uno scatto fotografico rubato ad anfratti in posa apposta per me... ...

Brest: orribile. Non mi é piaciuta neanche un po’. Niente di niente di niente. Cittadina triste, cubica, grigia e fredda. Freddissima. L’unica nota caratteristica è stata una ragazza con le sue amiche che passeggiavano in centro: addio al nubilato. La fanciulla indossava il tipico abbigliamento tradizionale femminile bretone: abito nero, grembiule bianco e cappello alto bianco, con due strisce di velo. E un bel paio di All Stars. Giovani bretoni e tradizioni... Forse qui le vivono con più intensità. Fatto è che scappo via. C’è un’altra meta che voglio raggiungere. Quimpere.

Non mi ricordo minimamente che strada faccio. Però il mare non c’era. Quindi seguo qualcosa verso linee più dirette e veloci che fra boschi e campi di pannocchie mi lasciano sorpresa: non ci posso credere, ci sono anche colline e salite e discese e tratti tutti curvosi. Quasi mi sono dimenticata come si fanno le curve (...anzi, per la verità non lo so ancora adesso, ma sccccchhh... non diciamolo a nessuno...). Ci impiego solo due anni per capire dov’è il campeggio, che è su una collinetta cui ci si arriva dopo aver attraversato una stradina brutta e buia, pure col sole! Approdo alla reception che la moto si spegne quasi da sola. E c’è un gruppetto di ragazzi che mi guarda e guarda la moto. Ed io rido. Stessa domanda del tipo di Morlaix. E a sto giro dico che ho fatto 1000 km o forse 2000 (che c@xzo ne so!), quelli sono contenti della risposta ed io mi monto tendina. Altro giro altra corsa...

Quimpere, era l’unica meta della Bretannia cui davvero tenevo particolarmente toccare. Attraversare. Non sapevo nemmeno della sua esistenza, fino a quando sono andata al cinema a vedere un film-documentario sulla musica e sul suo potere “Yo-Yo Ma e i musicisti della via della seta”, sulla locandina in altro c’era scritto “per cambiare il mondo devi fare un po’ di rumore”. È il racconto, di un’ idea che è un valore: l’uguaglianza. È la testimonianza diretta di uomini e donne, in primis il violoncellista Yo Yo Ma, che credono in un linguaggio comune: la musica. Che non ha confini. E la musica è il linguaggio delle emozioni, e le emozioni sono universali. La musica è universale. Chi può non essere d’accordo? Nel film-documentario mi avevano colpito le narrazioni, soprattutto sonore, delle storie di vita dei musicisti stessi. Uno di loro ha vissuto la guerra. Iran. La sua musica era struggente. Nessuna parola avrebbe mai potuto esprimere meglio quella sua sofferenza. Che evidentemente, è stata sorbita fin nelle mie ossa. Esattamente come la musica suonata di forza e vigore di una ragazza, di Quimpere. Suonava una cornamusa. Potentissima..

Quimpere é graziosissima. Merita, un bel giro a piedi, di giorno e di notte. Io ormai mi sono persa il giorno e le mille vetrine fra viuzze di graticcio e bandiere bretoni. Ma fa lo stesso, ho solo più tanta fame. Il camping gas mi ha abbandonato da un pezzo, ma amen. Voglio un piatto di pasta. E lo mangio seduta di fronte alla chiesa cui quella ragazza bretone risuonava nel film la sua energia. Potrei ancora sentirla intrisa sulle pietre della facciata. Mi godo le mie tagliatelle ai funghi, la mia buna birra, pago e poi passeggio. E adoro questo paesino. Riflessi di fiume e canali, luci di lunapark così di schiamazzo d’estate, e luci e sedie e tavoli di dehor distratti a bere drink... e un supermercatino aperto di sera in pieno centro. Bene: almeno la colazione per domani me la compro!

E via ancora a piedi, verso il campeggio. Non prima però, di, ancora, una volta ancora, avere il viso di pensiero. Un statua. Un bronzo. Jean Moulen e il suo cappello. La via intera è dedicata a lui. Capo della Resistenza Francese. Arrestato, torturato, morto nel 1943. Nemmeno una carezza, questa volta, su quella statua. Le odio le statue. Mi fanno male. Come quelle dei soldati americani di Utah Beach, cui avrei voluto abbracciare. Scaldarne, forse, il cuore di metallo. Ora, il mio.

Non vedo stelle. É buio. Torno in campeggio. Chiudo la tenda e dormo. Sono stanca. Di me.
E della pioggia che di nuovo sento sulla tenda.
 
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15943417 Inviato: 5 Mar 2018 22:18
 



Un po’ di colore...
Saint Malò e la giornata di venerdì 18 agosto...

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15943425 Inviato: 5 Mar 2018 22:27
 

R1_1998 ha scritto:
non mollare!


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15943783 Inviato: 6 Mar 2018 23:52
 

DOMENICA 20 AGOSTO DA QUIMPERE, a fancul0.

Oggi comincia il viaggio.

Inutile dirlo, è tutto bagnato. Ho dormito male, ho avuto freddo, nonostante indossassi la giacca/piumino comprata a Charlsville, il sacco a pelo e la giacca da moto sopra. Fuori è grigio. Vorrei fare una doccia calda ma ho troppo freddo per immaginare di spogliarmi. Riesco solo a ritapparmi un attimo ancora dentro la tenda e sgranocchiare i miei biscotti comprati ieri. Poi però, lo so, devo muovermi. Devo “levare le tende”. E ormai sono avvezza allo smontaggio: tutto organizzatissimo. Sistemo il carico sulla moto, mi copro per benino e parto. A cavalcioni della mia destriera saluto Quimper, in questa domenica tanto silenziosa quanto solitaria.

C’è qualcos’altro che è da vedere: mi avevano consigliato di passarci: la Point du Raz. È un luogo magico. La strada per arrivarci è un’incanto. Paesaggi collinari, campi e a talvolta lontano il mare. È un tratto di terra che vuole pungere l’Oceano. Come a ricordargli “Hei! Guarda che ci sono anche io”! È un faro. Militare. E se percorri questa strada di mattino, dopo la pioggia, hai un cielo plumbeo su di te che avvolge tutto di una strana luminescenza. E all’improvviso si sdraiano per te, due tornanti che disegnano la colina, svelandone tutta la sua dolcezza. E senti il profumo d’Oceano. Salsedine. Forse è anche quella che lascia impasti di colore sapido su tutto. Anche sulla moto. Ma è così bello qui in questo momento, persino così, sul bagnato. È quiete. Solo, non capisco, perché per godermi un pezzo di strada, un panorama, devo “subire” di tutto: intemperie in primis. E comunque, su ci arrivo. E parcheggio la moto. E c’è poca gente. Negozi per lo più chiusi. Persino il bar. Accipicchia, volevo qualcosa di caldo. Amen: faccio razzia nei due negozietti aperti: cartoline, segnalibri, un’agenda, matite, penne... E poi cammino, verso il faro. E cammino ancora. Ancora. Continuo a camminare. E mi sto rompendo di camminare. Ma quand’è che si arriva a sto faro? E comincia a piovere di nuovo. Ma c@xzo aveva smesso! E niente. Mi prendo l’acqua mentre cammino. E vedo ‘sto faro. E odio ‘sto faro: sento un profumo di caffè da pajura arrivare da una finestrella della cucina, militare, tanto che vorrei bussare ai militari e chiedere un sorso di caffè, militare. Ma niente... Per un attimo ho invidiato i soldati della Marina Francese... In quale posto infinito sono finiti? Beati loro... Vivono dentro un faro... Situato in un luogo fantastico... Naturalmente. Ma loro, i militari, sono al caldo. Molto caldo. E li odio...
Ma nonostante tutto, prendo il cellulare e immortalo la Point du Raz. E però ho freddo. E c’è un vento che mi spazza via. E so che devo camminare un boato prima di tornare alla moto. E ci arrivo. Sono davanti a lei: fradicia. Pure lei. Morale: alle 12:48 del 20 agosto 2017, decido di tornare a casa. Basta.

