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Normandia: un viaggio senza Tempo. Agosto 2017.
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15865902 Inviato: 25 Ago 2017 14:46
Oggetto: Normandia: un viaggio senza Tempo. Agosto 2017.
 

La verità è che non sono pronta per questo viaggio.
È senza ritorno.
Una certezza: non sono niente, non sono nessuno.

Caro lettore, cara lettrice,
ti lascio alcune premesse al mio viaggio.
Sceglierai tu come e cosa leggere o saltare del tutto.
Ci impiegherò un po’ a trarre le fila di ciò che ho vissuto.
Ma comincio a pubblicare qualcosa, altrimenti mi perdo.


Prima premessa: il cuore

Come ti prepari ad un viaggio in Normandia? Come ci si prepara per un viaggio nella Storia? Come fai a pensare di riuscire ad avvicinarti il più possibile a quanto è stato sulla terra di Normandia? Nell’Oceano della Normandia? Su Quelle spiagge. Omaha la sanguinosa. Come fai a preparati davvero all’impatto che subirai quando lì sarai? Come riesci a progettare un viaggio che sai già parlare di morte? Di guerra. Come puoi farlo? Tu sei nessuno, non sai nulla, hai forse studiato a scuola qualcosa. Nomi sparsi a caso pronunciati a memoria per un’interrogazione. Per un voto. Eppure me la ricordo ancora adesso una delle tante spiegazioni sulla seconda guerra mondiale della mia anziana professoressa di storia alle superiori: lei, la guerra l’aveva vista. Ne aveva raccontato un frammento alle sue allieve, alla sua classe, come fosse stata una mamma che desiderava solo il bene delle sue “figlie”: lei il male lo aveva conosciuto. I bombardamenti, fuggire, i bunker, i passi disordinati, la paura, le sirene, le bombe, la morte di un un uomo caduto a terra con la sua bicicletta e la figlia bambina accanto che piange sul suo corpo, disperata. Lei, c'era, ne ricordava i suoni e gli odori. Ed era Torino.

La Normandia è un libro di storia a cielo aperto. Lì, non si percorrono km, si sfogliano. Pagina dopo pagina. Spiaggia dopo spiaggia. La Normandia ti uccide. Ti buca. Ti trapassa l’anima. Lo fa con tutti. Non temere. Non è questione di particolare presunta mia sensibilità. La Normandia è una terra che ti distrugge. Come puoi anche solo lontanamente immaginare di sentirti davvero pronto per un viaggio così? Non puoi. Non sarai mai pronto. Io non lo ero. Non lo sono stata. Mi ha fatto star male la Normandia. Lacrime che non sai da dove arrivano. Ma le senti calde sul tuo viso. Nodi in gola serrati, controllati. Senso di nausea improvvisa. Stai ferma a guardare l’Oceano e lui invade il senso del tuo udito. E possiede la tua anima. Ha un suono ancestrale la sua voce. Sempre. Certamente imponente, immagino, anche quel 6 giugno 1944. Il primo spiraglio di raggio di sole, nelle tenebre.

La Normandia è silenzio. Raccoglimento. Riflessione. Comprensione. Pace. È. Cimitero.
La Normandia è una carezza su un monumento sulla spiaggia. È sole. Luce infinita alle dieci di sera. È un castello di sabbia di bambini che giocano a Omaha Beach: Omaha la speranzosa.

La Normandia è una cosa sola: lo sbarco della Libertà. Insieme al suo prezzo.
Cui è dannatamente valso essere stato versato.
Per quel Futuro che oggi è il mio Presente.
Il nostro Domani.

Il mio oggi è democrazia. Italiana. Perché io sono italiana. È sangue pugliese e piemontese che mi scorre nelle vene, queste sono le mie origini. E le amo. E forse a quarant’anni, fra gli sbandamenti politici del mio Paese i cui deragliamenti mai ho davvero seguito con la dovuta attenzione, avverto il desiderio della ricerca di un senso nella direzione giusta da prendere, non tanto della mia vita personale, ma piuttosto dei principi guida cui seguire. Ideali cui credere e quindi agire. Considerando anche il pieno disorientamento della società stessa di cui io faccio parte, sento il bisogno di capire qualcosa sulle origini del mio Adesso. In che Paese vivo? Ne sono fiera? Sempre? Cosa conosco di esso? Cosa, davvero mi tocca? Come è nata la Repubblica italiana? Lo Stato governato dal popolo? La sua Costituzione? Cosa conosco in merito alle persone che hanno combattuto e creduto nell’Italia? Cosa so degli uomini e delle donne che sono morte per la libertà. Quella che vivo io quotidianamente. E quanto ciò influenza il mio “pensare” l’Italia?
Sono la persona più ignorante della terra. Non sono niente. Non sono nessuno.

Ed è così che mi “preparo”, al mio viaggio in Normandia. Comincio da loro, da lontano, sulla carta: inizio dai libri. Di guerra. E dalle cartine. Una in particolare, quella che poi risulterà la più vissuta, in ogni senso: mappa regionale Michelin 513, Normandie.
A dire il vero, di testi sulla guerra, ne avevo già letto, comprato, sfogliato, qualcuno. Non tanto per il gusto del macabro modo di suggellare la morte in guerra, dall’epoca medievale ad oggi, ma piuttosto per sondare i motivi per cui si “scende in guerra”. Perché si combatte? Perché si attacca qualcuno? Perché ci si difende? Cosa si difende? La terra che si sente “propria”? E se così fosse, chi ne stabilisce il limite, il confine? Si protegge la propria casa? Famiglia? Patria? Si difende sè stessi? La vita degli altri? Quali sono questi “atri”? E se mai si difendesse un valore? Sarebbe possibile? Quale mai potrebbe essere? Sostenuto e condiviso da chi? Per esso la propria vita si potrebbe mettere a rischio di morte? E per raggiungere, quale che sia l'obiettivo, fino a che punto si è davvero preparati ad uccidere? A vedere morire un uomo per mano propria. Cosa si è disposti a mettere in campo di battaglia per combattere fino alla fine? A quali immani rinunce si va incontro? Qual è la linea sottile che distingue l'uomo dal guerriero? La propria coscienza dal soldato? Esiste? Alle emozioni gli è concesso di esistere?

Non è un caso se sono rimasta affascinata dal Giappone, dai samurai, la loro millenaria storia, dal bushido. Il libro “La mente del samurai” lo avevo letto tempo fa. Incredibile l’abnegazione giapponese. Ai nostri occhi occidentali è inconcepibile. Il senso dell’onore, del servire il proprio Signore, il proprio Dio-Imperatore. Difendere la propria terra, sacra.

Altri testi sono arrivati per caso, uno mi aveva chiamata, con certi libri è così. Era dicembre, mi trovavo in viaggio verso il mare e di solito quando mi fermo per un caffè in autogrill guardo sempre in giro. Miseri 3 € in offerta: la copertina con l’elmo di un soldato balza ai miei occhi. “La via del coraggio: dal guerriero antico al soldato moderno, la vittoria dell’uomo sulla paura” di Riccardo Dal Monte mi ha aiutato non poco a comprendere il dramma delle due guerre mondiali e certamente conoscerne i tratti dei Braveman che hanno scritto la storia. Impressionanti i numerosi dati numerici: a tutt’oggi pare ci siano circa 12.000.000 di proiettili inesplosi risalenti alla prima guerra mondiale, solo in Francia.

Nell’immersione nella lettura, fondamentale per il mio viaggio in Normandia è stato lasciarmi trasportare fra lacrime e finanche dolcezza sulle pagine de “Il giorno più lungo” di Cornelius Ryan. Meraviglioso. Me lo sono portata dietro. Era con me nel mio viaggio. Mai avrei potuto lasciarlo sul divano di casa. Avevo bisogno di quel libro, di quelle storie, di quelle persone. Che non sono personaggi di un film. Sono la realtà. Sono le testimonianze raccolte da un lavoro di minuziosa pazienza giornalistica, che coglie da fonti dirette informazioni che si scolpiscono sul mio viso pagina dopo pagina. Ho amato questo testo. Mi ha lasciato la visione dell’Operazione Overlord, se si può, nella sua interezza, per entrambe le fazioni, se non ragioni, di guerra: alleati-Germania. Ma è un testo americano, che racconta lo sbarco vissuto dagli alleati e subito dai tedeschi.

Io sono italiana, noi, dato di fatto, eravamo sì alleati, della Germania. Mussolini è ben rappresentato al Memoriale di Caen. Poi è accaduto qualcosa. Armistizio 8 settembre 1943. O meglio annunciato al popolo italiano in quella data. Il resto è stato lo sbandamento. O forse la risposta: Resistenza, italiana. Guerra, anche, civile.
Per cercare di addentrarmi nell’atmosfera di quel tempo, di quegli anni bucati da tonnellate di bombe, al fine di sentire più da vicino il peso della guerra (e mai più immaginavo quanto), avevo bisogno di riprendere in mano un altro libro, che avevo comprato dopo essere stata incantata dalle parole del suo autore intervistato da Linus e Nicola su Radio DeeJay. Aldo Cazzullo mi aveva rapito con i suoi racconti. Era il 2015 e parliamo di due libri straordinari quanto coraggiosi: “La guerra dei nostri nonni” e “Possa il mio sangue servire”. All’epoca ne lessi solo un capitolo per entrambi. Riguardo le donne in particolare. Mi ci sono voluti due anni per riprenderli in mano. Perché con certi libri è così, non si leggono. Si piangono. Rimbombano dentro di te, scivolano quelle parole a navigare in meandri oscuri di un tutto che sai essere esistito. E che più di qualcuno ha vissuto. E ha avuto la forza di raccontarlo. Senti quasi affetto per quelle 400 pagine stampate che tieni in mano e ne accarezzi, ogni volta un lembo con delicatezza, come se quel tocco potesse arrivare davvero a quella madre che rimane tutto il giorno accanto a sua figlia Natalina, appesa, morta, dopo essere stata torturata e quindi impaccata dai fascisti. Come la gigantografia di quella ragazza al Memoriale di Caen: 17 anni, resistente, sovietica. Torturata e impiccata pubblicamente dai nazisti. Tu la vedi, e gli occhi li senti pesare 100 kg. Non puoi fare altro che lasciarle sgorgare quelle gocce sul viso che tracciano poi una scia di desolazione sulle tue guance. Perché sai che così è stato. È accaduto.
“Possa il mio sangue servire” è il libro che più di ogni altro testo, mi ha catapultata nella dimensione del fascismo-nazismo. E quindi nella comprensione della necessaria dichiarazione di guerra Contro esso. Ogni suo capitolo ti annienta. Perché racconta l'atmosfera, abominevole, atroce, di quel periodo. E si tratta di casa tua. È un libro che mi tocca sul vivo, cammina la mia città, scende giù nell’oblio del Carcere Le Nuove. Che io ho attraversato. In passi muti che ti stritolano lo stomaco. E un libro che ti colpisce da farti stramazzare al suolo per la sua potenza espressiva in ogni riga di testimonianza scritta nelle lettere di tutti i condannati a morte. La loro fiducia, la loro speranza nel futuro, il loro amor di Patria. Io ce l’ho? Io non sono niente. Non sono nessuno.

Eppure, la devastante lettura di pagine così dense di sangue e passione che ho amato, ti lascia in realtà Luce sulle mani, come se la sentissi arrivare direttamente da loro, come se ti guardassero negli occhi e prima di morire ti stessero donando la cosa più cara e preziosa al mondo, come se fosse il passaggio di un testimone. Accarezzano le tue mani e ti lasciano quel gioiello di inestimabile valore e poi te le richiudono dolcemente “Ecco è per te”, ti senti dire sotto voce da ogni Generale o soldato semplice, Ufficiale o civile, da ogni singola donna uomo, ragazzino, bambino, morto combattendo, R-Esistendo per il futuro dell’Italia. Il tuo. Il mio. Se apro la mia mano, riesco a vederlo quel regalo, brilla, è la Libertà. Apri la tua mano, sono sicura che quel dono appartiene anche a te.

C’è un motivo se il mondo libero del 1943-44, se gli Stati Uniti d’America, insieme all’Inghilterra, al Canada e alla Francia scelgono di sbarcare in Normandia e chiudere, se non annientare, insieme alla Russia, in una morsa definitiva, Hitler e tutto ciò che ha rappresentato.

Volevo addentrarmi nel mio viaggio dentro la storia con la presenza di uno stato d’animo consapevole, almeno tentarci. Ecco perché mi sono documentata un po’ prima di arrivare lì, in Normandia . Ho letto moltissimo su internet sulla seconda guerra mondiale in generale, ho creato una cartella apposita sui “preferiti”. Ho cercato siti specifici, osservato e ascoltato testimonianze video, di qualsiasi nazionalità. Ho visto film, diversi. Ho scaricato app sulla linea del tempo. Ho sottolineato-studiato il libro-guida sul D-Day che i miei genitori avevano comprato più di 10 anni fa proprio al Memoriale della pace di Caen. Ho scritto sul mio quaderno schemi. Ho sottolineato pure la guida verde turistica del Touring Club Italia. Avevo intenzione di arrivare su quelle spiagge, toccarle, raccoglierne la sabbia, con la cura almeno di conoscerne alcuni istanti significativi consumati in quei giorni dal 6 giugno 1944. Giorni e notti di morte per la vita.
Perchè la Normandia è luce, nelle tenebre.

Mesi e mesi prima di partire apro la cartina 200 volte e sogno e segno più di una meta. Dapprima Honfleur, ne avevo visto un’immagine su google, persino sul forum mi avevano aiutato a indicarmi di quale paesino si trattasse. Poi altro attrae la mia attenzione. Colmar, Strasburgo, Verdun, Dunquerke. Lo Sbarco. Le Mont Saint Michel. La Bretagna, la Cote des Legendes, Quimpere.

Sostanzialmente per questo viaggio rompo i coglj0ni per quasi un anno a tutto il mondo… Tutto è fonte di aiuto… compresi naturalmente gli amici motociclisti… di cui leggo il report e ne chiedo live in birreria di indicarmi gli “imperdibili” sulla mappa… Mass, Anto, Edo mi dicono tutto… Ricevo persino da Orso Gianni all’Advent l’elenco dei gradi militari per orientarmi nelle letture italiane sulla guerra fra ufficiali e sottufficiali ed il coraggio delle loro azioni. Chiedo aiuto persino ad un esperto di esplosivi, tal Bertrand, che mi spiega le polveri bianche e la detonazione, e riesco forse ad appena immaginare meglio lo scenario del conflitto cui si sono trovati a combattere milioni di uomini. Morire milioni di civili, anche.

E devo fare i conti con la mia realtà “tenebrosa”… i soldi! Non ne ho mai abbastanza. Secondo me nessuno ne ha mai abbastanza… Quest’anno più che mai, tanto più che la tredicesima me l’ero giocata già a Natale: è stato bello gironzolare con i miei figli dalle parti di Briancon. L’aspettativa per mio figlio in seguito alla sua frattura poi mi ha segato le gambe. Ma qualcosa riesco metterlo da parte. Persino mia madre provvede alla “botola vacanza”: vuole davvero io raggiunga la Normandia, sa già che potrà piacermi. Del Mont Sain Michel, dice, che me ne innamorerò.

Un anno vola. La scuola finisce: io essendo un insegnante sono una privilegiata. Lo so, me ne rendo conto. Luglio è a termine, io comincio a fare l’elenco del materiale e raggruppo in un angolo di casa ciò che mi viene in mente possa servirmi. Emblematiche le parole che ho ritrovato al rientro dal viaggio scritte sovrappensiero nell’elenco di luglio “Futuro da scoprire, testa da riempire. Vuoto. Nuovo. Cavalletto”. In diverse pagine dei testi letti ritrovo le mie scritte a matita tipo “non riuscirò mai”, “non ce la farò”. Non sto nella pelle, sento che il giorno della partenza si sta avvicinando ma “io non ce la farò mai”, lo dico persino ad alata voce. Mia figlia mi risponde con una certezza disarmante “Non vedo come tu non possa farcela.”
Mi drogo ancora di 4 ore di Museo della Resistenza nella mia città. Full immersion nella seconda guerra mondiale, nel male e nel bene che da esso ne è addirittura derivato. Nella ri-nascita di un popolo. Mi sento smarrita e ho bisogno di ritrovare punti fermi. Linee guida. Voglio questo viaggio con tutte le mie forze.