Non ne posso più. Del freddo, della pioggia, del vento, del grigio, dell’Oceano, delle nuvole, di sta c@xzo di acqua che sento fin dentro le ossa. Ho male dappertutto: schiena, testa, cervicale, tensione all’avambraccio destro. Carica, scarica, monta, smonta, inventati un pasto. Anzi, ricordati di mangiare, non parliamo poi di bere. Stop: ne ho i cogli0ni pieni. Ho tutto il tempo per spararmi un bel po’ di chilometri e arrivare a Clermon-Ferrand, passando da Nantes. Non si può non passarci... Bene. Sono già più serena, mentalmente. Ci sarebbe tutto un tratto marinaro/velistico da fare in Bretannia, ci sarebbe tutto l’entroterra da fare in Bretannia, ci sarebbe la Foresta di Painpall, la dama del lago e la leggendaria spada di Excalibur... Ci sarebbe che in realtà realizzi solo che, Basta. E te ne vuoi solo andare via. Non so se ti è mai capitato in un viaggio in moto. È semplice, fulmineo, folgorante, te ne freghi di ciò che avresti voluto, del “sarebbe stato bello se..”, di colpo, hai nuova meta: casa. E non ti interessa neppure se avresti potuto girare ancora per una settimana. E continuare a vedere chissà cosa. No, non te ne frega più un c@zxo, vuoi solo avvicinarti al tuo conosciuto. Al sicuro. Alla Provenza. Le Alpi. Almeno le Alpi.

Ed é così che faccio. Scelgo una via veloce per arrivare a Nantes e poi proseguire. Una specie di grande tangenziale. Poco traffico, è domenica. Mi fermo per fare benzina. Le solite operazioni di rotine: spegni la moto, metti il cavalletto, sposta la borsa, rimani rigorosamente sulla moto, tienila in equilibrio, prendi l’erogatore,fai benzina, posa l’erogatore, scendi dalla moto, vai a pagare, torna sulla moto, accendi la moto e parti. Accendi la moto. Accendi la moto. Accendi la moto. Riprova: accendi la moto. La moto non si accende. La mia Kawasaki ER6N NON si accende. Nemmeno più il quadro. Nessun cenno di vita. È LA FINE. Voglio morire. Sono da sola, in una tangenziale, lontana mila km da casa, è domenica, non c’è un c@zzo di nessuno e la moto non funziona. Proprio oggi. Oggi che non vedevo l’ora di macinare km.

Voglio fare una cosa sola: piangere.

A malapena a piedi riesco a spostare la moto dal distributore. E poi, non so che cosa fare. Sono arrabbiata, delusa e stanca. Provata. Mi siedo. Fisso il vuoto. Realizzo che ho un’assicurazione. Magari chiamare l’assistenza è utile: stoc@xzo. Problemi di linea telefonica. La voce francese chissà cosa dice. Eppure la sim è stracarica di euro. Almeno quello lo avevo pensato: vurrja mai avere un problema e non poter chiamare nessuno? Non esiste. Cellulare scarico? No. Cellulare di merd@, penso io. E intanto mi guardo attorno, tir e camion. Macchine. Camper. Pensiero al volo: ma ‘sta sera dove dormo? Mi monterò la tenda qui? E cosa risolvo? Che la polizia mi denunci per vagabondaggio... se non peggio da passanti vari... Sono fusa. Esagerata e fusa. Devo smetterla di pensare stronz@te. Devo fare qualcosa. Poi realizzo: un minimo di francese lo parlo. Posso sempre entrare in questo bugigattolo di chiosco dove ho pagato la benzina e raccontare il fatto. E, parlare con la commessa e chiedere di richiedere un carroattrezzi, telefonicamente. Ed è quello che faccio. Riesco a parlare al telefono persino con chi verrà poi a prendermi. Ringrazio tantissimo la ragazza per la sua gentilezza. E attendo. Un po’ sconsolata.

Il carroattrezzi arriva, è enorme. Fin troppo per la mia motina. Il tipo prova anche lui ad accendere la moto, ma ovviamente, non funziona. Mi chiede di sganciare tutto. Togliere tutto. Borsone sulla sella, tenda, borsa da serbatoio. Abbassa lo scivolo del camion e mi chiede di aiutarlo a spingere la moto. Io ci provo, ma non ne ho la forza. Non ho più la forza di niente. Lo capisce. Scende giù dallo scivolo e lo tira su elettronicamente. Ed io sono così, là sopra, a reggere la mia moto. Vuota di rumore. Come me. Mi sento vuota. Spersa. E nel mentre arriva una banda di motociclisti. Allegri dell’inizio delle scorribande... Mi guardano come si guarda un cane bastonato. Sto malissimo. Ma all’evidenza puoi fare una cosa sola: arrenderti. Salto giù dal camion. Sono tristissima. La mia moto è legata, ferma. Spenta. Sono spenta pure io. L’ultima cosa che avrei potuto immaginare potesse accadere nel mio viaggio. Quest’altro, imprevisto. Dico poche cose al tipo che guida verso il garage che mi chiede che giro ho fatto. Gli rispondo: “Torino, Annecy, Belfort, Colmar, Strasburgo, Charlzeville, Dunquerke, Calais, Fecamp, Etretat, Honfleur, Sword Beach, Juno Beach, Gold Beach, Omaha Beach, Utah Beach, St.Lo, Le Moint Saint Michel, Saint Malò, la Cote de Granit Rose, la Cote des Leggendes, la Point du Raz”. Rimane in silenzio, interdetto, ed esclama “C’est vrai?”, al che avrei voluto rispondergli un italianissimo “f0ttiti”. Ma in me c’è ancora parvenza di educazione e gentilezza e rispondo solo “Oui c’est vrai”. La verità é che persino io nell’elencare i luoghi, non riesco a capacitarmi. È tutto un delirio. Ed il massimo arriva quando il tipo mi avverte che lunedì i negozi sono chiusi. E che se il problema è la batteria, dovrò aspettare. L’unica cosa che mi ricordo è una sorta di mia risata: isterica.
Arriviamo al Garage, che praticamente si trova fra snodi di tangenziali: in culandi@. Nei pressi di Vannes. Un meccanico del garage prova con un macchinario a misurare qualcosa della batteria. Che non risponde. Morta. Niente. La moto non si muove di lì: almeno per una sera sarà al coperto. Smontano la batteria della moto. Me la consegnano ed io la prendo come fosse un organo vitale... Devo trovarne una uguale. Mi sembra una cosa impossibile. Perché é così, quando sei stanca, fisicamente, mentalmente, svuotata di ogni energia, la percezione del problema è immensamente sfalsata. Tutto é irraggiungibile. Inarrivabile. Infattibile. Pesante. Pure contattare la mia assicurazione è un’impresa: nemmeno la segretaria dell’ufficio riesce a comunicare con loro. E, naturalmente, questi signori francesi che lavorano di domenica, vogliono essere pagati. Incominciano a spazientirsi. Tiro fuori la carta di credito. Sono di nuovo tutti più sorridenti. Soldi, quanto fanno i soldi? Fanno la differenza. Ecco cosa fanno. Non amo la carta di credito, preferisco il sistema “compro ora, pago ora”. Eppure, in questo caso, è stata fondamentale. Il motto è “Mi serve adesso, pagherò poi”.

E se pago 150€ di carroattrezzi, credo proprio che ci faccio saltare fuori anche una notte di albergo. Bookingcom é utilissimo. Ne voglio uno vicino al Garage. Lo trovo, mi ci accompagna un tipo col carroattrezzzi. Sono esausta. Vestita da moto. Senza moto. Senza me.

Credo di essere entrata dentro la stanza con una sola idea: voglio spogliarmi. Di tutto. Voglio una doccia calda. Di ore. Voglio mangiare. Ho fame. Ed è pomeriggio inoltrato. A dire il vero l’unica cosa che ho fatto è stata bermi una lattina di birra. Appoggiare la batteria sul comodino, togliermi almeno giacca e pantaloni e sdraiarmi a caso sul letto. Sono ko.

Non so per quanto tempo io sia rimasta immobile. Forse ho dormito. Non lo so. So che ho avvisato mio padre, che non ci poteva credere. Ed era dispiaciutissimo. Ma mi aveva rincurata: “Cambi batteria e trona tutto a posto. Dai”.

Quella doccia calda poi me la faccio. Spettacolo. E vado pure a mangiare al ristorante dell’albergo: spettacolo. O almeno per me: insalata, farro, cus cus, pomodori, olive, carote, zucchine, gaspacho, mais, insomma la mia buona, nutriente, sana, cucina vegosa. A volontà! Mi alzo almeno un paio di volte..

E poi, mi trascino verso la mia stanza. Per una notte dormirò fra lenzuola fresche, un materasso vero, e mura. Che se piove non me ne frega un c@zzo. È tutto buio. La serranda giù e la porta ben chiusa. Sprofondo fra i cuscini in un letto che dovrebbe contenere due persone. Ma non ho voglia di questi pensieri. Sto già abbastanza male così.

Chiudo gli occhi. Chiudo il mondo. Fuori.
Forse, mi addormento.
 
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15944479 Inviato: 9 Mar 2018 0:36
 

LUNEDÌ 21 AGOSTO FERMA A VANNES

Oggi comincia il viaggio.

Due. Se sei in due succede che potrebbe essere tutto diverso. Se viaggi con un amico motociclista, succede che magari sali dietro sulla sua moto e amen. Continui a goderti la vacanza. Anzi, il fermo obbligato diventa un modo per prendersi un giorno di assoluto relax. Magari ti fai un giro in mattinata a Vannes, due foto, un pranzo, un bagno. Poi, sì, porti anche la tua batteria morta in un centro che ti ha indicato il personale del Garage. Ci vai in moto accompagnata dall’amico, preghi che la batteria non sia da ordinare, scopri che sì ce l’hanno ma è da caricare per ore... E magari, quelle ore, le passi in girula con l’amico in moto, senza bagagli e casini vari. Roba tipo a zonzo....Poi torni a prenderti la batteria e la porti al Garage, dove la tua motina non aspetta altro che ritornare in carreggiata. E se ci fosse ancora da aspettare per la ricarica, zero problemi: tanto saresti con l’amico. E in due tornereste persino in albergo, ognuno in sella alla sua moto. E la sera fiesta per l’errina che parte.. la vacanza che riprende...
Tutto questo SE, si é in due. Perchè se sei in due, potrebbe capitare che la percezione della gravità del problema, cambi. Parecchio. Qualsiasi cosa, qualsiasi problema, probabilmente lo sentiresti tuo, ma saprsti che potresti contare sull’altro. Che ci sarebbe e diventerebe un valido aiuto, una buona presenza. In due, in moto, potresti condividere le strade ed i paesaggi, i pranzi o le cene, le chiacchierate e certo le risate. E, attenzione, non per forza la tenda o la camera d’albergo. In due si potrebbero scegliere le mete sulla cartina, persino tratti di racconti di pezzi di vita. È sicuro: due è un gran bel numero. Rappresenta un buon sostegno, almeno pratico. In moto, molto pratico. Se non emotivo.

Ma, io, qui, sono da sola. L’ho scelto. Non sono in due. Meno che mai in gruppo. Eppure, loro ci sono. Lontani qualche mila chilometri, ma ci sono: sono gli amici motociclisti. E cammino sulle loro parole dentro un cellulare. Sono loro che mi trasportano dentro la mia moto, mi chiedono, anche, come sto. Mi consigliano, ridono e scherzano, mai e mai ancora, deridono. Il massimo é leggere un particolare messaggio “Ma che è successo di nuovo?”... Quel “di nuovo” dice tutto... Dice pure che ho dormito di me**a. Pensieri e preoccupazioni varie. Uno scazzo a palla. Mi rincuora la colazione: 2 kg di baguette con marmellata e te caldo e caffé e fette biscottate e ancora pane e marmellata. E spremuta finale d’arancia. All’inizio volevo andare a piedi al negozio, tanto apriva lunedì pomeriggio. Poi ho guardato il cielo, ero nera: un sole che spaccava le pietre. Dunque no: 3 ore di camminata a piedi con la batteria sulle spalle sotto il sole con casco e guanti, anche no. Ma che c***0 dovrò espiare mai, eh? Scelgo il taxy che mi accompagna al negozio delle batterie: naturalmente tutto in cul@ndia. Non un negozio nei dintorni, non un bar. Nulla. Area industriale. Mi fa effetto il tragitto. Qualcuno guida per me, ed é un servizio che pago.

Nota positiva da subito: dentro il negozio è parcheggiata una moto, o meglio un pulman, il proprietario bretone-inside ha tanto di bandiera a strisce nere e bianche con su lo stemmino “batterie” sulla moto.... E per fortuna non devono ordinare la mia batteria: ne hanno una compatibile in casa. Devono solo caricarla di acido. Che credevo fosse acqua e nella mia testa mi sono detta “Ma c@xxo, l’acqua ero in grado di versarla da sola”.... Ho solo capito che la mia batteria era a gel (per quel che me ne intendo, per me potrebbe essere pure quello dei capelli), e la loro era ad acido (...so nulla).

So che rimango dentro il negozio per ore, col mio casco, e la borsa da serbatoio. Accerchiata da batterie di tutti i tipi. E c’è un salottino da esterni all’interno... Sfoglio una rivista: vela. Adoro le barche a vela, però non sono mai stata sull’Oceano. E questa zona della Bretagna sapevo parlasse la lingua del vento, quella che accarezza timoni le vele. L’articolo s’intitola “Le vrai chic italens”. Il giornalista apre con “Y’a pas a dire, ils sont forts ces Italiens!” e fulminea penso “Porca troja se sono forti: guarda me!”. E poi rido. É tutto surreale... Ma é bello sentire sapore dello stile italiano persino in uno stupido articolo di una rivista sportiva francese. E la batteria è pronta. O almeno una parte. Pago e mi dicono che deve caricare ancora. Mi chiamano un taxy e mi augurano buona fortuna. Che forse ne ho un po’ bisogno...