Ultimo un controllo generale alla moto dal mio meccanico. Cambio pure le gomme anche se per chiunque altro “ce n’era ancora”. Ma almeno io giro più serena. Insomma ci siamo. Quasi.
4 giorni prima di partire mia madre cade e si frattura un piede. La cosa non mi rende serena per niente, conoscendo il suo quadro di salute, sarà lenta e problematica la ripresa. Ma siamo positivi. Almeno la base economica alla fine l’ho raggiunta. Quasi.
Due giorni prima di partire ritiro una raccomandata: fermo amministrativo del motoveicolo se non pago 250€. Non ci credo: ho dimenticato di pagare la tassa dei rifiuti di non so quale anno e ci manca solo avere grane in Francia. Defalchiamo dal budget emergenze.

Ci siamo davvero. Venerdì 4 agosto saluto i miei figli che vanno in vacanza col padre. Mi dicono una sola cosa “Torna” e mi abbracciano. Sanno quanto io ci tenga a questo viaggio, sanno che non vedo l'ora di partire, io che li ho annoiati parlando solo più di guerra per tutto il mese di luglio, povere stelle, mi hanno vista piangere leggendo i miei libri, e nella loro voce percepisco un velo di preoccupazione. Che per fortuna svanisce qualche giorno più tardi… Si godono il Salento.

Vado a prendere la moto in garage da mio padre. E saluto anche i miei genitori. Sono presissima dall’indomani, e non mi accorgo mentre sono sulla mia moto che mio padre mi sta fissando. Poi mi dice serio concentrandosi sui miei occhi “Voglio vedere tornare la moto così com’è”. Sorrido, non riuscirebbe mai a dirmi “Voglio vedere Te Marta, figlia mia, tornare tutta intera” ma io so che è ciò che intendeva. Gli fa male immaginare anche solo poterlo pronunciare, che qualcosa potrebbe andare male come tornare non tutta “intera” o addirittura “non tornare”. È un motociclista. Positivo, ma consapevole.

Saluto persino i miei amici motociclisti tramite cellulare… Sorrido mentre scrivo, perché in realtà ho adorato la loro presenza. Scritta. Che mi è arrivata. Fondamentale.

Sapete, c'è una magia particolare nei saluti quando ci si appresta ad una lontananza per un certo tempo. Il saluto è più intenso tanto quanto più è distante la meta da raggiungere o quanto più è lungo il tempo in cui la persona che si saluta sta via.
Penso a quanto potessero impazzire i soldati della prima guerra mondiale a salutare la famiglia dopo una breve licenza. E sapere che forse quello era l'ultimo, saluto, l’ultima immagine che si portavano dentro. Cadevano come foglie d’autunno. Qualcuno, sono sicura, lo ha scritto.
E penso ai soldati che sono partiti, dalle stazioni, come quella di Susa, in cui il tenente degli alpini Massimo Montano saluta la moglie che gli lascia una sua foto. E lui la prende, chissà con quale stato d’animo. E chissà cosa ha provato lui, quando ha scritto a lei l’ultima lettera, l’ultimo saluto, poiché condannato a morte, dicendole che avrebbe portato quella foto con sè nella tomba. Questo giovane viene fucilato al poligono di tiro del Martinetto a Torino il 5 aprile 1944.
E penso ai soldati di oggi, vestisti dai colori della sabbia, che raccontano favole della buona notte via Skype ai propri figli. Lontani migliaia di chilometri da essi. Dalla morbidezza del profumo della pelle del proprio bambino. Bambina.

Io saluto col cuore Tutti.
Ed è in fine col cuore che mi appresto al viaggio verso la Normandia.
Forse l'unico modo per affrontarlo.


Seconda premessa: la Normandia non é moto
Carissimo motociclista, carissima motociclista, per quel che posso dirti dal basso del mio pulpito, credo proprio che la Normandia non sia vacanza in moto. Non sono curve, strade spettacolari, o paesaggi alpini cui noi in particolare del West GP siamo tanto abituati. Non è arrivare su in cima in un punto e incontrare mila altri motociclisti. Non è bruciare saponette e farsi km di goduria. Proprio no. Se cerchi questo in Normandia, credimi, cambia meta. E non pensare che ci sia sempre sole. Piove. Abbastanza spesso. Sei sull’Oceano. Ho preso tanta di quell’acqua in questo viaggio da far arrugginire tutto sulla moto. Pure il pezzo di serbatoio in plastica. E quando spunta il sole e cammini per visitare qualcosa, fa un caldo da sciogliersi dentro la tenuta tecnica da motociclista. Io sono andata in tenda per questioni soprattuto economiche, ma la sconsiglio. Se hai la fortuna di non essere da solo vale la pena spendere in due e/o più persone per l’asciutto di una stanza di un albergo. In Normandia fa un freddo cane di notte. Quantomeno, se pensi di alloggiare in tenda, preparati a prendere acqua, tanta, anche mentre dormi. A me è andata più o meno così… Ma se fosse, ti auguro certo il meglio!

Terza premessa: dati numerici:
Partenza 5/08/17
Arrivo: 23/08/17
Totale giorni viaggio: 19
Km ad inizio viaggio: 9837
Km a fine viaggio: 14923
Totale km percorsi: 5086
Spese benzina: 300 € circa
Spese campeggio: 230 € circa
Spese vitto: 200€ circa
Spese extra: un fottio.

Ps… se tutto va bene proseguo il racconto giorno per giorno… magari con qualche foto… Scusate gli errori ortografici. A volte sono più dettati dall’impeto o dalla vista annacquata, perché a ripensare, mi capita di rilacrimare….
 
15865943
15865943 Inviato: 25 Ago 2017 16:39
 

Se mai un viaggio è stato passione, ne hai da vendere. Anzi, da usare gratis per una causa: diffondere l'amore per la propria identità, per la storia, per i viaggi, per l'essere umano capace di donarsi ai suoi simili. La premessa è chiara, ora aspetto il seguito...
 
15865968
15865968 Inviato: 25 Ago 2017 17:43
 

SABATO 5 AGOSTO DA TORINO AD ANNECY : L’IMPREVISTO.
Torino-Lanslebourg-Iseran-Bourg Saint Morice - Jura andato a putt@ne- quindi Annecy (avrei fatto altri 200km… ma amen. Per oggi va già bene così) camping “Au coeur du Lac” Sevrier- Annecy


Il viaggio comincia oggi.

Se per caso credi che quello che hai pensato, programmato, progettato, va davvero come lo vuoi tu, sei un pazzo. Niente va mai esattamente come tu credevi. Volevi. La vita non scorre fluida e pulita come nei film. Non puoi illuderti. Le illusioni non sono realtà. La realtà è l’imprevisto. Che non sapevi, non immaginavi, non ipotizzavi, non ti capaciti, ma quando arriva ti può anche destabilizzare, come nel mio caso, una sciocchezza fra l’altro. In altri casi ti può addirittura uccidere.
È così che inizia la mia Normandia: il mio viaggio, la mia vacanza, le mie tre settimane da sola in moto. Un anno dedicato al sogno, libri e cartine tutto è con me. Persino un ultimo acquisto che si è rilevato eccezionale per efficienza un borsone “Amphibius” giallo fluorescente anti tutto. Ho 200 menate digitali fra carica cellulare, carica-caricacellulare poket, tablet e palle varie. Kit tenda, kit cibo, kit moto-pinze300usi e grasso-figo dei miei amici motociclistii e c@zzi e mazzi vari. Tutto perfetto.. Itinerario mezzo tracciato sul Garmin… Parto.

È mattino presto quando attraverso il Moncenisio con un nuovo pensiero: mi ricordo del capitolo letto su Don Dinamite. Ovvero del prete Francesco Foglia priore a Moncenisio, che partecipa attivamente alla distruzione del viadotto dell’Arnodera, cui “gli Alleati definiranno uno dei più importanti sabotaggi nell’Europa occidentale”. Vita particolare la sua, fra conflitti di ogni tipo compresi probabilmente quelli nella sua anima. È in Germania, in Baviera che chiede di essere sepolto.
Qualche sera prima ero stata propio lì su quel prato a 2000mt sul livello del mare per il Tinganight sulle nostre Alpi, a cercare stelle cadenti per esprime desideri da regalare a tutti. Che magia il Moncenisio di notte. Che freddo… E pure quel mattino… Dormiva la montagna, l’ombra sembrava una copertina, solo la vetta faceva timida capolino, come se non avesse avuto voglia di svegliarsi…
Adoro questa strada, adoro il Colle dell’Iseran, il cortile di casa dei miei amici, la Val d’Iser è silenzio così presto… Ed io sono tranquillissima. Arrivo a Bourg Saint Morice che incomincia ad esserci traffico, a fare caldo, mi fermo per fare benzina. E poi per reimpostare il navigatore.

Ed è la fine.

Ti sei mai reso conto di quanto si dia per scontato che se accendi qualcosa con un interruttore quella cosa funziona? Ma che bello è? Giri una chiave, schiacci un pulsante e senti quel suono che ti rende felice… È il motore. Significa tutto. Sordo, potente, misero, di qualsiasi cilindrata, ma significa che la tua moto è pronta per andare! Via! Certo. Quando tutto funziona. E se così non fosse? È il crollo. Mio.

Problema n1: accendo la moto E non parte più. Prima reazione: non ci credo. Mi viene da piangere. È appena iniziato tutto, sono pronta per tutto, è non funziona nulla. Non è possibile.
Problema n2: il cellulare non funziona. Voce francese che mi dice che nessuno è raggiungibile. Per fortuna gli sms funzionano. Ne spedisco uno a mio padre per informarlo. Mi chiama, non ci crede nemmeno lui, immagina sia la batteria (figurati monco so dove sia collocata sulla moto…), mi consiglia di farla riavviare, far girare bene la moto sul Piccolo San Bernardo e di tornare a casa per mettere a posto il problema e ripartire con più sicurezza dopo. Io non me lo sogno neanche di farmi colli vari, poiché conosco la mia guida, e avrei avuto il terrore di fermarmi a caso in un posto pericoloso. A primo impatto mi sentivo in mezzo al nulla e non sapevo come fare per risolvere il problema. Mi chiama pure il mio meccanico, avvisato da mio padre, che mi dice cosa fare e come fare: riavviare la moto e farci km tenendola ben su di giri senza farla mai spegnere... Secondo lui aver usato il navigatore ancora attaccato alla piastra della moto e da lei alimentata, quando ferma, ha esaurito la batteria. Deve ricaricarsi. Bene, eseguo, però non voglio tornare indietro.
Scelgo di andare verso Annecy. Prima però è da riavviare la moto. Devo trovare una officina meccanica. C'è, non lontana da dove mi trovo, ci arrivi faticando come una dannata a spinta poiché tutto in salita. Sole a palla sulla testa. In ‘sto “centro garage” spiego alla meglio in francese il mio problema e chiedo mi aiutino ad riavviare la moto. Smonta tutto il bagaglio, apri sella, pinze sulla batteria, accendi ed è tutto a posto. La mia errina funge. 30€ di servizio: quasi quasi cambio mestiere. Comunque tutti si augurano sia solo la batteria. Me lo auguro pure io.

Riparto tesa come una corda di violino. C'è un traffico allucinante, coda. Ogni rotonda ho il terrore si fermi la moto. Faccio delle partenze stile gran premio… gli altri mi prenderanno per pazza… Niente navigatore, la strada per Annecy è ben indicata e puoi farci anche i 100km orari.. credo di averli fatti in quarta per vedere su la lancetta dei contagiri… Arrivo ad Annecy. Devo decidere dove fermarmi, perché se non fosse la batteria il problema è un bel casino. Scelgo il campeggio in cui ero stata in primavera. Bellissimo. Se non altro so dove dormire e il massimo che può succedere è che l’indomani mio padre lasci mia madre “frattura” a casa e venga a prendere me... figlia tornata più presto del presto...

È pomeriggio, sono circa le 14.30, avrei potuto fare altri km, ma mi fermo: folle, cavalletto giro la chiave, il motore si spegne. Attendo un attimo. Sconsolata, già provata, e quasi sospirando riavvio la moto: funziona. L’avviamento c’è. Il motore c'è. Lo sento. Sorrido. Sono già stanca. Ma sorrido.
Monto la tenda e comincia a piovere un po’. Fa lo stesso non mi interessa. Avrei dovuto essere altrove, ma fa lo stesso, non mi interessa. Va bene così. Mi rilasso cucinandomi qualcosa e passeggiando sulla riva del lago.

Per quanto programmi l’imprevisto esiste. Farvi fronte è necessario. E mi ricordo un passo che avevo letto in “Il giorno più lungo”.

“Le noie cominciarono a causa delle condizioni atmosferiche. Soffiava un vento imprevisto […] e certi posti erano avvolti dalla nebbia. Gli aerei che trasportavano gli esploratori britannici incapparono in un violento fuoco antiaereo. I piloti compirono istintivamente manovre di scampo e, di conseguenza, sorpassarono o mancarono completamente i loro obiettivi.”


La mia meravigliosa moto, quando ancora non sapevo nulla del mio futuro prossimo... molto prossimo...
 
15865969
15865969 Inviato: 25 Ago 2017 17:43
 

Ho girato la Francia in lungo e in largo (in camper) e in Normandia e Bretagna ci ho lasciato un pezzo di cuore. Secondo me, insieme alla Savoia e alle Alpi Francesi sono le parti più belle.
Concordo con te che la Normandia non sia molto "motociclistica" (la Bretagna un po' di più) ma anche io vorrei tornarci, magari in moto, ma comunque tornarci.

doppio_lamp_naked.gif
 
15865986
15865986 Inviato: 25 Ago 2017 18:59
 

DOMENICA 6 AGOSTO - DA ANNECY A BELFORT : COME IL DISEGNO DI UN BAMBINO
Annecy- Pont del Pierres-Mijoux-Septmoncel-Saint Calude-Morbier-Mouthe-mi sono persa ma a Malpass ho detto che era proprio il mio- Pontarlier-Saint Hyppolite-Montbeliard-Belfort. Camping “L’Etang des Forges” Belfort


Oggi comincia il viaggio.

Ha piovuto nella notte. Piove nel primo mattino. Colazione, smonto tutto e prego che la moto riparta regolarmente. E naturalmente parte… C'è il Parco regionale dello Jura… è carino sicuro. I parchi francesi sono tutti carini. Non ne ho percorso uno che non mi fosse piaciuto. Ed infatti scorre tutto dolcemente. Strade bellissime e luoghi incantevoli e ‘ste casette sparse qua e là sono una favola. Prati verdissimi, morbidissimi, collinosiissimi e cieli azzurri intenso su di te e panna montata le nuvole… Sono dentro il disegno di un bambino… Sto benissimo. Sono davvero contenta. Mi piace quello che sto facendo… Si sale e si scende, guido sempre nei limiti, anzi sui tornanti sono al di sotto dei limiti legali motociclistici, anzi fisici: giroscopio… Rido pure pensando al giorno prima… Avevo raccontato a i miei amici la mia disavventura, solo una volta arrivata ad Annecy. Sarebbero stati capaci di raggiungermi a Bourg Saint Morice e aiutarmi in loco a risolvere il “problemino”… ma se posso evito di creare stress… o almeno, ci provo…

Bellissimo girovagare, fermarsi, controllare dove si è, cambiare cartina geografica Michelin, o meglio “mappina stellina” da Rhône-Alpes a Franche-Comté… Significa che stai andando avanti. Segui col dito il percorso… E le fermate. Anche se non ti ricordi dove… Però ti ricordi come.
Dunque sono arrivata in un paesino e come sono passata sulla strada principale la gendarmerie chiude la strada dietro di me. Che problema c'è ? Vado avanti…
No. Non vai da nessuna parte. Ti fermi. C'è l'inizio di una parata dall’altra parte della strada che sta venendo in su… Ma chissene. Sono in vacanza. Fermo tutto e mi godo la sfilata. Ed è carinissima: c'è musica, c'è aria di festa, ci sono gruppi di bambini che sfilano travestiti da drago, da capanna, da contadini con tanto di forconi e fieno. Pure un paio di mucche. In fondo il legame con la montagna per chi ci vive è profondo. La rispettano. È la loro risorsa, il loro sostentamento. Passano tutti ed io riparto.
Viaggio ancora un po’ , a 'na certa però mi perdo. Non so come io faccia col navigatore e la cartina, ma fatto è che non so dove io sia. Amen... lo reimposto ... E lui bravo mi porta a destinazione: stupendo passare da Malpass...

Alla fine nel pomeriggio mi ritrovo a Belfort. Il mio navigatore, il mio braccio destro in viaggio, il mio Garmin mi indica un campeggio e la strada per raggiungerlo. Sono serena, in Francia ce ne sono parecchi. Solo una volta ho avuto qualche problema, non in questa vacanza… e sono finita in un campeggio, di nudisti…

Tutto perfetto, o quasi. Nei campeggi non so mai come parcheggiare la moto fra erba e sassi e terriccio. Ho sempre paura vada giù col peso della borsa…

Comunque fermo tutto. Scarico il materiale, monto tendina e mi accorgo tardi che dimentico di aver comprato qualcosa per cena. Va bene che nel campeggino c'è un mini ristorante: bruschetta e birra ed io sono felice come una Pasqua. Guardo la mappina stellina e vedo un po’ cosa fare l’indomani.

A fine serata acquerello relax e un te caldo preparato in tenda. Comincio ad avere freddo ma sto abbastanza bene. La moto sembra non avere più problemi. Bene!


Relax in tendina a Belfort...
 
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15866013 Inviato: 25 Ago 2017 20:15
 

Seguo con molto interesse 0509_up.gif
 
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15866102 Inviato: 25 Ago 2017 22:36
 

LUNEDÌ 7 AGOSTO - DI LIBERTA' RACCONTA COLMAR.
Belfort - Colmar - Strasburgo - Belfortnotte in camping di Belfort.


Oggi comincia il viaggio.

Buio. Tenda. Siamo tante piccole lumachine, ognuno nel suo minuscolo guscio. Non so nemmeno io come faccia a starci tutto lì dentro. Eppure… Fuori fa freddo. Umido, l'erba è rigogliosa come tutta questa zona. C'è talmente tanto verde che gli altri colori scompaiono. È incredibile. Bellissimo, anche di notte a fare due passi perché ti scappa “plinplin”…

Mi sveglio un po’ infreddolita. Colazione con un po’ di te, caldo. Niente cibo mattutino... che peccato… devo assolutamente fare spesina..

Oggi voglio Colmar e voglio Strasburgo. Domani i Vosgi e via… Il campeggio è in una posizione comoda per tutto, scelgo di fermarmi ancora una notte. Così preparo solo la borsa da serbatoio per visitare i due paesi che mi interessano.

Scelgo la strada veloce per arrivare a Colmar, statalona… e non riesco a credere che possano esistere impianti di irrigazione o che ne so, che scorrono su e giù per i campi di grano o che ne so… Sono strutture leggiadro connubio fra il senso della terra e la tecnologia Non le avevo mai viste… manco una foto ho scattato. Ma non è importante.

Bene, arrivo a Colmar… Ti dico una cosa su Colmar: è graziosissima. Merita passarci e non solo. Vale sicuro la pena di fermarsi anche di sera. Deve essere stupenda, non immagino lo spettacolo dei riflessi delle casette sul canale al tramonto… Ma va beh… io ci sono solo passata. Ho parcheggiato la moto e devo dire che senza bauletti per stivare giacca e paraschiena è davvero noioso fare il “moto-turista”. Senza contare poi che mi perdo a scattare foto col cellulare…
Passeggio per le viette fra negozietti e localini e mille sono i fiorellini che profumano e colorano Colmar… E non sono la sola a camminare qui. C'è il mondo. Ma mi piace lo stesso. Anzi erano bellissimi quei giapponesi. Tantissimi. Ero felice fossero lì, liberi come mai avrebbero potuto immaginare nel 1944 di poter fare proprio quello che stavano facendo. Attraversare un Oceano per camminare passi turistici su terra francese. Questa cosa è stupenda! Ma ci rendiamo conto? Noi oggi possiamo farlo! Possiamo raggiungere Paesi che mai in guerra avremmo potuto pensare di sfiorare. C'è una ricchezza infinita nella libertà di potersi muovere da uno Stato all’altro. Da un confine all’altro. Senza problemi. Ma a volte capita che i conflitti siano del tutto personali.

Credimi so cosa sto scrivendo. Se io entrassi in Svizzera, non avendo mai pagato diversi anni fa, multe prese per eccesso di velocità da un mio ex che guidava la mia macchina, anche a mia insaputa, molto probabilmente potrei avere qualche problema. Storia triste che non ho certo voglia qui di raccontare nel dettaglio. Prima o poi metterò di nuovo mani su questo pezzo devastante della mia vita e di tuto ciò che esso ha significato: affonderò nello schifo di ciò che ho permesso accadesse e risolverò. Potrei tirare pugni mille volte contro un muro fino a vederne sanguinare le nocche, ancora adesso. Ma non lo faccio, scelgo piuttosto una carezza. Solo e soltanto per me stessa. Come questa bella giornata di sole trascorsa in due cittadine incantevoli…

Passeggiando per Colmar mi perdo nei sui colori e scorgo per terra una piastra di metallo: è la Statua della Libertà, quella che tutti conosciamo e che sappiamo essere a New York. Mentre mi dirigo a Strasburgo poi vedo di nuovo sul muro di un palazzo intero il disegno di un uomo e la famosa statua… Non vi dico la mia sorpresa nel vederla ergersi davvero su una mega rotonda… Era gigante. Pazzesco, non sapevo nulla di Colmar, in molti mi avevano detto che era carina ma mica mi sono mai documentata a dovere sulla sua storia e i suoi personaggi famosi. Anzi a volte è bellissimo proprio così: scoprire. Stupirsi!

Non avevo idea che lo scultore Frédéric-Auguste Barthold fosse nato a Colmar. E non ho idea di quale sia stato il suo percorso emotivo nel pensare, ideare e creare ciò che è divenuto il simbolo degli interi Stati Uniti d’America, non so da cosa sia stato smosso il suo inconscio per plasmare “La Libertà che illumina il mondo” , “Liberty Enlightening the World”, “La Liberté éclairant le monde”. Un’artista, uno scultore, esprime con le mani i sui pensieri. Le sue emozioni.
Fatto è che è un opera straordinaria, nel suo valore intrinseco e immortale.
Ed è quella la fiaccola che è sbarcata in terra di Normandia. È lei che ha iniziato a brillare nell’oscurità in cui era sprofondata l’Europa.

Vado via con quella fiera donna vestita di speranza nello specchietto retrovisore. Uno spettacolo che ti riempie il cuore di una strana, quasi innaturale, assolutamente non stupida gioia.

Strasburgo. Arrivo a Strasburgo. Sono felice, volevo questa città nei miei occhi. È qui che abitava Helmuth Lang, colui al quale il feldmaresciallo Erwin Rommel pronunciò fatidiche parole “Mi creda, Lang, le prime ventiquattr'ore dell’invasione saranno decisive… la sorte della Germania è legata a quelle ore… per gli Alleati, e per la Germania, sarà il giorno più lungo”. Ed era il 22 aprile 1944.
È qui a Strasburgo che Lang riceve la telefonata dal suo superiore e probabilmente ne ha colto nella voce che “Appariva terribilmente depresso” come descritto ne “Il girono più lungo”.

Non conosco l’intera biografia di Rommel. Ma so che era un Generale, al comando di migliaia di uomini. Di soldati. Uno dei pochi tedeschi ad aver intuito la reale zona dello sbarco degli Alleati. E aveva programmato la morte per loro. Al fine forse persino di difendere i suoi uomini, allo scopo di favorire, immagino, la vita dell’esercito cui era a comando, il Gruppo di armate B. Ora, come può sentirsi un generale che ha sempre combattuto in prima linea, insieme ai suoi uomini, cosa avrà provato quest’uomo sapendo di essere lontanissimo in quel 6 giugno 1944 dalla sua postazione militare al Quartier Generale del castello della Roche-Guyone in Normandia? Era in Germania in quelle ore. Da sua moglie, per il suo compleanno. E, per vedere Hitler e chiedergli di sguinzagliare le unità speciali di morte a capo di Hitler stesso. Non ne ho idea di come si potesse sentire. Magari solo sapeva già quanti suoi soldati sarebbero caduti. E quanto il suo nemico avrebbe potuto avanzare.

E dall'altra parte della Normandia, lì di fronte, in Inghilterra, come si sentiva il Generale Dwight David Eisenhower Comandante Supremo delle Forze di Spedizione Alleate a dover decidere di dare l’ordine di inizio dell’intera immane Operazione Overlord?
Persino lui gli ordini li aveva ricevuti dai suoi superiori a Washington “Sbarcherete sul continente europeo e, in collegamento con le altre Nazioni Unite, inizierete operazioni per raggiungere il cuore della Germania e distruggere le sue forze armate”.

Ma non ho voglia di pensare a queste cose. A queste tensioni di responsabilità inimmaginabili.
Sono a Strasburgo, sede del Parlamento Europeo e della Commissione Europea per i Diritti Umani. Si respira Europa Unita qui. E sono le bandiere di tutti i suoi Stati, coloratissime irte accanto alla sua modernissima Stazione. Di cui ho voluto sentirne l’odore dei binari.

Quante storie potrebbe raccontare quella Stazione. Quante storie raccontano le Stazioni? Io adoro la mia di Torino. Porta Nuova. Ne amo ascoltare la musica suonata al pianoforte, a disposizione di chiunque abbia piacere di allietare il passaggio dei viaggiatori. Mi è capitato di ascoltare suonare Yruma. Mi sono commossa, era una ragazzina ad accarezzare quella tastiera. Quante avrebbero voluto farlo e non hanno potuto, poiché salite su un treno, proprio dalla mia stazione in cui io abito. Un treno con una sola fermata: morte. Una lapide in marmo a ricordare le deportazioni nei campi di sterminio nazisti. Non so quanti ci abbiano mai fatto caso. Però c'è.

E c’è un caldo pazzesco. Le bandiere non sventolano nemmeno… E questa cittadina dalla storia così contesa fra Francia e Germania in cui è stata scritta la Marsigliese ho proprio voglia di godermela un po’. In realtà ho camminato tantissimo. Caldissimo… Altri mototuristi in giro… siamo tutti goffissimi e imbardatissimi… Scatto altre 200 foto… E mi perdo nei negozi in cui vorrei compare tutto. Tutto di tutto… Ma poi è un casino… pure il negozietti di Robi e a 2€ è fantastico… Ma in moto come ce le metto le tazze e i portavasi e le tovagliette e le pinze e le agende e… e… e… Niente. Non compro nulla se no un paio di cartoline sottili sottili….

Ed è bellissimo perdersi nell’ombra delle vie con incantevoli e antichissime e caratteristiche case a graticcio da cui una finestra si espande ad alto volume un pezzo dei Rolling Stones… Fantastico.

Torno verso la moto, ho voglia di fermarmi a comprare qualcosa e cucinare la mia cenetta.
Non prima di aver comprato un’altra cartina geografica France Nord-Est Michelin… comodissima!
Malattia…

Domani voglio i Vosgi!

Ps. i francesi in campeggio sono avanti anni luce. Ho visto montare eccezionali tende-castello-Disney in un nano secondo... per non dire dei barbecue che a na certa ora fan certi profum... di cui chiaro a me sarebbe interessata la verdura grigliata... Haaa... ma io sono felice.. ho il mio fornelletto e mi cucino vegoso quel che voglio... serenamente...

NB. Qualsiasi riferimento alle persone che hanno solcato la Storia, personaggi incisivi in essa, vuole essere solo una mia personalissima visione di quanto accaduto. Sono sensazioni del tutto personali. No ho alcuna prestesa di narrare fatti che sono decisamente meglio descritti oggettivamente in qualsiasi testo di Storia. Ci mancherebbe...

Ora un paio di foto...
 
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15866107 Inviato: 25 Ago 2017 22:52
 



Strasburgo...
 
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15866222 Inviato: 26 Ago 2017 10:56
 

accidenti..meglio di un libro. grande. e mi e' parso sia pure vegana
 
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15866227 Inviato: 26 Ago 2017 11:25
 

MARTEDÌ 8 AGOSTO FERMA A BELFORT : MI ALLONTANO.

Oggi comincia il viaggio.

Dov’è che volevo andare io? Vosgi? In moto? Certo. Magari domani. Se smette di piovere. Perché ha piovuto tutta la notte. E pioverà tutto il giorno. Tutto ‘sto rigoglioso verde smeraldo che ho attorno avrà pur un motivo di esistere??… Sarà mica che piove abbastanza spesso?…

No comment. Ho freddo. E non so se fregarmene della pioggia e partire, oppure stare ferma ferma buona buona. Naturalmente opto per la seconda: sono pur sempre in vacanza e ho a disposizione un boato di giorni… Mi ritappo in tenda e torno a dormire, o almeno a rilassarmi al suono delle goccioline (200 al secondo) che bussano sulla mia microtendina…

Poi doccia caldissima per cominciare bene la giornata. E dopo ancora, sotto una pioggia scrosciante a fare un giro in un supermercato vicino. Il proprietario del campeggio mi nota e mi offre un passaggio sul furgone. Chiacchieriamo un po’ e scopro essere un motociclista che ha fatto il giro del Mediterraneo, Egitto compreso. Mi fa capire che gli dispiace non poter più andare via quando vuole a causa naturalmente del suo lavoro: ci sono mille robe da gestire in un campeggio gigantesco. Io capisco e sono davvero contenta del mio di lavoro… (rischio botte per questa frase…). Gli racconto delle mie intenzioni motociclistiche e chissà se mai davvero ci arriverò in Normandia. Lo ringrazio tantissimo per il passaggio, scendo, ed entro al volo nel supermercatino.

Ci sto due anni. Guardo tutto di tutto. Comprerei tutto di tutto. Piatti, casseruole, calze, lenzuola, vino, agende, segnaposto, tovaglie, bustine di carta, pennarelli, tutta roba comoda da mettere in valigia.. tanto mica occupa spazio no? …. Sono il delirio… non prendo nulla… a parte cibo schifezza: guacamole e tacos, cipolla e zucchine e roba alla frutta… e biscotti. La mia dieta vegana comincia ad andare a ramengo. Non so nemmeno come io possa cucinare sotto la pioggia. É un macello. Ma lo faccio lo stesso.

Tornata in tenda non mi capacito del meteo. Guardo la moto e mi fa pena. Quanta acqua si sta prendendo? Poverina.

Mi ritappo dentro tendina. Tutto il campeggio è tappato in tendina. Secondo me fra 9 mesi aumenteranno le nascite di una certa… Si sente di tutto… Sarà la pioggia che renderà particolarmente intimo l’incontro delle coppiette? Bohhh… io sono tranquilla nella mia, scrivo e sgranocchio le patatine col guacamole. Poi finalmente pare che si assottigli la pesantezza del suono delle goccioline d’acqua.. Forse sta spiovendo. Bene, palla al balzo per fare un giro a Belfort.

Sai, se questa cittadina si chiama si chiama Belfort un motivo ci sarà? “A l’è propj Bel Fort!”…
Passeggio cercando la via del centro, noto su uno spiazzo una statua di un uomo con le braccia in alto ma decido di passarci davanti più tardi. Cammino così verso la piazza principale, mi piace la giostrina per bambini lì in mezzo, e mi piacciono e mi colpiscono sempre quelle tre parole che frequentemente in Francia puoi leggere “Libertè, Egalitè, Fraternitè”, nell’entrata delle scuole, dei Palazzi di Giustizia, negli Hotel de Ville (ovvero la sede del Comune). E poi sempre puoi vedere la bandiera francese e la bandiera dell’Europa. Sono belle quelle stelle gialle su quel drappo blu. Mi piace la bandiera dell’Europa. Perché sì anche l’Europa ne ha una tutta sua.