Arrivo al Garage, ringrazio l’ennesimo taxista e mostro la nuova batteria. Un tipo la prende e le mette due robe e una specie di monitor... Pare stia caricando il cuore della mia moto... Intervento chirurgico... Io sto male: dice che ci vogliono ore. Non ci posso credere. È lunedì, e nella zona commerciale/ industriale é tutto chiuso. Vago a caso. Fino a quando non trovo un posticino meraviglioso che vorrei vicino a casa mia: un ipermegagalattico centro di articoli per artisti. C’è di tutto, dai pennelli ai colori per dipingere, dalle cartoline ai lavori per le candele, dalla creta e argilla alla carta velina, al cucito piuttosto che decopupage. C’è la carta, io amo la carta, ce n’è per ogni tipo, ogni colore, ogni dimensione. C’è che mi perdo. E scatto foto e compro cose per forza piccole. Mamma mia quanta roba bella. E nemmeno cara... E sorrido già di più.
Continuo la passeggiata, adesso c’è un negozio tipo “mediaword”: mi innamoro di un barbecue a pallina, somiglia ad un’astronave. Lo avevo visto al primo campeggio ad Annecy. Mi sembra una vita fa. Quando la moto, aveva già dato dei problemi. Ed io proprio non immaginavo il seguito. Nel negozio riesco pure a ballare: indosso delle cuffie spettacolari da 300€ sul banchetto prova e ascolto ripetutamente 4-5 brani. E amo la musica. E chiudo gli occhi. E non esiste più niente e nessuno. E mi muovo. E poi però li riapro, gli occhi: un po’ di disagio... Qualcuno stava guardando. Ma chissene, se solo sapessero, capirebbero. Mentre invece io, non capisco perché il tempo non passi mai. Mai. Che lentezza. Che noia. Trovo un burgher king: patatine e cocacola. E poi torno verso il Garage. Verso la mia moto. Le ore sono trascorse. È l’ora di sentire il mio motore. Quello semplice e umile, della mia Kawasaki ER6N.

Sono al Garage, la batteria è al suo posto. Giro la chiave, schiaccio il pulsante dell’aviazione. Si accende. Accelero. Funziona. La mia meraviglia è tornata in vita! Sono felice come non puoi immaginare. Salto di gioia e quasi abbraccio il meccanico. Che mi augura buona fortuna... Comincio a pensare che devo averlo scritto in faccia: “sfigata”...

Sono circa le sette di sera, monto in sella alla mia moto, che mi è mancata un boato, e torno all’albergo: parcheggio davanti alla mia stanza. Cena veloce e poi preparo i bagagli. Che domani voglio partire presto presto. Voglio arrivare assolutamente a Clermon Ferrand e se possibile oltre.

Prima di andare a dormire controllo ancora che la moto si accenda. É da pazzi, ma lo faccio. Chiave, pulsante. Parte. Breve accelerata leggera. Spengo tutto. Sorrido e le ladvio una carezza. Torno in camera, guardo il letto vuoto e penso che i così detti letti “matrimoniali” sono strani. Sono la persona più lontana del mondo al matrimonio. “Grande letto unico” mi piace di più.

Mi accuccio tranquilla sotto le coperte che apprezzo una cosa che va bene. Altro che tenda. Mi godo quest’ultima notte d’albergo. Una pausa, seppur forzata, forse era necessaria.

A volte capita. Con chi crede di essere un caterpillar. È necessario che qualcosa si rompa in te, si spezzi, per fermarti. È l’organismo stesso, tutto il corpo e tutta la mente, che ti comunica che così non va. Non va più bene. I segnali nel tempo li ha lanciati, ma tu non li hai mai colti. Non sapevi leggerli. O forse, non volevi. E allora il corpo si ribella. In un qualche modo, una parte di esso si ferma. Non funziona più. Manda a putt@ne tutto l’equilibrio, di ogni tipo, che credevi esistesse. E ancor peggio che credevi di poter controllare, fuori e dentro di te. In modo più o meno eloquente il corpo ti sbatte in faccia la realtà. Che è poi l’unica strada. La verità è sempre e solo l’unica via di uscita. Specie nelle relazioni umane.
In merito alla verità, un girono chissà, scriverò un libro. E farà male.

Chiudo gli occhi, sono stanca.
La mia moto è di nuovo vicino a me.
Potrei quasi volerle bene.
 
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15944615 Inviato: 9 Mar 2018 12:19
 



Giornata del 19 agosto... Morlaix, le alghe, l’Oceano che brilla, e le casette d’incanto bretoni...
Meravigliosa la Cote des Legendes...
 
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15944630 Inviato: 9 Mar 2018 12:48
 



Quimpere... Proprio caruccia...
Sera del 19 agosto...
 
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15944647 Inviato: 9 Mar 2018 13:12
 



Domenica 20 agosto... Lo sfacelo.
Ma prima La Pointe du Raz...
 
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15944654 Inviato: 9 Mar 2018 13:42
 

un b & b: birra e batteria
 
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15944676 Inviato: 9 Mar 2018 14:21
 



Lunedì 21 agosto. Ferma. A Vannes.
Ancora un attimo e piango.

...
 
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15944680 Inviato: 9 Mar 2018 14:25
 

R1_1998 ha scritto:
un b & b: birra e batteria



Hahaha.... Ora rido... Ma quel giorno mancava solo più piangessi... 0510_sad.gif 0510_sad.gif .....rotfl.gif rotfl.gif rotfl.gif

Comunque grazie per il tuo passaggio da queste parti, nonostante siano trascirsi 4-5 mesi dagli ultimi post......

0510_saluto.gif atram
 
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15946039 Inviato: 13 Mar 2018 22:44
 

MARTEDÌ 22 AGOSTO: DA VANNES A CLERMONT FERRAND
A caso Nantes, Poitiers, Limoge, Clermont Ferrand. Notte in campeggio “Hotel De Plein Air Le Chanset” Rue du camping Ceyrat.

Oggi comincia il viaggio.

Sono felice. Torno a casa. L’idea è di arrivare presto. Due giorni. Non uno di più. Non ho più la vena turistica, non mi interessa più vedere e scoprire luoghi. Voglio solo arrivare a metà strada circa: Clermont Ferrand é perfetta.

E sono sulla mia moto. Che funziona, ed è bellissima, carica dei miei bagagli ben legati: il mio equipaggio, il mio tutto. Io sono ben coperta, col mio piumino e la tenuta tecnica. E sono ancora un po’ tesa, ma mi ha fatto bene questo fermo forzato: la spalla dx, l’avambraccio dx e la cervicale mi fanno meno male. Viaggio comunque abbastanza serena sulla strada semideserta. Attorno a me è ancora notte, tutto buio. Silenzioso. E respiro pensieri già freschi e più radiosi. Il sole è là, già raggi rischiarano lontano il cielo. C’è un altro giorno da vivere. Da godere. Persino sulla mia moto. Persino ad attraversare il sud della Bretagna così, sulla strada principale. E arrivo a Nantes he non ho nemmeno voglia di entrare in città: lo so, sacrilegio. Ma non mi interessa. Non ha più importanza. È cambiato il mio obiettivo, voglio chilometri di strada srotolata sotto le mie gomme. Nantes non andrà via, tornerò, forse, un giorno.

Ed è cosi che scelgo vie comode. Mai autostrada, tutte strade statali, che un po’ mi fanno sorridere: puoi vedere tir, quanto trattori. Tutto a caso. Di tanto in tanto mi fermo e imposto sul navigatore una nuovo meta. Che fra l’altro ho comprato una nuova cartina... “France Sud-Ouest” IGN.