Ho un debole per le bandiere. Per il loro significato, simbolico. Un semplice tessuto, un disegno particolare ed un intero popolo è pronto a combattere per difenderlo, quel valore che rappresenta l'identità della propria Nazione. E sono proprio le bandiere che vengono issate trionfanti sui paesi liberati dagli Alleati. Il colonnello Krause ne aveva una a stelle e strisce che aveva sventolato a Napoli. Ha sventolato prima dell’alba del D-Day sulla prima città liberata in Francia dagli americani: Saint-Mère-Église. Non immagino cosa potesse significare indicarla per gli abitanti di quel paesino.

E che dire di quel marinaio che mentre la sua nave, la USS Corry, affonda bombardata dai tedeschi di fronte a Utah Beach, nuota nel fuoco nemico pur di riuscire ad issare all’albero maestro a far sbattere al vento la sua bandiera? La bandiera degli Stati Uniti d’America. A sbattere in faccia all’oppressore la sua insistente presenza.

Certo è straordinaria la storia di quella francese. Signori la Rivoluzione è partita da lì. Il loro drappo è nato nel 1789. Ma è per quella italiana che mi commuovo.

Ricordo il raduno degli Alpini a Torino. Tempo fa. Ne ricordo la sfilata in via Roma. Forse le ho già scritte queste sensazioni, non so più nemmeno dove, ma mi hanno davvero toccata. C’erano solo bandiere verdi bianche e rosse. Erano immense portate a volare sulla testa di interi gruppi di decine e decine di Alpini in abiti militari. Ma una era piegata e sbiadita, in un silenzio tombale colui che la sorreggeva sulle sue mani. In silenzio tutti gli altri Alpini dietro di lui. In silenzio tutto quel tratto di Via Roma in quel suo passaggio intriso della solennità e del rispetto dovuto a chi è morto per la Patria è la sua libertà. Avevo posato i miei occhi su quella bandiera e quando li avevo ripresi ne avevo sentito lacrime su essi.

Ha una sua origine anche la nostra di bandiera e se si leggono un po' di cosine, si scopre che sono due giovani ad aver iniziato la sua storia a Bologna, ed era il 1794, ma dovevano trascorre ancora quasi cento anni prima che nascesse il Regno d’Italia con capitale la mia Torino: era il 1861. Nel primo Parlamento italiano troviamo nomi come Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Alessandro Manzoni, Giuseppe Verdi. Ed oggi? Quali personalità al Parlamento? Sono italiana e mi sento smarrita.

Sono una turista che cammina per Belfort. E ho il naso all’insù e vedo gente sul parapetto della fortezza su cui sventola irridente la bandiera nazionale della terra su cui percorro la mia vacanza. E voglio raggiungere quel posto. E naturalmente ci arrivo. Cammino per il paesino, e adoro i tetti grigi lunghissimi e altissimi dell’Alsazia… Chissà cosa non sono tutte ste mansardine… una meraviglia! Scatto foto.. ma non vengono mai come io vorrei..

E poi cammino ancora e mi fermo. C'è un marmo affisso alle mura che attrae la mia attenzione.
Sbarco: in Provenza. Il Generale De Lattre De Tassigny forgiato in Africa e in Italia ha liberato Belfort il 20/11/1944.
E poi cammino e mi fermo. Fanno impressione le mura di cinta di questa fortezza. Presente dal XVII secolo. Certamente da qua si uccideva. On maggiori probabilità di non venire a propria volta uccisi.
E poi cammino e mi fermo. Ci sono due cannoni nella piazza centrale della fortezza. Ed un bar con divani e cuscini di fronte. Sono pesanti solo a guardarli. Quanti uomini erano necessari per spostarli? Quanto lontano potevano arrivare le loro bombe? Quanta morte hanno inflitto? Sono persino belli, eleganti, con tanto di decori e stemmi e scritte. Ma fanno impressione pure nel loro secolare silenzio.

E poi mi muovo.. cammino proprio su quel parapetto che dicevo prima in cui svetta la bandiera francese.. e ci sono i pannelli orientativi in ceramica. E rido: indicano addirittura dove siano i garage e le banche… No comment…

Proseguo verso la statua simobolo di Belfort: un leone. La statua è esterna, ma chiedono di pagare un biglietto per non mi è chiaro cosa. Fatto è che non mi interessa… Scatto l’ultima foto al volo e poi il cellulare mi abbandona… ‘Ste batterie… non le sopporto proprio… Ma fa lo stesso. Va bene anche così. Anzi meglio. Ho tempo per distendere i pensieri. Che fra quelle mura ho notato anche un marmo con scritte in polacco. E di nuovo la mente è sulla seconda guerra mondiale. Ed è stata la Polonia ad essere invasa da Hitler. Non riesco ad immaginare un’invasione militare. Carri armati e uniformi, fuoco e armi e non sai più chi sei. E dove puoi vivere. In quanti Paesi si trovano in queste condizioni oggi? Non lo so. Ma forse qualcuno.

E torno giù. Verso quella piazzetta carina carina. E ricordo di essermi innamorata di una pianta le cui foglie erano come ombrelli, erano enormi. Un bimbo avrebbe potuto ripararsi serenamente dalla pioggia. Che sì, ogni tanto qualche goccia c'era ancora. Mi siedo su una sdraio, poiché in mezzo alla piazzetta c'è un recinto di sabbia in cui i bambini giocano. La sabbia è bagnata, ma a loro non interessa. Sanno divertirsi sempre i bambini, come gli adulti non sono più capaci di fare. Poi desidero qualcosa di caldo, fa freschetto. Mi siedo ad un tavolino al sole e ordino un gran caffè. Roba da matti lo so.. ma ne avevo voglia. E non era nemmeno male sorseggiato con un po’ di calma. Ed io non lo so ancora, ma mi ritrovo in un acquerello.

Noto in lontananza quasi di fronte a me un uomo seduto su uno sgabellino. Sta dipingendo dal vivo: alza la testa, traccia un segno sul foglio e rialza la testa… Mi incuriosisce, desidero vedere la sua opera. Con tutta tranquillità cammino e mi fermo appena dietro di lui. È un acquerello stupendo. Di quelli cui io non sarò mai in grado di disegnare. Non sono capace o forse dovrei solo iscrivermi ad un corso e provare e riprovare e riprovare come spesso mi dice Edo… Che anche lui sì è un pittore… Io uso l’acquerello per sciacquare la mente. Quando mi sento un po’ così. Boh.. non saprei…

Fatto è che in quel dipinto, stilizzato, ci sono pure io in quel caffè… E non ci riesco a stare zitta e gli dico nel mio improprio francese che è bellissimo quel suo lavoro, e mi chiedo come faccia e vedo che ha un pennello di plastica con l’acqua già inserita.. mai visto… E lui mi mostra un intero album, decisamente artistico. Si denota che ha viaggiato molto. Particolari ritagliati e dipinti di diverse città sono presenti in quel suo raccoglitore di momenti di vita vissuta. La sua. Io non è ne ero accorta, in realtà c’era un intero gruppo di pittori e ognuno disegnava qualcosa… Erano carinissimi, mi spiegano che si incontrano di tanto in tanto e fanno addirittura raduni nazionali ed internazionali… Se penso ai miei di acquerelli… Rido… è come se li avesse dipinti una bambina di 5 anni…. Ma chissene… va bene così.

Comincia a fare sempre più freddo. Torno verso il campeggio. E passo davanti a quello spiazzo su cui c'è quella statua in mezzo al traffico che avevo scorto all’andata. È un monumento che parla di Resistenza francese. Ci sono catene spezzate alle mani di quell’uomo. Non a caso la strada principale si chiama Jan Moulen. E stiamo parlando di un altro pezzo di storia non indifferente della Francia Resistente. Morta per la libertà e l'indipendenza. Accanto alla statua spicca sul pavimento una mattonella di marmo nero. E non riesco a credere a quello che sto leggendo. Non lo immaginavo. Non me lo aspettavo, ho indietreggiato immediatamente.

Ceneri, delle persone morte in un campo di concentramento nazista.

Ho letto libri, ascoltato testimonianze in TV, visto film. Ma mai esperienza concreta sulla morte e la deportazione aveva sfiorato la mia esistenza. A pochi centimetri da me avvertivo le Parole di Primo Levi “Meditate che questo è stato”. Epitaffi ad onorare e ricordare le persone morte. Ed io non capisco più il senso delle tombe. Ma io non sono niente. Non sono nessuno.

So solo che mi allontano da quella situazione emotiva che non so come gestire. E spostandomi ai lati dello spiazzo non è tanto leggere il nome della piazza “Place Anne Frank” quanto il divieto del cartello stradale lì accanto: non si può fare skating e rolling. Ed io non so più che pensare.
Mi ricordo da ragazzina una vacanza a Londra. Ero rimasta stupitissima di quanto i giovani londinesi fossero come proprietari tutti dei loro monumenti. Io mi ricordo i ragazzi seduti sui leoni di Trafalgar Square. Vivevano pezzi di storia della loro Nazione. Non sto parlando di atti di vandalismo, ma semplicemente di un modo di “sentire” la propria città. E quindi i loro personaggi importanti ed i valori che li raffigurano.

Non so più se possa essere giusto oppure no ed in funzione di che cosa non permettere ai giovani di usare uno skateboard su quei gradini. Magari avrebbero potuto onorare col brio e la freschezza che solo i giovani posseggono la vita stessa della coetanea Anna Frank. Ma c’ da perdersi in questi pensieri che sono solo una confusione mia, personalissima. E quella piazza, comunque è in Francia. Non in Italia… Quindi vado via… e torno in campeggio.

Entro un attimo nella reception. Guardo un po' i volantini. Ne prendo uno in mano. Sorrido. Lo adoro già. Per tutto quello che evoca in me.
Sai, nel “mio preparami” alla Normandia, dopo mille e mille parole che rimbombano di orrore, hai bisogno di qualcosa che ti faccia stare meglio. Che sia delicatezza. Dolcezza profondissima. Ti chiedi se, in quel periodo di distruzione qualcuno abbia scritto qualcosa di morbido. E sì c'è. E lo avevo letto anni e anni fa. “Il Piccolo Principe”, prima edizione 1943. Non conoscevo la storia del suo autore, Antoine de Saint-Exuoery, un uomo che amava volare, e lo fece anche in guerra. Uno scrittore, conosciuto in quegli anni in Germania per le sue opere inerenti l’aviazione. Stimato dai suoi colleghi piloti, solo di un’altra bandiera. E fu abbattuto da uno di essi. Leggendo due cosine, scopro quel pilota tedesco che abbattè l’aereo di Antoine aveva sperato a lungo di non essere stato propio lui ad ingaggiare fuoco in quella notte funesta di scontro aereo.
Un soldato, un pilota, conosce chi sta uccidendo?
O forse in stato di guerra l’unico motto possibile è “Mors tua vita mea”?

Cucino il mio pasto caldo, chiudo la tenda e con pensieri appannati vado a dormire.
Fuori piove.
 
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15866276 Inviato: 26 Ago 2017 14:55
 

MARCOLEDI 9 AGOSTO - Da BELFORT A CHARZEVILLE : POESIA.
Belfort - Ballon d’Alsazie - e poi fuori dai c******i- Epinal - Nancy che peccato non ho visitato - Toul - Verdun (mi è bastato l'ufficio turismo) - Stenay - Charleville Mezieres - Camping “Du Mont Olympe” Charleville Mezieres


Oggi comincia il viaggio.

Mi sveglio presto. Ho voglia di fare chilometri. Ho voglia di vedere i Vosgi. Ma, piove, non molto ma è tutto bagnato. Smonto tenda, ricompatto la borsa. Ricarico e fisso come riesco il borsone che in realtà si muove sempre troppo. Ma basta di stare lì. Voglio andare via. E così guardo la cartina presa a Strasburgo e mi dirigo verso il Ballon d’Alsazie… che è presente in tutte le salse in ogni indicazione, cartello stradale e volanti di tutta l’Alsazia… Non puoi non passarci. Ci vado.

Mamma mia. Che freddo. Ho un freddo assassino. E di assassino non c'è solo quello. Asfalto. Neroneronero. Umidoumidoumido. Ha preso acqua per due giorni. È un buco nero. Se voli, non ti ritrovi più. Garantito. Guido non propriamente tranquilla. Nebbia e nuvole fra strada e alberi e zero ombra di sole. Manco mezzo raggio sbiadito. Ma vado su comunque. Piano, come sempre. Più del sempre. Non c'è nessuno. Tranne una presenza che mi rincuora e non poco: un istruttore di guida in moto col suo allievo al seguito. Naturalmente mi superano. E non vi dico fra me e quell’allievo chi avesse avuto davvero bisogno di lezioni di guida sui tornanti e le curve sui colli… Non sarò mai capace di guidare come loro. Tutti quelli che vedo in moto e sono uno spettacolo di fluidità. Io quella cosa non ce l’ho….

Fatto è che percorro sta benedetta strada, che sa certo di moto tanto che i guardrail hanno come un cordolo protettivo extra, e continuo verso sto benedetto Ballon... E ci arrivo su. E fa un freddo polare anche se sei solo a 1247mt di altezza. Manco fosse lo Stelvio. E però, che bello che è. Merita. Ampio e verde tutto intorno e i bar, ancora chiusi quando passo io, saranno vividi di colori di caschi e guanti e e già che da moto e moto le immagino ovunque. Peccato davvero non ci fosse il sole. Devo decidere quale strada fare, se percorremi ancora i Vosgi in quelle condizioni e toccare anche la Linea Maginot o se scendere giù e proseguire verso la mia meta: Dunkerque.

Opto per la seconda a malincuore. I Vosgi sono sempre lì. E sicuramente sono degli di attenzione motociclistica. Giro la moto e mi dirigo verso Epinal.
La strada comincia ad asciugarsi un po', ed i paesaggi profumano di sottobosco attorno a me. Decanta tutto quando spiove… In moto puoi aprire la visiera e sentirti innondare le narici. Mi piace questa cosa… Come in Corsica: quanto profuma la Corsica… Ho ricordi aromatizzati di quell’estate lì con la mia vecchia errina 5.

Qui poi le strade sono stupende ed i colori brillano nitidi come non immagini, contrasti fantastici!
E tranquilla arrivo a Nancy. Che è stupenda! Merita fermarsi, passeggiare, magari passeggiarci che una notte e attraversarla di sera. Tutte cose che io non faccio. Sono appena partita, adesso c'è il sole, sono imbardata e camminare è un casino. Senza contare che è sempre un rischio lasciare la moto con tutto a portata di mano di un qualsivoglia malvivente… Ho tutto il mio equipaggio su quella moto! Niente, scatto due foto al volo e proseguo.

Direzione Verdun.

Alt. Fermiamoci un attimo. Stiamo parlando di una zona della Francia in cui “dal 21 febbraio al 15 luglio 1916 le artiglierie spararono 37.000.000 di granate: quella tedesca 22.000.000 e quella francese 15.000.000” (dati tratti da “La via del coraggio”). Stiamo parlando della Prima Guerra Mondiale, stiamo parlando del coraggio massimo ben definito da Riccardo Dal Monte in cui si ritrovava catapultato il soldato, l’uomo, durante quel conflitto. Ogni combattente è sottoposto ad incredibile potenziale di morte delle armi impiegate, lunghissima durata dei combattimenti e impreparazione psicologica alla guerra. Di trincea nel ’15-’18.