Non so quali strade io abbia percorso. Ricordo solo le mete principali. Fatto è che é stata più una trasferta: avevo bisogno di trasferire il mio corpo in altra zona della Terra, come se così facendo, avessi potuto allontanarmi fisicamente anche dai pensieri. Sulla Normandia e sulla Bretagna. Dai fatti lì vissuti. Quale utopia. Ti porti addosso ovunque, sempre, la tua faccia, e mille volte i tuoi neuroni e le loro connessioni, passate, presenti. Così intense con tutto ciò che ti circonda e che ti ha attraversato. Alcune zone bucato, come a Dunkerque. È impossibile sciogliersi dal proprio corpo. Dal proprio vissuto. Ammiro all’infinito chiunque sia riuscito, civile o militare, in tempo di guerra, a sopravvivere a se stesso. E a farlo con dignità, rispetto, se non amore.
Come accaduto a tutti i soldati reduci di guerra. Come tutti i sopravvissuti ai campi di concentramento. Alle torture in Via Asti, o all’albergo Nazionale della mia bella città. Quartier generale della Gestapo durante la Seconda Guerra Mondiale. Un uomo può mai dimenticare ciò che è accaduto alla sua vita? Alla sua pelle, confine ultimo e primo del corpo? Si può mai eliminare il ricordo di pianti di lacrime di pietra?
Fra pensieri tortuosi che vorrei tutti alle mie spalle, viaggio sulla mia moto, tutto sommato anche serena: ogni tanto guardo il Garmin, imposto a grandi linee una meta che mi avvicina a cassa.

Fatto è che totalmente, infinitamente, immensamente a caso, mi ritrovo in una zona dal sapore motociclistico: laghi e colline. E un bar che mi ricordava quelli miei, di zona: moto parcheggiate di fronte, e motociclisti seduti ai tavolini. È carino qui, mi fermo qui. Sorrido di nuovo qui. Non ho idea di dove io sia, e non mi interessa. C’è ormai un gran bel sole ed io mi godo una coca-cola sotto un ombrellone. E poi proseguo, e mi piace tanto quello che vedo. La mia vacanza torna ad essere percepita come una vacanza in moto, in posti da moto: curve e boschi e laghetti improvvisi e fronde di ombra frastagliata dal sole, e rumore di motori. Degli altri... Motociclisti. Stradine arruffate su colline di prati al vento... Quest’atmosfera, così simile al mio conosciuto, mi rassicura. Scatto due foto in mezzo al bosco. E riparto...

È incredibile, sento il caldo. Cambia il parallelo? Scendo rotonda sui meridiani disegnati nel mondo, dentro la testa di ogni viaggiatore, e sento il calore del sole. Da nord a sud. Cambia tutto. Incomincio a togliermi il piumino. E faccio il cambio pure dei guanti, da invernali ad estivi. Forse faccio il cambio pure del cuore, come se ne avessi tanti appesi nell’armadietto della mia cassa toracica: scelgo il migliore a seconda del meteo? Emotivo? Mamma mia... Sono un delirio vivente... A zonzo per la Francia del sud. Che è bella. Profumata.

E non so, arrivo a Potiers, e poi a Bellac e tocco Limoges: volevo due ceramiche. Ma niente: cittadina deserta. Una tristezza infinita... Non ho voglia di fermarmi qui... Proseguo, vagando. Forse passo da Eymoutiers, Aubusson. Infine Clermont Ferrand. Però su in collina...

Arrivo a Clermont Ferrand e sono un po’ stanca. Contenta, ma stanca. Il campeggio è semplice. E soprattutto ha una vista incantevole. Me ne rendo conto solo a cena. Perché appena arrivata come al solito sono un po’ cotta e soprattutto devo rimontare la tenda, rigonfiare il materassino, riallestire la mia casetta di tela. Ma c’è del buono: non piove. E c’è una piscina. È ancora aperta, un salto lo faccio. Ma uso l’acqua per dipingere: un faro, una casetta grigia, una collina, l’Oceano. Palloncini colorati che volano in cielo. Ripercorro con i miei acquerelli il mio viaggio. Palloncini, palloncini, palloncini, palloncini... Leggerezza, leggerezza, leggerezza...

E la percepisco attorno a me: altri motociclisti, profumo di casa. Le mie Alpi sono qui, sono appena qui dietro. D’estate le strade ne sono abitate. Non è un termine a caso, noi motociclisti, “abitiamo” quelle salite e quelle discese, quei tornanti e quelle curve. Quei paesaggi ci prendono per mano e ci accompagnano dentro sogni incantati, eppure reali. È come fosse “casa”, per questo ci salutiamo quando ci vediamo... Sono Meravigliose le Alpi. Ovunque. Ne sono certa. Tu, hai la fortuna di conoscerle?

E qui, davanti ai miei occhi è collina, seduta al tavolino del ristorante del campeggio, di fronte ad una insalata profondissima. Mi perdo e disegno. E scrivo.

Dal mio diario di viaggio:

“ 22 agosto da Vannes a Clermont Ferrand. Nemmeno mi ricordo da dove sono passata.

Da sola è faticoso.
Bello ma stancante.
Tutto.
Ma non puoi farci nulla.
È così.
Domani è il 23.

Qui è bellissimo.
Colline, verde morbidissimo.
Questa zona già mi piace di più.

Forse solo quando sarò a casa mi rilasserò.
Oggi niente pioggia.
Che stanchezza.

Non mi sembra più nemmeno di essere stata sulle spiagge dello Sbarco.
Passato. Via.”

Mi spengo in silenzio in una notte stellata.
Grilli nella pineta.
Io nella mia tenda, ovatto il mondo.
E vorrei ovattare me stessa.
Proteggere gli altri, da me.
 
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15946050 Inviato: 13 Mar 2018 23:07
 



22 agosto... un giorno “a caso”.
 
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15946787 Inviato: 16 Mar 2018 0:06
 

MERCOLEDÌ 23 AGOSTO DA CLERMONT FFERRAND a Dentro un abbraccio. Di mio padre.

Clermont Ferrand - Aiguilhe posto assurdo di passaggio chissà dove - Issoire - Le Puy en Velay (credo) o forse Saint Flor bohh-chi-lo-sa - Mende sicuro - Florac sicurissimo - Ales - Bollene - Nyons - Gap - Briancon tutta-la-vita - Monginevro al buio - Casa. Mia amata casa.


Oggi comincia il viaggio.

C’è una cosa che ti devo dire, e che forse non mi ricordavo: se sei in montagna, di notte, fa freddo. Ho avuto un freddo assurdo, pure questa stramalefica notte di campeggio. BASTA. Voglio sia l’ultima. Non ne posso più. Così smonto tutto con particolare energia, e mi preparo il bagaglio con quel tipo di forza fisica che comprime piuttosto che organizzare... C’è da ridere, ma alla fine tutto è al suo posto. Le fibbie incrociate serrano la mia stupenda amphibius giallo fluo, una borsa eccezionale: non una goccia di acqua dentro la valigia in tutto il viaggio. La borsa da serbatoio anche, é al suo posto. Cartina dentro e navigatore alloggiato. Tenuta tecnica, casco, guanti e via. Via verso casa. Già, ma quale strada scegliere? La via Lyon - Chambery - Briancon non mi ispira: un bel tratto lo conosco già. E poi la cartina si illumina ogni volta che guardo un po’ più a sud. Giuro è come se quei nomi avessero un’aureola attorno... Florac... Cevennes... È un richiamo. Di un viaggio, appunto, aureo, mancato. È da fare! Adesso! E finché sono da queste parti, voglio godermele appieno.

Quasi appena partita mi ritrovo in un posto incredibile: un pezzo di terra abbastanza pianeggiante ed in mezzo una stalagmite di roccia, su cui però è costruita una chiesa con tanto di campanile. E ti chiedi “Ma come c@xzo hanno fatto?”, ed è roba datata... Non l’hanno costruita ieri. E c’è da chiedersi: “Perchè è nelle zone più impervie che si costruiscono edifici adibiti a luoghi di culto?”. Qualcosa non mi quadra. Ma fa lo stesso, non ci perdo più di due secondi a proseguire il mio viaggio, con assoluta serenità. E si sta bene, c’è un buon sole, prati e alberi e paeselli. E un traffico tranquillissimo. Ogni tanto qualche sali e scendi. E curvoni infiniti che i miei amici motociclisti percorrerebbero ai 160km/h... Ma che io faccio alla metà, se va bene...

Ed é così che nel primo pomeriggio sono proprio a Florac. E accade una cosa bella: ritorno alla prima cartina dell’inizio del mio viaggio, mappa Michelin n 709. Voglio bene a questa carta disegnata, segnata, strappata e bucata. Logora delle mie mani, se non occhi. Nell’estate 2016 mi aveva portato verso i Pirenei. E mi aveva fatto amare Arles. Ed ora sono qui, in un paesino che avrebbe dovuto essere la base di un viaggio di tre giorni fra maggio e giugno.

Sarebbe stato un viaggio, per me, prezioso: sarei stata insieme ai miei amici, motociclisti. E la parola “insieme” significa gruppo. Vacanza, seppur mini, di gruppo. In moto. Ci rendiamo conto? Magari tu che leggi lo sai. Lo sai già cosa significa fare una vacanza di gruppo assieme ai tuoi amici, che solo dopo sono, anche, motociclisti. Io no. Non lo so. Non ne conosco l’atmosfera vissuta da motociclista io stessa. Non so cosa significhi la linea d’ombra regolare che accarezza lo stesso asfalto. Non so cosa possa essere, uno specchietto retrovisore di quattro o cinque moto con borse e valige e stessa meta. Non so cosa sia arrivare in un albergo in tre, quattro, cinque o sei moto. Non so com’è andare a caccia di un ristorante in tre, quattro, cinque, sei, otto, dieci affamati, e se in moto, appoggiare i caschi ovunque. Non conosco le decisioni su una strada piuttosto che un’altra, fra tre, quattro, cinque menti. Non conosco i discorsi e le parole, le bottiglie di alcol e le risate. I giochi da tavolo che minano amicizie... Non mi appartiene il legame invisibile ed intenso che si può creare fra amici, in un viaggio in moto, condiviso in giorni e giorni. Io non ho mai viaggiato così. Per me, temo, potrebbe essere insostenibile; poichè la moto ha un potere, amplifica. Tutto. Già è difficile reggere me stessa, figuriamoci se viaggiassi con altri. Sarebbe un viaggio, un itinerario addentro le Persone. Le loro emozioni. Forse ho paura di percorrere le Persone. Attraversarle. Forse in una vacanza di gruppo in moto quello che poi ti rimane addosso, non è più un semplice luogo visitato od una strada da “riccioli” percorsa. Forse in un viaggio di gruppo, fra amici, fra motociclisti, quello che ti resta è la riconoscenza, in ogni sua accezione. Compreso il riconoscere a sè stessi che Gli Altri, proprio quelli che hai di fronte quando magari ti saluti a fine viaggio, sono Persone per te importanti. Sono loro che ti hanno arricchito della loro vitalità. È la loro presenza che ti ha toccato. Sono loro che hanno attribuito il vero valore al tuo viaggio, alla vacanza in moto. È il loro affetto che senti sulla pelle, del tuo cuore.
É roba di cui io ho troppa paura. Di provare. Eppure, tre giorni in moto nel parco delle Cevennes li avrei vissuti, con serenità. Tre giorni volano. Sarebbe stato un buon compromesso. Ma quel viaggio saltò: questione di previsioni meteo. Pioggia ininterrotta. Avevamo disdetto albergo e annullato il giro.

Ed io però sono proprio qui, a Florac! Scatto una foto che ancora un attimo mi costa la caduta della moto... e non resisto: la spedisco subito al gruppetto dei miei amici motociclisti... Che naturalmente mi consigliano di girare ovunque a manetta... Haaaaa... c’è da ridere. C’è un caldo torrido. Voglio solo fermarmi e bere. E mangiare roba fresca monoporzione di supermercato stile Geant. Mi rifocillo all’ombra ricercata da tutti come oro. Ed è stupendo qui: è moto. Ovunque. Proprio dappertutto. Vie e piazzette. È sapore di quel che ti aspetti da una vacanza in moto... Posti da moto, strade da moto... Tutto è due ruote qui! Se non avessi sentito sulle mie spalle i miei primi 18 giorni di vacanza, avrebbe avuto un senso, fermarsi. Farsi una notte da queste parti. Campeggi ci sono. E anche alberghi. Ma, non ho soldi da lasciare in albergo (70€ a notte dalle parti di Vannes bastano e avanzano), e meno che mai ho desiderio di un altro campeggio. Proprio no. Quindi proseguo e la direzione in linea di massima è verso Gap.

Amo tutto questo tratto di strada. Lo volevo, da morire. Non perchè io sia chissà quanto brava a guidare e divertirmi, ci mancherebbe, ma solo perché so per certo che da queste parti, dove ci sono le curve, c’è un panorama da favola. La natura veste queste strade di colori e profumi e contrasti e suoni sempre diversi. Il tratto di un torrente rinfresca le orecchie, poi roccia rossissima accanto a te, sfila per te, poi altro abito indossa di nuovo. Ad un tratto sembra che le prospettive del cielo si muovano con te mentre sei in moto a giocare persino con l’orizzonte. E le ombre. Quanto le adoro. Sono le formine del tuo confine. Ti dicono che esisti. E lo fanno in assoluto silenzio. Umili in basso sul quel ruvido grigio, e sempre vicine. Attaccate. Mi disegnano come un tutt’uno con la mia moto. Ed in parte è vero. Ogni motociclista è un uno con la sua moto. O almeno... Chi sa davvero guidare...

Io vago. Fra pensieri e sentieri di km di respiri. Sensazioni di casco. Sulla mia moto.

E proseguo ancora. E per fortuna ho fatto benzina, che qui non c’è mezzo benzinaio. E nemmeno mezzo paesello. Mi piace: alcuni tratti mi ricordano la Corsica, all’improvviso casupole arroccate. È un paesino graziosissimo. Non mi ricordo minimamente il nome. Ricordo che avevo pensato di fermarmi. Riposarmi. Staccare ancora, prima di arrivare a casa. Ma no. Pensiero di un secondo. Forse due. Ma non tre. Vado avanti. Desidero Nyons. E ci arrivo. E mai mi fermo a scattare foto. In questo tragitto non una solo foto. Solo quella del cartello di Florac. Non sono in vena. Voglio casa.

E quando sono a Gap è fatta. É una sensazione che non so spiegarti. Gap significa già “casa”. La conosco, conosco cosa c’è dopo Gap. Non ho più bisogno di mappe. C’è la strada che porta ad Embrun. Il mio ponte preferito. Quel blu sotto-sopra e tu in mezzo. Acqua e Cielo e Cielo e Acqua. E tu sospeso. In moto fra quei confini. Il ponte di Embrun è magia, credimi. E Embrun è Briancon. Briancon è Monginevro. Monginevro è Susa. Susa è casa.

Scritto così è tutto un secondo. Io ci ho impiegato ore. Fossi stata intelligente mi sarei fermata a Gap. Era ormai prima sera, quando il sole lascia solo più luce, che poi scompare. Ma se sei a Gap e conosci la strada pensi “sono arrivata”. Sì, se hai solo un paio d’ore di km in moto in un giro di una giornata. Stoc@zxo, invece, se sei me, in questo epico viaggio, infinito.