Mi sono smarrita a leggere anche di questo periodo che ha arrestato la vita di 17.000.000 di persone. E 20.000.000 i feriti e mutilati che hanno serbato per sempre sulla propria pelle il segno tangibile della Grande Guerra. È atroce quello che ho letto, quello che hanno subito gli eserciti di qualsiasi Paese. Impazzivano quei ragazzi. Non credo potessero fare altro per sopportare la carneficina dei corpi dei loro compagni con cui magari un secondo prima avevano condiviso il rancio. Io non lo posso neanche immaginare cosa significasse sentire il suono delle bombe, delle mitragliatrici dei corpi colpiti da esse. E per cosa? Perché? Inorridisci quando leggi che i britannici nella battaglia della Some dopo cinque mesi si ritrovarono con un guadagno di 13 chilometri al prezzo di 420.000 tra morti, feriti e dispersi. È un numero che non so immaginare. Questo primo conflitto, è stato devastante: la conquista di pochi metri di terra al prezzo di mila vite. È impressionante.

E quanto accaduto in Italia non è da meno. Basti pensare al Carso. Da ragazzina, a scuola, in un tema, avevo abbracciato Giuseppe Ungaretti: ne aveva bisogno, un po' di calore. Ero vicina sedutagli accanto su quelle pietre. E avevo pianto io, per lui.

Eppure ho visto un video che mi aveva lasciato oltre occhi velati, sorrisi delicati e pensieri. Il canto dei soldati tedeschi in trincea alla Vigilia di Natale commueve i ragazzi della trincea di fronte, che solo hanno una "divisa di un altro colore". Ma, rispondono al canto. Ed è un giorno di tregua. Di doni, di una memorabile partita al Giuoco del calcio in mezzo alla terra di nessuno. Era la battaglia delle Fiandre. Era il 24 dicembre 1914.

Qui sono nel Verdun. Qui è accaduto altro. Con altre intenzioni.
Ti prego, prenditi il piacere, o meglio il male di pancia solo a leggere su Wikipedia alla voce Verdun “lo scopo dell'offensiva di Falkenhayn fu quello di "dissanguare goccia a goccia" l'esercito francese”. È così è accaduto, al di là della vittoria, per entrambi gli eserciti pronti a perpetrare gli ordini: il loro dovere.

Bene, io sto percorrendo questa strada avvertendo un certo senso di angoscia. Sono presenti cartelli che ti ricordano cosa è accaduto. Ma ci sono anche quelli volti alla pace. Perché è così adesso: tedeschi e francesi bevono caffè al bar insieme. Si incontrano. Ed è meraviglioso.

Arrivo nel paesino tanto amato dai francesi e parcheggio la moto. Mi sento un po’ accaldata, bevo acqua mai abbastanza. Ed entro nell’ufficio informazioni turistiche. E mi è bastata quell’esperienza. Fotografie, guerra, uomini soldati, guerra, armi, musei e guerra, morte e morte e morte ancora. Ovunque attorno sento solo questo. Sto male. Libri, tazze e segnaposto, carte da gioco e portachiavi, tutti souvenir. Di guerra. C'è persino una mappa sul “Meuse en camping car” con tutte le tappe di quello che fu. Poi il libricini commemorativi del centenario, il programma delle manifestazioni. E poi la copertina di un libro. Che fra tutti mi ha già trafitto. Titolo “Le coeur en bataille” È un libro per bambini. Forse io capisco solo più il loro linguaggio. Non sono pronta al resto. Non riesco. Non sono capace. Ma amo gli autori per bambini, loro sì riescono a raccontare con cuscini il male che è accaduto. Io ho bisogno di cuscini in questo momento. Come quelli soffici che posso trovare nella copertina di questo libro. Sono disegnati dolcissimi un soldato in divisa e una ragazza dai capelli rossi fra le sue braccia. E lui ha un mazzolino di fiori in mano. Lo sfoglio ed insieme ai disegni a piena pagina ci sono poche semplici scritte. Una smuove fiumi di lacrime che tengo saldamente nascoste.

“Leurs mains se sont frôlées dans le silence
d’un film muet,
mais leurs coeurs se sont rencontrés”

Ho occhi rossi e gonfi. Ho voglia di piangere, ma lì, in quell’ufficio proprio non posso.
Continuo a sfogliare il libro ed ben strutturata a portata di bambino, quasi mia, tutta la parte documentativa della battaglia di Verdun. E naturalmente intuisco che il libro che sto tenendo in mano non può che essere il risultato finale di un progetto educativo svolto in collaborazione con una scuola, probabilmente elementare all’interno deI programma di celebrazione del centenario.
E la scuola è TUTTO. E gli adulti che all’interno vi operano hanno l’onere della responsabilità di ogni singolo valore che viene trasmesso alle generazioni che volgeranno il propio Paese ad un futuro sempre migliore. O almeno è così che dovrebbe essere. È così che mi vivo io il mio lavoro. Una responsabilità di cui lo Stato italiano mi ha investita. Mi chiedo se io ne sia sempre, davvero, all’altezza.

Pago il libro ed esco. E non voglio null’altro di Verdun. Voglio andare via. E vado via. Riaccendo la moto che per fortuna riparte sempre, navigatore pronto e mi dirigo verso Charleville. Ma non mi aspetto lì, mente sono sulla mia moto, di vedere accanto a me un cimitero. Croci nere di ferro, tutte uguali. Non non so quante fossero. Ma erano tante. Non mi fermo. Via.

E via via la strada è davvero sempre carina e cambiano le casette che diventano di pietra rossa e i colori dei campi che sono di grano ed è tutto così ampio e vasto a perdita d’occhio quella morbidezza… e quel silenzio. Che non immagini. Mi ero fermata a un attimo sulla strada in un punto a caso in mezzo ai campi. Quando ho tolto il casco sono rimasta come stordita dall’assenza di suoni. Mi ha impressionata quella situazione. C'era una quiete penetrante. E me la sono goduta tutta. Ne avevo bisogno.

Poi di nuovo motina e arrivo al campeggio di Charleville. E comincia a piovigginare. Scarico tutto, monto tendina, doccia bollente e via a fare due passi in questo paesino stupendo dal porto inaspettato che ho adorato. Che belle barche… Quelle grandi da fiume, stupende!

Mi piace Charleville… Ville fondata da tal Charl.. Cui è presente ovviamente una statua in mezzo alla via principale… Rido.. voglio anch'io “Atramville” sarebbe carinissima tutta colorata, lucine ovunque, compresi lampioni ad olio profumato… fiorellini ovunque, cuscini e tappeti ovunque, niente motori, sia va solo a spasso, negozietti di dolcetti, magari vegani, librerie all’infinito, e aree apposite in mezzo alla Ville.. area birra… area arte… area lettura… area musica dal vivo… area yoga e robine così… area relax con amache… area pranzo-cena-colazione-merenda-eapertivo-spuntino-di-mezzanotte… e magari tutto attorno un boschetto con il sentiernino per correre… e un ruscelletto con un laghetto per fare il bagno… e sarebbero benvenuti tutti, cani e gatti compresi… Sì… ci vivrei bene ad “Atramville”. Ma tutto ciò non esiste. Perché persino qui in questo posto dal centro storico il cui Palazzo mi ricorda qualcosa del castello del Valentino o la Reggia di Venaria o che ne so, fra portici e vie del centro, ancora una volta scorgo qualcosa che rimanda alla realtà più cruda. Sono nomi quelli che leggo incisi su pietra degli “enfants morts pour la France”. E il luogo in cui si trova il monumento ai caduti, una piazza che pare sia più un parcheggio che altro, si chiama “Place Winston Churchill”. All’incrocio con Rue del la Paix.

Sospiro e ritorno verso il campeggio a preparami cena. Ancora qualche foto però, non posso permettere di avere nel mio cellulare solo quelle intrise di sangue. E qui a Charleville c'è da divertirsi per originalità delle scelte di arredo e metropolitano… Dalle zone di sabbia alle panchine e tavolini di pallet di legno, finanche all’arte di gusto particolarissimo delle parole sedute sulle sedie immobili lungo il canale. Che peccato non conoscere il francese a dovere. Sono tutte citazioni di personaggi della cultura letteraria francese. E scultura lo schienale di ogni sedia ne esprime l'essenza della citazione.

È il pensiero è per la poesia. Amo le poesie, amo i poeti. La loro sensibilità d’inchiostro, ti arriva e con te rimane. Penso ad una poesia in particolare, “Chanson d’ Automne” di Paul Verlaine.
Lo avrebbe mai immaginato Paul che gli Alleati avrebbero scelto proprio la lettura della sua poesia su Radio Londra e che nei versi “Les sanglots longs des violons de l’automne” c’era l’ordine ai Maquis francesi di avviare le azioni di sabotaggio in Normandia?
Che cosa ha significato per la Resistenza ascoltatore finalmente, proprio quel messaggio?
Il D-Day era giunto.

Ed io ho la sensazione che la pesantezza della mia testa aumenti man mano che mi avvicino a quelle spiagge, a quell’Oceano.

Vado a dormire e ancora pioviggina.
 
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15866293 Inviato: 26 Ago 2017 16:17
 

Chapeau per quello che sto leggendo e per come lo stai scrivendo.
Ti seguo nel racconto, ancora complimenti
Stefano
 
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15866320 Inviato: 26 Ago 2017 18:22
 

MERCOLEDÌ 10 AGOSTO DA CHARLEVILLE A DUNKERQUE : SONO ACQUA.
Charleville- Hiroson-Cambrai-Arras-Bethune-Dunkerque. Camping “La Licorne” Dunkerque.


Sai, prima di raccontarti questo giorno ho bisogno di dirti che il Senso di un viaggio si compie solo all’ultimo giorno. Solo quando sei tornata. Quando la moto è in garage e tu a casa.
Questo è stato un viaggio inaspettatamente intenso per pensieri e considerazioni ed emozioni. E quando sono tornata, nelle prime ore, il primo giorno mi sono sentita come ovattata. Come se fossi stata un sub in decompressione. Mettendo via la roba, riprendendo in mano le fatture dei campeggi, le cartoline comprate, i ricordini semplici come matite, ho rivisto anche le fotografie sul cellulare.

Io lo avevo intuito già quel giorno. Ma quel giorno sapevo che avrei dovuto ancora vivere la Normandia e non potevo immaginare cosa avrei provato camminando sulle sue spiagge. Ma certo, non avrebbe potuto essere più significativo di quanto avessi sentito a Dunquerke. Avrebbe potuto solo confermarlo.

Quando sono tornata, prima ancora di cominciare a scrivere questo report ho solo pubblicato su fb, per la mia piccola nicchia di amici che conosco di persona, una fotografia. Nessuna rielaborazione, nessun miglioramento digitale. Solo quell’istante e solo le mie misere parole. Vissute nel giorno che sto per raccontarti.


Oggi comincia il viaggio.

Mi sveglio che è tutto abbastanza umido, te caldo al mattino lo apprezzo sempre. Sono tranquilla oggi voglio l’Oceano.

Rismonto tutto, altri motociclisti in campeggio, per la verità pochi, inglesi e tedeschi. I tedeschi tecnicissimi. Sembra che uno abbia un problema, mi avvicino e chiedo se è tutto ok. Mi dice di sì.. sta solo impostando il navigatore e accende e spegne la moto.. da ferma…

Io da quando decido di partire a quando parto, parte almeno un’ora: è un lavoro tutto ‘sto monta e smonta, piega, arrotola, tira, stringi, sgonfia, ci vuole tempo… e il borsone spettacolo antipioggia è tipo tetris… Comunque sono pronta… La moto si accende e vado via…
Non me le ricordo tutte le strade percorse nello specifico, ricordo solo che i paesaggi cominciavano ad essere ancora di versi, più asciutti, persino le case. Sempre di pietra a vista ma di colore grigio, non più rosso. Guido con calma, e poi mi illumino.
Sì perché quando leggi un nome, uno di quelli che hai visto a casa mille volte quando aprivi una cartina e ogni volta sospiravi dicendo “Chissà se ci arriverò?”, che persino sulla mappa in scala ne percepivi la distanza da casa, beh… quando quel nome lo vedi su un cartello stradale ti illumini d’immenso…
Dio come ero felice di legge Dunkerque! Ma comincia a piovere. Una pioggia torrenziale che mette alla prova la mia tenuta tecnica Halvarsons che però regge spettacolarmente. Credimi, fa la differenza guidare asciutti. Me lo ricordo sulle Alpi qualche anno fa, l’acqua presa in moto con la tuta di pelle: un gran casino.
Ma anche qui il casino c'è stato comunque: navigatore. Impostavo il nome della città e lui si spegneva. Ogni volta. Un nervoso pazzesco. E qui è grande ed è pieno di porti commerciali e turistici, è un macello la tangenziale. Ho bisogno del navigatore e lui mi abbandona. Rimane attiva solo la mappa che però non indica alcuna stradina da percorre. Ci impiego un attimo in quel delirio di acqua, vento e cartelli stradali a prendere lo sbocco giusto. Fatto è che mi ritrovo in mezzo alla città. Di cui mi interessa una cosa sola: l’Oceano. Finalmente comincia a spiovere. Pare. Rimpicciolisco lo schermo del navigatore cui proprio non piace quella cittadina e cerco di andare verso il disegnino tutto azzurro della costa…

E poi, amo i giovani tutta la vita. Ad un semaforo mi affianco ad un ragazzino gagliardissimo su un 125 e gli chiedo come si fa ad arrivare alla spiaggia. E lui mi squadra un attimo e ribatte prontissimo “Follow me”. Fantastico, lo seguo. E mi porta a Malo-Les-Bains la spiaggia più bella della costa Nord della Francia! Ed è vero.

Parcheggio la moto e realizzo: io sono arrivata a Dunkerque.

Ringrazio tantissimo quel ragazzino che ha il cellulare in mano e robe da fare… Mi saluta e scappa via nel suo mondo di leggerezza e futuro.

Ed io sono felice. Felice. Io sono felice. Ho la mia moto con la mia targa italiana a tre metri dalla spiaggia di Dunkerque. Sorrido e sento il vento e voglio raccogliere un po’ di quella sabbia così segnata anch'essa dal passaggio della Storia. E mi piego e recupero il mio semplice e significativo bottino. Gli altri mi guardano come una matta. Non credevo nemmeno io sarei riuscita a raggiungere questa meta. Sono da sola. Sono lontana. Sono stregata dall’Oceano.

E però nella vita è necessario essere pragmatici: dove dormo? Quando mi sposto non so mai dove dormire? Il navigatore è pazzo: per la ricerca del campeggio funziona. Se scrivo l’indirizzo della destinazione va in palla ma se schiaccio le icone aree campercamping-vai, allora lui va.
E menomale…

Il campeggio non è lontano da questa spiaggia, anzi è appena di fronte.
Un delirio per arrivare alla piazzola assegnatami, ma quante stradine ci sono in sti campeggi francesi… sterrato, ghiaia e asfalto, c'è di tutto. Dopo aver sbraitato un attimo girando tutto il camping in lungo e in largo, approdo alla mia piazzola. Come metto la moto? ‘Sti benedetti prati… Avrei dovuto portarmi la mattonella di legno a me cara dell’Advent… Ma va beh… Moto ferma, motore spento, comincio a montare.
E arriva un tipo dall’altro capo del campeggio che offre il suo aiuto perché c'è vento… La cosa mi fa ridere: chi riesce a montare una tenda in presenza del Maestrale nel pieno delle sue forze, riesce a montare una tenda ovunque. Arles 2016 insegna. Così poverino lo liquido con un “Ci impiego due minuti”… e lui sorride un po’ incredulo e se ne va…
Mah! Ragazzi se c'è vento è un secondo veramente: ho 20 kg di borsone, basta mettere quello dentro la tenda ancora tutta sfusa è il gioco è fatto. Due fiocchetti, due picchetti e sei a posto (ps. ho scoperto di adorare tirare martellate sui picchetti: uno sfogo senza senso).

Ricomincia a piovigginare. Ma voglio magiare qualcosa e farmi un giro su quella passeggiata spettacolare di fronte all’Oceano. E mi muovo a piedi naturalmente. Ops… ho dimenticato di raccontare che Charleville ho fatto il mio acquisto più efficace: un piumino spettacolo a ben 12.90€ in un negozio sguelfissimo. La mia seconda pelle. Giuro. Perché anche qui fa freddo. Quindi Jeans, maglia e piumino, e via.

E adoro camminare a piedi, perché solo a piedi hai modo di avere davvero tutto a misura d’uomo. Solo a piedi hai il tempo di osservare con attenzione il luogo in cui sei. Ed io sono in un posto fantastico. Questa spiaggia è immensa. Non ci sono ostacoli alla vista, non c'è una costa che confina lo sguardo. È uno spettacolo quello che assisti. E il protagonista indiscusso è l’Oceano.

C'è poca gente, c'è vento e pioggia. E ci sono le case di vetro sulla baia. Non puoi immaginare quanto siano inevitabilmente straordinari gli appartamenti di questi palazzi. Non hanno una parete con delle finestre o balconi. Di fronte, verso l’Oceano, hanno solo vetro, una parete intera di vetro, trasparentissimo. E da fuori puoi vederne l’arredamento scelto da ogni proprietario. Ne scorgi il colore delle luci delle lampade, la tinta dei muri, le poltrone, le sedie e i tavoli, i tappeti e cuscini, persino i quadri. E non immagino loro, che vivono in una casa che incornicia il Capolavoro più bello del mondo. Che muta ogni secondo. Vivo più che mai. Ma che cos'è avere una casa proprio lì a Malo-Les-Bains! Fortunato chi lì vive e sogna.

La passeggiata è gigantesca, pieno di locali, ma sono tutti a sgocciolare le sedie e i tavoli. C'è anche la torretta “Rescue” per i bagnanti. Che oggi non ci sono.
Voglio una birra ed entro in un locale qualsiasi, è di legno, e ci sono due bandiere, quella francese e quella inglese. Ordino la mia birra che non so perché ha il sapore di fragola e scrivo sul mio quaderno “Non riesco a realizzare. Sono a Dunkerque. È successo di tutto qui. Fra le case ho visto come un muro di difesa. Ritirata. Mettere in salvo. Inghilterra. Terra madre”.

Impossibile non pensare ai trailer del film che a breve uscirà anche in Italia. Anzi, mentre pago mi accorgo che nel locale sono affisse fotografie degli attori che ne hanno preso parte. La cosa mi fa effetto, sorridono e sono in relax, in divisa, per il film. Tutti in piedi, tutti bellissimi questi ragazzi.
E mi viene in mete un cortometraggio tutto italiano che vuole narrare una brevissima storia di cui magari allegherò il link. So solo che in quella anche delicata e fantasiosa presentazione nel tentativo di un nonno di raccontare un pezzo di guerra a suo nipote, ciò che mi aveva colpito di più è stato il dopo. Alla fine del cortometraggio si vedeva l’intera equipe. E soprattutto gli americani e i tedeschi del film. Si sono rialzati. Erano accasciati, morti nel film. E si sono rialzati. Hanno messo a posto persino le divise e il sangue. Perché era un film. Un film è finzione. Non è la realtà.
Non si è alzato nessuno dalle spiagge della Normandia. Nessun ragazzo colpito a morte a Dunkerque si è alzato. E ha rimesso a posto la sua divisa. Chi muore rimane fermo. Esanime. Il suo corpo non fa più nulla. Non ha più movimento. Vitale.

Esco dal locale. E la pioggia è aumentata. Cerniera del piumino su e via a correre per tornare in campeggio. E quella spiaggia è lunghissima. Infinita.

Ed io corro sotto la pioggia, non c'è nessuno, ed io corro e mi bagno, completamente, vestiti, scarpe, tutto. E corro, corro. Sento i passi veloci nell’acqua. Gli schizzi ovunque, e le pioggia piegata dal vento attraversa la giacca. E corro e corro ancora. Inutilmente. Totalmente inutilmente. Ed io corro. Ho talmente tanta acqua addosso che ne sento il peso. E corro. Ma dove voglio andare? In quale direzione? Ce n’è davvero una? Dove penso di mettermi in salvo? Dove voglio scappare? Dove mi voglio nascondere? Dove voglio riparami? Esisterà mai un riparo da quello che sto vivendo? Esisterà mai un riparo dalla morte stessa? Dalla fine della vita? No, esiste solo la morte. Ti seguirà ovunque. Fa parte di te. Tu vivi. Tu muori. Non esiste nascondiglio. Non esiste riparo. Non esiste protettore. Non esiste nulla. Esiste solo che muori. E di te non rimane che nulla.

E mi fermo. Tremo. Non serve più correre.

Volgo il mio sguardo sull’Oceano: esiste da milioni di anni e continuerà ad esistere per milioni di altri anni ancora. Fino a quando il Pianeta Terra non orbiterà sempre più vicino al sole, fondendosi con esso. E tutto evaporerà.

Il colore dei grigi più significativi della mia vita mi hanno trapassato sull’Oceano di Dunkerque.
Un gabbiano mi risveglia dal mio strano torpore. Uno vola. Un’altro è fermo. Mi sento acqua nell’acqua. E faccio l'unica cosa che mi viene in mente di fare: scatto una fotografia.

E poi cammino. Sotto la pioggia incessante.
E sento persino il battito del mio cuore.
Ed amo immensamente questo momento.
 
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15866325 Inviato: 26 Ago 2017 19:02
 



Questa è Belfort... in quel giorno in cui sono stata ferma a causa di forza maggiore: pioggia tutto il santo giorno...
 
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15866332 Inviato: 26 Ago 2017 19:21
 



Qui è Charleville... Graziosissima... Se ci passi un salto merita.
 
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15866335 Inviato: 26 Ago 2017 19:26
 



Dunkerque.
 
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15866374 Inviato: 26 Ago 2017 21:19
 

VENERDÌ 11 AGOSTO - DA DUNKERQUE A FECAMP : RISORSE.
Calais Dieppe Treport Fecap - Camping "Domaine de Reneville" Fecamp


Oggi comincia il viaggio.

Dunkerque mi ha bucato l’anima. Ho amato quegli istanti densi vissuti ieri, e amo Questo Oceano. Mi piacerebbe fermarmi ancora. Solo sulla spiaggia. Null’altro che questo. Ma la Normandia è qui accanto. Non sto nella pelle. Per arrivarci devo passare ancora due tre paesini che voglio vedere.

Quindi rismonto tutto e rimpicciolisco nel mio borsone flou. Ha piovuto abbastanza, tutto è bagnato, non ti dico la moto. Ogni tanto nella notte uscivo a vedere come stava il cavalletto: con tutta quell’acqua credevo sprofondasse.

Noto un signore in molto anche lui. Anche lui viaggia da solo. Sta preparando la sua roba. Ha visto che sono italiana e prima di partire passa a salutarmi. È tedesco. Io il tedesco non lo parlo, ma è evidente che siano i miei occhi a farlo: sorrido e sorride anche lui. Ed è bellissimo. Siamo un’italiana e un tedesco, insieme su suolo francese, segnato dalla Storia che i nostri nonni hanno conosciuto. E i francesi qui con noi sono gentilissimi. Lo saluto a mio rimando augurandogli “Bone rute”… Come avevo detto a quel ragazzino ieri “Buona strada dentro la tua vita”.
Mi risponde in francese anche lui… Bonrute per me.

E si va.
Il navigatore lo odio. Si spegne se scrivo Calais. Ma io da lì ci devo passare… È pazzo. Non so come ma mi chiede se voglio andare a New York. Vuole liberarsi di me e scappare in America… Rido. È assurdo e non so darmi alcuna spiegazione. Quindi seguo un po’ le indicazioni ed un po’ inserisco altre destinazioni che legge: Dieppe gli è simpatica. Bene. Zero problema.

Ora ragazzi devo ammettere che passando da Calais una cosa volevo farla: imbarcarmi. Inghilterra. Irlanda. Scozia. Un gran bel giro. Mi é venuto in mente bastaincontrario e il suo report dell’Irlanda, quando era stato lui a desiderare di farsi un giro in Normandia, ma la sua destinazione era un’altra…

E così proseguo. Ed esce il sole. Ed è bellissimo. C'è un tratto di strada sulla costa che non ti aspetti mai possa essere così magnifico. Non è pianura e quindi mare. Sono colline morbidissime, gigantesche, coloratissime e quindi in fondo l’azzurro dell’Oceano. Mi pento amaramente di non aver scattato neanche una fotografia, perché in mezzo a questo c’era la striscia nera di strada fra che disegnava curve e sali e scendi. Era un quadro. E poi non me l’aspettavo: ma certo che i tedeschi si figuravano uno sbarco a Calais. Gli alleati avrebbero potuto quasi venire a nuoto sulla costa francese…. È ad un passo! Si vede! L’Inghilterra si vede! È stupenda questa cosa! L’adoro: mezz’ora di nave e sei in una nuova Terra, con la sua Storia, la sua cultura, le sue tradizioni… Fantastico. È veramente fantastico. Vorrei davvero poter viaggiare. Scoprire, conoscere e comprendere. Magari un giorno quando divento grande lo faccio come lavoro…

Mi muovo su queste strade morbidissime abbastanza distesa. E attraverso tutti i paesini della costa.

Treport merita. Graziosissima. É la posizione geografica che la rende tale: È fra le falesie. Io le amo le Falesie… A Bonifacio ci ho lasciato un pezzo di cuore… e queste sono sull’Oceano… Figurati… Puoi camminare sui prati in alto o scegliere i negozietti e localini in basso accanto al porto… O fermarti e sederti un po' sulla spiaggia: oggi l’acqua ha un colore straordinario. Sfumature di un azzurro cristallino brillantissimo. Ma io proseguo… Voglio altro…

E ad un tratto di nuovo, non me lo aspettavo. Cimitero. Lapidi bianche tutte uguali. Non so quante fossero. Ma erano tante. Questa volta mi fermo. Mi trovo davanti al cimitero militare di Mont Huon del 1919. Ho scattato alcune foto. E solo ora mi accorgo essere molto simile ad un altro cimitero che ho visitato. L'unica differenza sono le date di morte. Circa vent’anni dopo. E ti chiedi come sia possibile. Ma insomma era appena finita una guerra devastante, che aveva lasciato solchi inenarrabili sulle genti. Di certo quei padri che hanno combattuto quel primo conflitto mondiale non potevano immaginare che potessero passare appena 20 prima del secondo. Giusto il tempo necessario per vedere tuo figlio da bambino diventare uomo, militare. E tu padre che lo vedi partire conosci quello che lui vivrà. E magari capita pure che siate insieme a combattere. Non si può immaginare. Non ci riesco. Ma sicuramente è accaduto. Ne sono certa: ne ho visto le tombe.

Via via. Via da quel cimitero. Vi di lì.
E arrivo con motina sopra le Falesie anche io.. Quei prati e quelli colori.. … Che meraviglia… Merita. È uno spettacolo. Due fotone e via…

Arrivo a Dieppe. E subito c'è aria dal sapore britannico… Qui fra i palazzi le bandiere svolazzanti sono inglesi… Merita Dieppe. Un giro, una passeggiata, magari fermarsi anche di sera.
Ma io no…. Due microfoto e via…

Reimposto il navigatore. Non guardo nemmeno più tanto la cartina e proseguo. Voglio Fecamp. E ci arrivo, ed è bellissima! Merita!
E poi non lo so. Sono stanca, non so se andare oltre, ma alla fine imposto il navigatore a caccia di un campeggio. E poi è la fine. Il Garmin si spegne. Definitivamente. Schermo nero. Io sono preoccupatissima. Il mio braccio destro mi ha mollata. Non posso crederci. All’inizio problemi con la batteria. Poi il cellulare che fa quello che vuole e non posso chiamare nessuno. E adesso l’unico strumento digitale che davvero è assolutamente, totalmente funzionale, non funziona. A scrivere tutto ciò comodamente seduta a casa mia, la cosa mi fa quasi ridire. Ma ti assicuro che in realtà lì, da sola così, io ho pianto. Senza neanche volerlo. Le lacrime sono venute giù da sole.

Arrivo a ‘sto campeggio che inizia a piovere. Sono stanca e tesa. Il posto per dormire c'è ed io mi organizzo. Almeno una cosa buona c'è: la moto questa volta è coperta sotto un tetto. Ed io monto la tenda fra pioggia e un pianto desolato. Quel tipo di lacrime che scendono quando constati tutto ciò che avrebbe potuto essere ma non è. Sei da sola e sarebbe stato bello avere un compagno di vita accanto, ma non ce l’hai nemmeno di viaggio, non capisci un c@xzo di moto ma ti ostini ad usarne una, sei lontana un bel po’ di km da casa, da tutti, sei con i soldi contati perché sei stata deficente ed i tuoi errori te li paghi, il navigatore non funziona e viaggiare solo con la cartina sai già sarà un casino. Morale: appunto, piango. Tutta la vita la mia prima reazione ad un problema è sempre e solo emotiva. E mi odio a morte per questo. E, continua a piovere. Mi faccio una doccia calda e vado a mangiare fuori.

Sul mio diario annoto due cose “Sono stanca. Molto. Sono a pezzi. Forse vorrei solo essere a casa mia. Nel mio letto. E invece sono in questo ristorante. €16.90 e mangio di tutto, pure il formaggio di chevre che qui è un casino ordinare qualcosa di vengano. E me ne fotto. Sono stata davvero male. Demoralizzata. Sconforto. Le lacrime di impotenza. Quelle che puoi solo constatare la situazione in cui sei. Non bella. Il tuo braccio destro Garmin ti ha appena abbandonata. Era tutto troppo bello per essere vero. Sarà un viaggio faticosissimo. Non ne vedo la fine. Emotivamente sono già provata. Dovrò essere ingamba e agire solo più con le cartine. Fare appello alle mie risorse. Continuare a ripetermi che andrà tutto bene, che posso farcela. Sarà un casino. Ma AVANTI. Chi si ferma é perduto. Domani piove. Ancora. Sono stanca e ho freddo. 3 ragazzi italiani: cenano e parlano di donne. Sono graziosi. È bello sentire la lingua italiana. Chissà cosa accadrà domani.”

Mi viene in mente che a mia figlia avevo raccontato tramite sms il casino del primo giorno, lei mi aveva risposto “Continuerà così, ma tu sei forte”. Mio padre si fa sempre vivo. Ogni sera mi chiama e desidera sapere come sto e come va la moto. Il come sto a volte lo sente già dalla voce. E questa sera sono un po’ giù di corda e sono particolarmente contenta di sentirlo. È dispiaciuto che il navigatore non funzioni, e mi dice che comunque non è un problema gravissimo. Ci sono le cartine. E anche questo è vero, mio padre e mia mandare hanno girato moto macchina o furgone che fosse solo e soltanto con le cartine, molto spesso anche in Francia. L'hanno fatto e lo fanno ancora in tantissimi.

Io stessa ho girato in moto solo con le cartine, ma ero in Italia, regioni italiane, dalla Liguria al Trentino Alto Adige. Tutta un’altra cosa. Mi rincuorano i miei amici motociclisti. È a loro che chiedo aiuto per il navigatore e prontamente lo ricevo. E questa cosa ha un valore che apprezzo sempre. Ed è bello sentirli “vicini”. Mi consigliano di caricarlo ad una presa normale. Io lo avevo già fatto, ma ci riprovo. Sto in palla per un’ora. Poi lo riaccendo, sembra funzioni. Dormo un sonno più tranquillo. Sotto la pioggia ma più tranquillo.

Non nego che incomincio a pensare che se continua così, giro la moto e torno a casa. Non so più se ho davvero tutte le risorse necessarie per far fronte ad una qualsiasi situazione.

Una cosa bella però è successa: ho cambiato mappa, da France Nord- Est a quella che più ho amato Normandie 513 Michelin.


Ps... ho modificato: ho aggiunto il nome del camping.

Ultima modifica di atram il 26 Ago 2017 22:30, modificato 1 volta in totale
 
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15866375 Inviato: 26 Ago 2017 21:21
 

Cari lettori che siete passati di qua e avete già lascito un vostro pensiero, io non posso che ringraziarvi...

Pian pianino cntinuerò a lasciare racconti ed immagini..