Arrivo ad Embrum e decido che posso meritarmi un panino e una cocacola. Perciò la mia sosta è di un tempo che non so. Ma che certo era necessario a distendere le mie braccia. Le mie gambe. Non i pensieri. E prego sempre che la moto poi, riparta. E adoro i posti come questo, una boulangerie enorme in mezzo alla statale. Arriva il mondo, si rifocilla, e poi riparte. Ed io sono parte di quel mondo lì... Riparto anche io. Non voglio più fermarmi. Persino benzina, voglio farla in Italia.

E risalgo sulla mia destriera, e tranquilla mi dirigo a Briancon. E se fossi stata intelligente mi sarei fermata, lì. Un albergo, una birra, due passi nella viuzza centrale. E invece no. Amo Briancon con tutto il cuore. È il crocevia dei giri del West GP, è il mio primo viaggio da sola, quando nemmeno lo conoscevo il West GP. Briancon è Izoard, è Lautaret, è, soprattutto il Monginevro. Di sera. Molto sera. Ci arrivo che è praticamente buio. Mi concentro al massimo, detesto viaggiare senza la luce del sole. Solo il faro della mia moto illumina la strada. Null’altro. Non mi piace. Ma lì dietro, c’è casa. Devo solo saliere e poi scendere. E lo faccio. Con i miei tempi. E l’aria è fresca. E la montagna nera. Fa paura. A quest’ora il Monginevro mi fa paura. E mi supera un macchina. Che va veloce via. Non la vedo più. Sono concentrata, un tornante dopo l’altro. Ci manca solo io cada adesso. Non sarebbe ammissibile. E non cado. Per mia fortuna (ne basta uno di ricordo di un volo su questi tornanti).

Arrivo su che sorrido, sorrido. Tiro su la visiera e aria fresca sventola sul mio viso. E non ci credo. Passo il confine: sono su suolo italiano. C’è la mia bandiera su quel cartellone di metallo. Il mio, tricolore. È il verde bianco e rosso che mi appartiene. Che mi piaccia o no. Sono italiana. Queste sono le mie origini, la mia cultura, la mia lingua. Il mio Paese. Per molti versi, lo amo. Per molti altri, lo odio.

Sono stanca e tesa scesa giù dal Monginevro. Scelgo perciò l’autostrada. E mi fermo subito al primo autogrill: mi godo un caffè espresso da sogno. Faccio anche benzina. E poi noto due motociclisti: due uomini, una sola moto. Ma c’è qualcosa fra loro. Lo noto. Si vogliono bene. Non sono effusioni plateali, ma è intuibile che hanno l’uno cura dell’altro, e non è solo amicizia. E più profondo il legame che manifestano. Ed è strano: sono al buio. Fuori è buio, oltre le dieci di sera sicuro. Ma loro pare scelgano la zona più buia dell’autogrill per parcheggiare la moto. Mi lasciano sensazioni a pelle, pensieri: è per caso vietato a due uomini innamorati di viaggiare in moto, mostrare affetto, in modo semplicemente spontaneo? Devono nascondersi? Rimanere nell’oscuro? Lontani dagli occhi della società? Sempre? Soprattutto se con una sola moto?

Credo sia fuori dubbio che l’ambiente motociclistico sia particolarmente maschile. Etero, maschile. È normale che un lui zavorri una lei. É accettato di buon grado che una lei, zavorri una lei. Anzi, è magnifico probabilmente agli occhi degli uomini vedere due lei in moto. Ma nel caso di una coppia omosessuale? Un lui che zavorra il suo compagno, in ambiente motociclistico, è davvero così plausibile? Ammissibile? Auspicabile? Solo pensieri al vento. Solo questo signori, pensieri buttati all’aria. Ho paura che la libertà di essere se stessi, sebbene si sia nel secolo XXI, non sia del tutto data per acquisita. Il “triangolo rosa” nazista se lo sentiranno ancora come appuntato addosso? La storia, narra storie, devastanti. Basta fare un giro su internet per raccoglierne qualcuna. Dai campi di sterminio, alle notizie del nostro oggi.

Eppure quei due uomini, motociclisti, in quell’autogrill, quel loro abbraccio, lasciano in me il sorriso della speranza: l’amore è il sentimento più potente. Da sempre. Per sempre. Per tutti.

E sono sulla mia moto, e viaggio tranquilla, nella notte. Primo casello. Secondo casello. Tangenziale. Semafori. Cancello. Non di casa mia. Ma di casa dei miei genitori. Ne ho bisogno. La mia è vuota. Potrei perdermi da sola a casa mia. Non ritrovarmi. Ho bisogno di mio padre e di mia madre. Ho bisogno di quel cancello.

Ed ho il tempo di fermarmi davanti. A quel cancello. Da cui mille e mille volte ancora sono entrate e uscite le moto di famiglia. Di mio padre e dei mie fratelli. Ora, uno solo.

Ed ho il tempo di fermarmi davanti a quel cancello. E guardare la mia moto. La amo. Me ne rendo conto. È assurdo. Ma in quel frangente ho amato tutto il mio equipaggio. Ho amato L’intero. Di cui ne sono stata parte integrante. Comandante. E scatto una foto.

É in quel secondo che inizia a salire. Come una droga. La consapevolezza. Di ogni cosa. Dentro Quei chilometri percorsi. Di questo viaggio scavato nell’anima. Della Storia. Mia. Di questo Tutto senza senso. Di questi esausti pesanti pensieri appesi sul mio viso. Stanco. Molto stanco.

Che mio padre raccoglie fra le sue braccia.
Ed io affondo.

Che mille volte un padre può abbracciare sua figlia.
E mille volte lei può trovarne rifugio.
Se sei padre lo sai.
Se sei figlia, o figlio, lo sai.

Io sono tornata.
Sono dentro il cortile di casa.
La moto é spenta.
Ferma sul cavalletto.

Resta il peggio. Lo so. Lo sento.
5086 km di Cose che fanno male.
Da rimettere in ordine.
Io non ne sono capace.
Lo capisci? Non sono capace.
Chi, è capace di mettere a posto la Vita e la Morte?
Chi?

In realtà é sempre stato così.
Lo sapevo dall’inizio:

La verità è che non sono pronta per questo viaggio.
È senza ritorno.
Una certezza: non sono niente, non sono nessuno.


Eppure, è Oggi che comincia il Viaggio.


Marta
 
15946790
15946790 Inviato: 16 Mar 2018 0:12
 



Il ritorno. Da un viaggio senza tempo.
 
15946796
15946796 Inviato: 16 Mar 2018 0:35
 

Avrei ancora molto da scrivere. Soprattutto del dopo-viaggio. É stato incredibile. Davvero.

Ma adesso posso solo rivolgermi a TE che, chiunque Tu sia hai attraversato le mie parole.
Scoperto i miei pensieri riga dopo riga.

GRAZIE per il tuo tempo che incredibilmente hai dedicato su queste pagine. Digitali.
GRAZIE per la tua tenacia. E scusami, tantissimo, se ho avuto una pausa lunghissima.
Forse necessaria.

Grazie persino per la tua silenziosa presenza.