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atram
 
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15866383 Inviato: 26 Ago 2017 21:44
 



Le foto della giornata appena raccontata...
Treport merita..
Dieppe anche ma ho scattato solo una foto alla facciata di una chiesa iperelaborata..
 
15866487
15866487 Inviato: 27 Ago 2017 8:21
 

Sono io che ringrazio te per la buona lettura che sto facendo. Ma un pensierino per un e-book? Per me ne vale la pena almeno prenderlo in considerazione, sai non tutti passano da qui, e magari piacerebbe leggere ciò che di bello stai scrivendo.
 
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15866560 Inviato: 27 Ago 2017 14:38
 

SABATO 12 AGOSTO DA FECAMP A LUC SUR MER : PASSANTE.
Etretat- Honfleur-Harromanches-ritorno a Luc sur Mere- Camping La Capricieuse Luc sur Mere


È mattina presto, e mi sveglio con la pioggia. Fa abbastanza fresco ma esco dalla tenda immersa in un bosco e mi dirigo verso uno spiazzo del campeggio. E lì, non posso che fermarmi ad ammirare tutto quello che invade i miei occhi. C'è l’Oceano, ci sono le Falesie, ci sono le casette su quel morbido prato di velluto verde smeraldo, c'è un faro. C'è pioggia, ma qui è delicata, e non so come sia possibile ma quando piove sull’Oceano tutto mi appare bellissimo. É tutto uniforme, persino i colori sono sfumati è come se tutto fosse plasmato per essere unito. È una sensazione che lascia un velo di sorriso.

Penso a ieri e mi dico che sono stata propio stupida a permettere che lo sconforto s’impadronisse di me. Ho scelto io di viaggiare da sola. Ho preparato un anno questo viaggio. Devo solo continuarlo. Almeno la Normandia. Almeno la mia Normandia.

E così scendo giù in reception per il Wi-Fi e vedere almeno il meteo: per quanto pioverà? Fino a mezzogiorno circa. Il tempo perfetto a disposizione per il bucato, e soprattutto per la sua asciugatura. Ma quanto è f**a la dry-machine??? Ma quanto è bello sentire abiti caldi sulla pelle. Ho adorato quel momento…

Faccio colazione all’asciutto accanto alla mia moto: il profumo della moka mi inebria. Oggi ho voglia di caffè. E mi dirigo poi in tenda per smontare tutto. E vedo una bambina, sotto la pioggia, ferma dove ero io qualche ora prima, che fa la stessa cosa che avrebbe fatto chiunque lì: lasciarsi invadere dal Tutto che in quel paesaggio aveva un sapore quasi mistico. Persino la madre frettolosa di andare chissà dove, dietro ad una decina di metri dalla figlia, la chiama gridando una volta sola. Poi chiude la bocca anche lei e prolunga il suo silenzio alzando gli occhi sull’Oceano: non osa interrompere la contemplazione della piccola bambina.
Mi viene in mente una poesia. Un soldato. In guerra. A Santa Maria di Longa.

M’illumino
d’immenso.

Ed era il 26 gennaio 1917.
E quel soldato era il mio, nostro, Giuseppe Ungaretti.

Si può in guerra, fra morte e dolore, riuscire persino a sentirsi accarezzare dalla Natura?
Contemplarla nel suo infinito?
Ho l'impressione più che mai, che sì, sia così.

Bene, è ora di partire. Tutto caricato e la moto parte, ma soprattutto il navigatore ri-funziona.
Pioviggina ancora, ma chissene… Voglio Etretat! E ci arrivo in un secondo. Ed è una bombonierina. Merita! Microscopica, ma se sei lì, sei lì per una cosa sola: gli archi nelle Falesie.
Anche qui i colori sono unici. E parcheggio accanto ad altre moto, italiane e subito sono su quella spiaggia di sassi sonori… Qui l’Ocenao accorda i suoi strumenti… Quanti sassi… Quanti colori pastello dal mattone al grigio al rosa, che meraviglia. E hanno i buchini dentro, e ognuno di essi è la casetta di un abitante del mare… Devo cercare bene prima di scegliere il sasso disabitato da portarmi nella mia di casetta… e poi foto… un paio che non renderanno mai e poi mai quel che io vedo lì.
Compro una matita con la scritta Etretat. Mi piacciono tanto le maglie marinare bianche e blu, ma sono carissime.

Felice ritorno su motina, direzione Le Havre.
Che è grande. È una cittadina abbastanza ampia. E secondo me meritava fare un giro in centro: ci sarà un motivo se è inserita nel Patrimonio Mondiale Unesco. Durante la seconda guerra mondiale è stata rasa al suolo. Io non lo so cosa sia una città bombardata. O meglio una di queste risalenti alla seconda guerra mondiale. Perché a dire il vero, tramite strumenti digitali e quindi canali sociali come fb di città bombardata, una ne ho vista. Dall’alto persino, addirittura un video, di un drone. Ed ero comodamente seduta a casa mia, distante anni luce da quel disastro: Aleppo. E gli anni non sono più mille e… Siamo nel nostro avanguardistico 2000.

Come si ricostruisce una città abbattuta da un conflitto, bombe su bombe? Cosa si vuole imprimere nei cittadini che lì sentono la loro storia ed è lì che vogliono continuare a vivere? Con le loro attività, i loro negozi, mercati, scuole, porti e pescherecci…. Come si riesce ad immaginare il futuro? Chi ha il coraggio di farlo? A Le Havre un uomo: Auguste Perret. Architetture essenziali che lasciano risalto ad una cosa sola: la luce.
Quella luce che ha Le Havre. Che tanto affascinò persino Claude Monet nel suo Impression Soleil Levant. E persino me, che arrivo e sta spiovendo. E sono coloratissime le sue mille bandiere attraversando la via principale che rimangono a farmi compagnia nello specchietto retrovisore.

Ehhh sì... La moto è già puntata verso un’altra direzione. Forse una fra le prime ad essere notate su web quando la metà Normandia era solo una vaga idea… Honfleur.
Ma prima c'è un ponte da attraversare, e che ponte ragazzi, è immenso! Altissimoooooooo…. Meraviglioso. Una coda allucinante fra macchine e camper e roulott, tutte le targhe, olandesi, francesi, belgi, tedesche, italiane…. C'è il mondo su questo ponte! A pagamento per tutti! Ma non per le moto! Ma vi rendete conto? C'è addirittura il passaggio apposta solo per le moto!
Lo percorro il più lentamente possibile, ci starei un’ora qui. Perché quel che vedi è fantastico! E stai attraversando la Senna che sfocia nell’Oceano! L'incontro fra le Acque, il ritorno a quella madre. È meraviglioso.

Come lo è leggere il cartello Honfleur, e arrivare proprio lì con la mia moto. A dire il vero ero un po’ stanca, il traffico e i rallentamenti non mi aiutano certo ad una guida serena, se poi piove e l’asfalto naturalmente è bagnato, l’attenzione triplica. E ad Honfleur c'è il pavè. Fra salite e discese e coda di macchine. Ed è un casino trovare parcheggio. Ne vedo uno un po’ in salita: blocco tutto il traffico di Honfleur per percepiti 30 minuti. Metri percorsi 1,5. È stato un delirio tanto che quando tolgo il casco mi accorgo che quella meravigliosa coppietta di signori inglesi seduti a bere un te mi guardano e mi dicono “fatigue”. Si.. stanca… molto stanca…

E felice come non puoi immaginare. Quelle casette, quei colori, quelle barchette le avevo viste su google immagini. Ma ti rendi conto di cosa significhi essere lì, adesso! Quanto ho sorriso. Sempre. Ero felicissima, pioveva ma non me ne fregava nulla. Ero ad Honfleur. Ed ho scattato tutte le foto che potevo. E l’ho camminata e adorata e c'era pure un mercatino… Ed ero felice!
E poi ritorno dalla moto, che comunque è stracarica. Mi siedo di fronte a lei, in quel tavolino dove poco prima i due inglesi bevevano il te, e ordino un gran caffè. Incomincia a piacermi. Assurdo, in Italia non lo ordinerei mai, ma qui si. E forse sarebbe la cosa più stupida del mondo pretendere un caffè espresso italiano, qui.

Prendo i miei acquerelli, sono tutto fuorché “brava” a dipingere. Ma non mi è mai interessato il risultato, piuttosto il tempo trascorso ad imprimere più nella mia memoria che nella carta, il momento che sto vivendo. E seduta lì, davanti alla mia moto, in quello scorcio di Honfleur affondo i miei occhi sulla facciata di un ristorantino. Graziosissimo.

Con tutta la calma del mondo ritiro le mie piccole cose, il mio piccolo dipinto, che addirittura i passanti notano regalandomi un sorriso. Ora è nella mia testa, nelle gomme della mia moto, nell’asfalto che ho davanti a me, voglio solo più raggiungere una meta: le spiagge dello sbarco.

E percorro la strada che da Honfleur si dirige verso Ouistrheam. Tutto sulla costa. Che già cambia rispetto a quella di Etretat. Ma non sento ancora nulla di chè a muovermi lì. Anzi, volevo vedere la famosa spiaggia in cui gli impressionisti si sono lasciati ammaliare Trouville-su-Mer: non l'ho raggiunta. Non hai idea di quante strade “barriere” ho trovato in questo viaggio. I famosi imprevisti… Amen, non ho voglia di impazzire, tanto più che ho sempre il pensiero che il navigatore mi abbandoni come a Fecamp.

Proseguo verso Ouistreham. La strada comincia ad essere più lineare e soprattutto inizio a scorgere i cartelli stradali che indicano i luoghi dell’Overlord. Il simbolo per ogni cartello è un gabbiano. Non poteva essere un altro. Il volo, l’Oceano, la libertà.

Con tutta la sincerità del mondo, in quei km percorsi cercavo una cosa sola: un buon campeggio come base per qualche giorno. Uno di quelli in cui se esci di sera non devi prendere la moto. Ne desideravo uno il cui paesino avesse almeno due locali di fronte al mare. Fatto è che mi faccio tutti i paesini ai 30 all’ora obbligatori, e con sorpresa trovo che non sia poi così scontato il paesello grazioso con i ristoranti e negozietti… Anzi, è tutto molto molto semplice qui. Essenziale. Da Ouistreham arrivo persino ad Arromanches… Ma attraversando tutti questi paesini, uno mi era piaciuto, per tranquillità e servizi e il campeggio era ad un passo dalla spiaggia. Scelgo Luc-sur-Mer.

Non avevo ancora realizzato Dove mi trovavo.

Il campeggio è gigante, tante persone, tante targhe da tutta l’Europa ai confini con la Francia. E adoro una cosa: il braccialetto che mi mettono alla reception del camping… un nastro lilla con la scritta “La capricieuse”… il nome del campeggio. Serve per l’accesso ai cancelli…

Ce l'ho al polso ancora adesso. Lo terrò con me per altri mesi. Ma non è l'unico baracciale a cui io tenga è che ho indossato per tutto il mio viaggio. Ani l'ho propio cercato prima di partire. Ne avevo bisogno, lo volevo. Verde, bianco, rosso: la mia bandiera. Le mie origini. La mia identità, nazionale. Perline colorate…

Quando arrivo alla piazzola per i bambini che sono lì, e ce ne sono tanti, è una festa.. “La motòòòò…” un bimbo lo adoro proprio, mi vuole sempre venire vicino, ma i genitori non glielo permettono. Io non mi intrometto. Ma gli sorrido gigantescamente. Mi verrebbe voglia di prenderlo in braccio e sederlo sulla sella. Ma figurati… impossibile… Quei genitori lì sono stati proprio aspri nei confronti del desiderio del figlioletto, che solo voleva guardare. Poverini quei due genitori, se credono che potranno avere il controllo, su di lui, per tutta la vita.

Ma non è un mio problema. Io ho già i miei in merito ad educazione e figli: ne ho due. E non so mai fino a che punto io stia facendo davvero quel che si dice “un buon lavoro”. L’educazione è qualcosa di incessante, talvolta logorante. Se hai un figlio non puoi pensare che ad una certa “chiudi partita”, tiri giù le serrande e ciao, non ci sei per nessuno. È impossibile perché qualunque comportamento tu assuma il figlio lo legge e lo interpreta anche meglio di te. Se getti la spugna hai finito. A volte tutto ciò capita sia fonte di stress… A casa mia poi, sono io il “capo supremo”. I miei figli a casa mia hanno me come punto di riferimento educativo. A casa del padre hanno il padre, ci mancherebbe. E sorrido… perché loro stessi si accorgono di quanto siano effettivamente differenti le “regole” delle due case… Non c'è meglio o peggio, c'è solo la diversità e la sua accettazione. Percorso non indifferente quello dei figli di genitori che si separano. I miei figli lo hanno cominciato molto presto. E di loro due ne ho una stima infinita.

Devo ammettere che questo viaggio è stata anche una vacanza dal mio essere madre. Qui, devo pensare solo a me stessa. Responsabile solo di me. Il che "alleggerisce" la vita in queste settimane.

Comunque... Monto tendina tutta carina... Doccia calda e poi due passi a Luc sur Mer. O meglio: Sword Beach.

Sono le sette di sera circa. Non ho il cellulare, il mio diario, non ho niente. Ho solo gli acquerelli.
E quando arrivo sulla passeggiata mi soffermo a guardare la spiaggia. È grande, piena di alghe, l’Oceano è immenso ed io non sono capace di immaginare niente di niente. Ho letto il mondo sullo sbarco in queste spiagge e non riesco ad immaginare. Nulla. Poi lì accanto c'è una tavola orientativa “Comprndere le littoral” ed io quasi mi aspetto che ci sia scritto per quale motivo sono morti centinaia di ragazzi. Perché ho bisogno che qualcuno me lo spieghi, voglio lo schema, il disegnino per comprendere Perché è dovuto accadere. Perché? Pensieri distratti da una mezza lacrima che già asciuga sul mio viso e altro attrae la mia attenzione.

C'è una maratona. Su quella spiaggia c’è gente che corre con scarpe da ginnastica e magliette fluorescenti, ci sono donne e bambini ed è tutto coloratissimo. Ci sono a decine e decine cuori pulsanti aria di vita! Ogni tanto corro anche io, non sono brava e nemmeno tanto resistete, ma amo farlo. Amo vivermi il mio corpo in corsa. E lì su quella spiaggia, oggi per fortuna e forse non solo fortuna, era per sport che correvano. Dovevano raggiungere un traguardo a quadretti bianchi e neri, non scappare dal fuoco delle mitragliatrici.

Cammino ancora un po’ e la voce di una donna che canta fa eco fra le case. È dolcissima quella voce. Cammino ancora un po’ e mi trovo davanti ad un monumento cui mi ero sentita toccare mesi e mesi fa, a casa mia, mentre leggevo la guida del D-Day.
Ho davanti a me una pietra, un marmo e le sue parole che ti incidono il cuore.

“Passant Recuille Toi”.

Ed io mi siedo. E chino la testa. E sento in me un nodo in gola. Profondissimo. Di incomprensione. Di incredulità, di totale non accettazione, di non è possibile, non ci credo, non può essere vero. Ci sono passaggi raccapriccianti nel libro “Il giorno più lungo”. Le truppe delle seconde ondate videro “corpi ammassati come rotoli di corda” e i soldati correvano fra “mucchi di fanti uccisi, abbattuti come birilli”. Perché le prime ondate di soldati inglesi non facevano in tempo nemmeno a sparare un colpo. Morivano e basta.

Passante raccogliti. Ed io che sono solo di passaggio qui, e su questa Terra, raccolgo quel che resta dello straccio della mia anima. Me la riinfilo e continuo a camminare. Spiaggia, Oceano, Cielo dai colori straordinari. Il sole buca una nuvola. Dipingo un acquerello seduta sugli scalini di una cabina di legno. È venuto orribile. È tutto orribile. Io sono orribile.

O forse no. Perché quando torno verso il campeggio il sole accarezza la fila di tutte quelle cabine bianche di legno sulla spiaggia, che sanno di mare, di bambini che giocano con la sabbia e raccolgono conchiglie. Come quelli del campeggio, che disegnano con i gessetti e giocano a rincorrersi. Le loro voci sono la musica più significativa del mondo.