GRAZIE, immensamente, di cuore, mio caro, mia cara, Reader.

atram
 
15946840
15946840 Inviato: 16 Mar 2018 3:57
 

Ho aspettato in silenzio la fine del racconto del tuo viaggio, lo ho letto solo ora tutto d'un fiato, i tuoi scritti hanno il potere di tenermi incollato al testo (ecco il motivo per cui non l'ho letto prima). icon_mrgreen.gif
Intensa e coinvolgente come sempre.
Sono io a dire GRAZIE A TE, grazie di cuore, perché con questi scritti mi permetti di entrare, in punta di piedi, in qualche tuo spicchio di vita.
Un abbraccio a te, a presto 0510_abbraccio.gif 0510_abbraccio.gif
 
15946945
15946945 Inviato: 16 Mar 2018 15:08
 

topomotogsx ha scritto:
Ho aspettato in silenzio la fine del racconto del tuo viaggio, lo ho letto solo ora tutto d'un fiato, i tuoi scritti hanno il potere di tenermi incollato al testo (ecco il motivo per cui non l'ho letto prima). icon_mrgreen.gif
Intensa e coinvolgente come sempre.
Sono io a dire GRAZIE A TE, grazie di cuore, perché con questi scritti mi permetti di entrare, in punta di piedi, in qualche tuo spicchio di vita.
Un abbraccio a te, a presto 0510_abbraccio.gif 0510_abbraccio.gif


Ciao Marcello, come stai?
Sai, è stato un viaggio molto denso, dentro c’è tanta roba. L’ho preparato con tutto il cuore. L’ho vissuto con tutta l’anima che ho. E se una parte, almeno una parte, sono riuscita a lasciarla fra queste righe, credimi mi è stato naturale, direi spontaneo. Pure le lacrime sono state spontanee mentre scrivevo. Andavano giù e basta. Ma non è scontato, mai, che chi legga un mio “report” ne colga, appunto, il cuore. E per questo, ti sono grata.

Ricambio l’abbraccio, a presto!
0510_saluto.gif atram
 
15947209
15947209 Inviato: 17 Mar 2018 17:14
 

DannySV ha scritto:
quasi dieci anni fa ho visitato anche io quei luoghi dello sbarco. Era Settembre inoltrato e il turismo di massa era cessato. Io, insieme a quella che da lì a poco sarebbe diventata mia moglie.
Dopo la Normandia abbiamo visitato i campi di concentramento. Mautthausen,Natzweiler e Dachau.
I luoghi dello sbarco in Provenza. E per ultimo Norimberga.
Per chi è appassionato della Seconda Guerra Mondiale Norimberga rappresenta il punto di inizio e il punto della fine.

Anche in Italia ci sono luoghi dove la guerra ha travolto tutto e tutti.
Montecassino, Anzio-Nettuno, lo sbarco in Sicilia e la Linea Gotica, solo per citarne alcuni.

Alla fine la Normandia rimane il luogo più pubblicizzato, forse grazie a Spielberg, forse perchè i francesi hanno saputo valorizzarlo.
Per quanto riguarda il numero dei morti il fronte orientale rimane quello più insanguinato.


Ciao Danny SV,

Scusami se ti rispondo solo ora. Personalmente non mi sento una appassionata alla Seconda Guerra Mondiale: in fondo, conosco poco niente. E certamente la Normandia è una terra più che valorizzata: c’è da imparare dai francesi in merito. Noi italiani pare non ne siamo poi così capaci. O forse ci vergognamo. Mussolini è stato alleato di Hitler, per diverso tempo. Gli italiani hanno fatto male agli italiani stessi, la memoria socio-politica a tutt’oggi probabilmente varia al variare della propria singola bandiera politica. Ma è un discorso più grande di me. Che certo non ho piene competenze per affrontare.

Una cosa però la condivido appieno con te: “Per quanto riguarda il numero dei morti il fronte orientale rimane quello più insanguinato“.

Ho avuto la fortuna questo inverno di essere stata invitata a Mosca, con i miei figli, da amici che vivono lì. Non ho avuto tempo, e forse cuore, di preparare il viaggio come avrei voluto. Non ho studiato, non ho letto libri, ho solo visto qualche film russo, ho letto la storia della Russia su weekipedia. Ho letto la loro Costituzione. Ma non mi sono addentrata nello specifico sulla Seconda Guerra Mondiale. Ho visto qualcosa sulla battaglia di Stalingrado. Visto filmati su Rai Storia. Ma, soprattutto, questo si, una volta a Mosca, volevo vedere due cose in particolare:

- La tomba del Milite ignoto all’interno dei giardini di Alessandro ai piedi delle mura del Cremlino.
- Il Museo della Vittoria, situato presso il Park Pobedy

Ebbene, credimi, mi sono commossa. Anche lì. Di nuovo. Di fronte a quella fiamma. Eterna. Nel frastuono dei passi, dei passanti, mi sono avvicinata in profondo silenzio, come sulle spiagge della Normandia. E non ho potuto fare altro che togliermi il cappello, chinare la testa e piangere, istanti di sofferenza. Ti tocca quel tratto affianco alla Piazza Rossa.

Non è l’unico luogo che mi ha lasciato pensieri. Che mi hanno riportato alla Normandia. Alla Guerra. Alla morte. Alla difesa di ideali. Della vita.

Il Museo della Vittoria, il Museo della “Grande Guerra Patriottica” come la chiamano i russi, è enorme, come lo è tutta la Russia in fondo. E fra i suoi meandri, fra teche di vetro e dipinti, fra ologrammi e mappe digitali, tra fotografie gigantografie, c’è, al suo centro, una sala, che buca il tuo, di centro: non so dove lo hai tu Danny, ma il mio è il cuore.

È la “Hall of Glory”. È un cimitero. Sono i nomi di 11.000.000 soldati della Grande Madre Russia. Lettere di bronzo affisse su muri altissimi, bianchissimi, curvi. L’intera sala è disposta in cerchio, nessuno spigolo. Eppure, lo senti qualcosa di appuntito, che ti trapassa. Forse è la sua spada, che giace nel mezzo. Forse sono solo i miei ricordi. Il cimitero americano di Omaha Beach era forse diverso? I nomi dei dispersi, non erano anch’essi adagiati su muri bianchi curvi? E non erano nomi quelli incisi sul granito nero a La Cambe? E che cos’è un nome, se non una persona? Qui, in questa stanza, le persone, sono eroi. Di Guerra.

C’è da perdersi. Mi perdo sempre. Non sono brava a studiare storia, mi riesce meglio, sentirla. Percepirla nelle voci sussurrate, evocate, da luoghi come questo. E forse sbaglio, dovrei assumere un atteggiamento molto più distaccato. Più logico, scientifico nell’approccio. Semplicemente da storico, che analizza documenti e costruisce fatto dopo fatto, la linea del tempo delle vicissitudini umane. Ma, non sono capace. Invidio chi sì, ci riesce.

Vorrei anche io, un giorno, visitare un campo di concentramento. La verità è, che per adesso, non ne ho il coraggio. Provo un senso di vergogna ad ammetterlo, ma è cosi. Non sono pronta. E meno che mai potrei immaginare un viaggio del genere da affrontare da sola.

Non so cosa ci sia nel mio futuro. Nei miei viaggi in moto. Di una cosa sono però sicura. Vorrei prendermi una vacanza da me stessa. Non vorrei più piangere. Al contrario vorrei ridere e divertirmi. Leggera, come una piuma.

Vedremo... La stagione motociclistica è appena iniziata.

Grazie per il tuo intervento, mi hai offerto l’opportunità di pensare. Ricordare. E mi permetto di lasciare queste fotografie. Russe.


Museo della Vittoria. Mosca.
 
15949699
15949699 Inviato: 24 Mar 2018 12:46
 
 
15949974
15949974 Inviato: 25 Mar 2018 13:23
 
 
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