Ho amato questi bambini.

Entro in tenda e sul mio diario annoto “Sword Bach. Passante raccogliti. E non so dove sono i pezzi che dovrei raccogliere. Cosa c'è da raccogliere? Te che sei morto per me. Per la mia libertà. E ce lo dimentichiamo. Io me lo dimentico. Non parole. Non foto. Nulla. Acquerello. Magone in gola. Sono stanca. Mi spengo. È quasi mezzanotte ma è da poco che è davvero buio. Nord. Normandia.”
 
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15866569 Inviato: 27 Ago 2017 14:50
 



Etretat...
 
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15866596 Inviato: 27 Ago 2017 16:31
 



Honfleur...
 
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15866910 Inviato: 28 Ago 2017 11:48
 

Marta per ora ho letto solo le premesse, "machetelodicoafare", come ogni anno, sai sempre Emozionare!!! eusa_clap.gif
 
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15866939 Inviato: 28 Ago 2017 12:23
 

Sempre grande Marta, sei una ragazza davvero coraggiosa oltre che una scrittrice di ottimo livello. 0509_up.gif 0509_up.gif

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Edo
 
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15866995 Inviato: 28 Ago 2017 13:52
 

DOMENICA 13 AGOSTO DA LUC SUR MER A ROUEN E RITORNO : ESISTE ALTRO?
Ouistreahm- Pegasus Bridge - Dadeville - Trouville - Pont Amound - Rouen e poi delirio


Oggi comincia il viaggio.

Ho avuto freddo in questa notte nella mia tenda posata su erba in cui chissà, magari qualche decennio fa era stata solcata da carri armati. Fuori è tutto umido. La moto un delirio. Ma faccio il minimo possibile per lei, sempre il pieno e il grasso sulla catena. Lo adoro quel momento. È come se avessi i miei amici con me. Potrei sentirne le voci: fai così, metti lì… Quella bomboletta l’ho presa da loro. Voglio bene a quella bomboletta… Voglio bene alla felpa grigia che indosso quasi sempre: li ho con me, mi guardano le spalle… È la maglietta con la stampa West Gp sulla schiena… il logo è del Forum Ting’avert…

Cosa fare questa mattina? Non so perché ma non ho alcun desiderio di vedere le spiagge. Anzi, decido di andare a Rouen. Avrei potuto farlo già ieri, ma io guido a sensazioni. Vado dove ho voglia di andare. E oggi voglio Rouen. E sicuro passo da Ouistreham e quindi dal Pegasus Bridge. Poi boh… Vedremo…

Accendo la moto ma non parte al primo colpo. Sarà tutto il freddo e l’acqua che si è presa, poverina. Arrivo comunque velocemente a Ouistreham-Riva-bella e il monumento ai caduti si nota immediatamente. Parcheggio e scendo dalla moto. E mi accingo a provare una sensazione che si verificherà per ogni monumento visitato sulle spiagge dello sbarco.

Quando tu sei lì, e cammini su quei gradini o su quegli spiazzi, e vedi altre persone che fanno la stessa cosa, tu poni il tuo corpo e la tua mente come se entrassi in un cimitero. Ogni passo lì mosso ha solennità e silenzio. Rispetto. Persino quando scatti una fotografia. Le voci delle coppie, delle famiglie, dei gruppi, sono sottovoce. È come se tu, lì, fossi al cospetto della Storia. Di coloro che sono morti ammazzati, per il futuro che stai vivendo oggi, nel tuo bel 2017.
Sono morti per te. Il loro sangue è per te. Questa sensazione, qui in Normandia, è penetrante.

Se c'è una cosa che mi ha lasciato quasi incredula leggendo “Il giorno più lungo” è che case, casinò, scuole ecc. diventano fortini. Diventano rifugi per uccidere. Queste strutture nate decisamente per altri scopi, assolvono nuove funzioni. A Oustreham il fortino da prendere era il casinò. E fu un abitante proprio di Ouistreham a fare da guida agli Alleati. Un uomo che aveva già la guerra negli occhi: la Grande Guerra.

Sono gli inglesi che sbarcano qui insieme anche ai francesi liberi di De Gaulle. Capite? I francesi combattevano sapendo che le bombe degli Alleati, colpivano la loro terra. Bombardavano e distruggevano la loro Francia. Le bombe per la libertà. È incredibile. Semplicemente incredibile.

Tanto quanto leggere su una guida del D-Day le parole “quasi la metà dei berretti verdi muoiono”. Ti rimangono addosso per un po’. Ed è quello che è accaduto qui. A Ouistreham. Che sì anche la guida allo sbarco era dentro il mio borsone fluo. Ma quando giro, la lascio in tenda. Pesa. In ogni senso possibile immaginabile.
E scatto fotografie a quella fiamma di metallo con le bandiere Inglesi e Francesi a fare come da picchetti d’onore. Trattengo nel mio cellulare anche la statua di Lord Lovat. La postura e quel basco mi ricordano una persona. E via di lì, il ricordo è pure un sorriso. Era una cena di Hallowenn, una di quelle con “delitto” e il tutto era ambientato nella seconda guerra mondiale, beh.. un mio amico si é presentato in tenuta militare precisaprecisa… con tanto di basco… A me avevano assegnato il ruolo di una giornalista statunitense persino un po’ femminista… Chissà perché….

Proseguo il mio giro, le strade sono tranquillissime posate fra mare e boschi e campi, i famosi bocage normanni. Ed attraverso quel ponte: il Pegasus Bridge.
Ti è mai capitato di pensare all’importanza dei ponti? Io non più di tanto. Li do per scontati. Figurati abito in una città attraversata da due fiumi, i ponti sono ovunque qui. E li attraversi senza problemi sempre. Ed infatti, ne comprendi l’importanza quando non sono più accessibili e quindi ti chiudono in una certa area. Nell’alluvione del 2000 hanno chiuso al passaggio un boato di ponti. E alcuni quartieri di Torino erano come isole fra i fiumi. Nelle abitazioni limitrofe ai corsi d’acqua, facevano evacuare tutti dal primo piano di abitazione. Giorni intensi che ricordo bene. I ponti sono fondamentali: sono la via per l’incontro, per attraversare un ostacolo, andare oltre. Come il ponte di Normandia. Come qualsiasi ponte famoso nel mondo. O persino il ponte del più semplice ruscelletto di montagna. Figuriamoci il loro valore strategico in guerra. È fondamentale il loro controllo, militare. E gli Alleati lo sapevano bene.

Ora, io proprio non sono un’esperta di guerra, meno che mai di tattiche appunto di guerra. Però una cosa semplice la comprendo: se prevedo uno sbarco su una striscia di terra che va da A a B, è bene che che A e B siano ben ferme per chiudere i lati, proteggere i confini di tutto ciò che sarà in mezzo fa A e B. Ed è così che ha inizio il D Day: con i paracadutisti. Truppe sceltissime e addestratissime. Mai abbastanza però. Mai abbastanza. Gli Americani scendo giù nel cielo nei pressi si Saint-Mer-Eglise, la famosa 101a e 82a. Il gruppetto di inglesi, la 6a divisione aviotrasportata scende nella notte su Boneville-Ranville. Sono le ore 0:20 del 6 giugno 1944.

Eisenhower aveva deciso. Aveva dato l’ordine. L’operazione Overlord, Signore Supremo, doveva avere inizio. Non immagino i sentimenti di un Generale, un uomo, il peso delle sue parole, delle sue responsabilità, di una sua decisione. Con una divisa con quattro stelle. Ma ho come l’impressione che la consapevolezza, del Tutto che sarebbe accaduto a poche ore, gli avesse sfiorato ben più che il viso. Toccante il passaggio su il “Giorno più lungo”. È notte, è sulla costa inglese di fronte alla Normandia, è al comando di 3.000.000 di giovani vite. Le risorse del mondo libero. Trascorre più di un’ora con i suoi paracadutisti. Memorabili alcune fotografie. È preoccupato e sa che l’attacco prevede l’80% delle perdite. Umane. E quando gli aerei scivolano via nella notte uno ad uno, Eisenhower ha il suo viso rivolto al cielo. E scrive il corrispondente Red Muller “aveva gli occhi pieni di lacrime”.

Sono di nuovo in moto e ho il Pegasus Bridge davanti a me. Parcheggio la moto e sono incredula. Sono davanti all’ obiettivo di combattimento di una delle prime battaglie del D-Day. Nel prime ore della notte normanna del 6 giugno 1944 gli obiettivi militari furono presi in silenzio e rapidità, caratteristiche che probabilmente contraddistinguono il corpo militare dei paracadutisti di ogni tempo. Avvincente, quanto affliggente leggere delle vicende vissute dalla 6a divisione aviotrasportata inglese. Al tenente colonnello Otway era stato detto dal suo superiore generale Gale “Il vostro modo di pensare deve escludere il fallimento”. Dovevano assicurare il silenzio delle batterie tedesche di Merville, ai confini con Sword Beach. Non lontano dal Pegasus Bridge. E lo fecero. Feroci battaglie corpo a corpo. Della durata di un tempo sospeso. 15 minuti di respiri intensi. Per qualcuno anche gli ultimi.

Qui al Pegasus Bridge c'è una casetta, è il Caffè di Gondreè… Pieno di bandiere e foto e cimeli e se sei qui, un gran cafè lo bevi. Carissimo. Ma lo ordini comunque. E dove nel ’46 morivano i soldati e conquistavano spazio di libertà, tu sorseggi il sapore della tua di libertà, all’aroma di caffè. E morte. La cosa fa un po’ impressione. Scatto ancora qualche foto, c'è un pezzo di artiglieria che attira la mia attenzione. Non so quale pezzo sia, non sono un’ esperta di armi nello specifico. So solo che il suo cannone mi lascia interdetta. Quanti colpi avrà sparato quello che ho di fronte a me?

È ora di ripartire. Spostiamoci un po’ da lì. Via. Andiamo verso il mare, la costa, l’Oceano e le belle spiagge di Dadeville… volevo vedere le caratteristiche cabine sul mare, con tanto di nomi dei personaggi famosi del mondo dello spettacolo, volevo un po’ di frivolezza. Che però non ho trovato. Mi sono persa. Cittadina ampia Daedville… Proseguo per Trouville… Mamma mia che traffico. Un delirio. L’unica strada principale verso il centro e quindi le spiagge dell’Oceano, è intasata dalle macchine, moto, motorini, camper e furgoni e furgoncini e biciclette e passeggini ed è un delirio in moto. Da ferma comincio pure ad avere caldo. Snervante guidare così… Ma è domenica e in questa cittadina che è bellissima e turisticissima c'è pure il mercato…

Ma merita arrivare al parcheggio in fondo, scendere dalla moto e fare più di due passi verso il molo che porta al faro. E poi non so perché, ma in spiaggia vedo per lo più francesi di colore e probabilmente musulmani. Le donne sono vestite e hanno i capelli coperti dal velo. E sono tutti serenissi a chiacchierare, bere, mangiare, giocare a calcio… Aria di vacanza.

Un paio di foto e poi via… Rouen mi aspetta.
È bello girare un pochino nell’entroterra normanno… sono graziosi i suoi paesini, Pont Audemar per esempio… Anzi sarebbe bello girare lungo tutta la Senna ed arrivare persino a Parigi. La capitale della Francia è ad un passo da qui… Quando i parigini vanno al mare, vanno in Normandia. E poi c'era un paesino che avrei voluto vedere Giverny: la casa e i gli amati giardini di Claud Monet. In realtà ci sono pure un’infinità di castelli qui in zona, ma nulla mi attrae, se non le scritte dei cartelli stradali “Paris”. Ho una mezza intenzione di raggiungerla. Ma prima Rouen.

Ed è una cittadina grande, con tangenziali e autostrade, entrate ed uscite e 80 rotonde. Ma io ho il navigatore, che pare funzioni… Quindi parcheggio in centro. Ma è domenica, i negozi sono per lo più chiusi. Un paio di caffè per fortuna non rinunciano al passaggio dei turisti e sono aperti. Ne scelgo uno a caso e mi siedo. E rimango un tempo non ben definito. Ora, di Rouen, non posso dirti che la conosco. Assolutamente no. Ho conosciuto uno scorcio della sua famosa chiesa. Dipinta da Monet. Di cui un particolare, seduta al tavolino con quella coca cola fresca, ho impresso con la matita nera a carboncino su un mio foglio. Ho conosciuto il suo orologio, sotto il quale seduta su due scalini per un tempo non definito ho mangiato un panino. E, sono entrata in quella chiesa. È enorme. Buio e colore di vetrata le ampie finestre ad arco. Buio e candele accese di speranza al suo ingresso. Buio e donne in preghiera assorte. Un uomo seduto. Buio e altare. Una luce. Rossa.

E mi viene la nausea. Esco. Quasi arrabbiata. Ma come è possibile che ci siano così tante persone ad affidarsi a chissà chi? Ma come è possibile che credano veramente che possa esistere un intervento “divino” nella loro vita? E che non siano invece essi stessi a scegliere se non proprio il destino, la reazione ad esso? Ma come è possibile che si preghi per questo o quello o quell’altro. “Ti prego, fa che… Aiutami a…”. Qualcosa non torna. Io sono stata educata alla religione cattolica. Io ho frequentato un scuola gestita da suore. Io pregavo. Ma ho avuto il mio percorso. Non semplice. E un’esperienza in particolare ha sancito la mia definitiva dichiarazione di assenza di senso alla religione cattolica. E a qualunque altra. Sto parlando della riesumazione del corpo di mio fratello, morto a 23 anni, sulla strada. Ricordo il suo teschio. Polvere al vento. Delicatissima.

Ma come è davvero possibile credere che esista altro, oltre questa vita? E questa non è la vita vera, ma solo un momento? Ehhhh sì, penso che la morte propio non si può accogliere con serenità e felicità. Stai così bene vivendo, perché dovresti morire? Potrebbe essere più accettabile solo se una vita si è davvero compiuta nella sua pienezza: fra un novantenne e un bambino di 5 anni, si sta più male per il bambino di 5 anni. E comunque chi lo sa, magari fra una centinaio di anni, la scienza porterà un corpo umano a vivere fino a 150 anni. O forse, la morte, e quindi la vita che si sta vivendo, è semplicemente più digeribile se si immagina che sia possibile vivere in Eterno. E che quindi questa vita non è l’unica e la sola, nefasta o meravigliosa che sia. È solo un pezzo. Il resto, il meglio, avviene dopo. Dopo. Prima muori. Poi hai il meglio. E attenzione, il meglio, è a seconda di come ti sei comportato nella vita “precedente”. Si prega addirittura in una giustizia “divina”. Non mi piace questa idea. Io voglio giustizia: qui ed ora. Amministrata da uomini. Non da presunte divinità. Ma è difficile. Molto difficile. Me ne rendo conto. Il processo di Norimberga ha fatto davvero Giustizia? E l'inquisizione, "santa"? Forse è come "auspicabile" demandare Tutto in un infallibile Dio. Forse alcune persone hanno bisogno di credere che davvero Egli ci sia. Sia presente, accanto a loro. Il loro scudo. Giovanna D'Arco che qui a Rouen è stata arsa viva, ne avrà percepito la presenza? "Tenete la croce in alto, cosicché io possa vederla anche attraverso le fiamme", le sue ultime parole. Ed il suo corpo è comunque bruciato. Forse anche i soldati, nella seconda guerra mondiale, di un Dio, ne sentivano il bisogno.

C'erano preti in guerra, persino paracadutisti, vestiti come soldati, al loro fianco, per poter essere presenti nel momento della loro morte. Estrema unzione. A prescindere dalle divise. Cappellani americani presenti in ginocchio per soldati tedeschi ad un secondo dalla morte. E morivano fra le braccia del presunto nemico. Non le trovo ora quelle pagine, ma sono sicura di aver letto di cappellani che hanno rischiato di morire pur di prendere “l’armamentario” annegato, come gli uomini, negli stagni preparati da Rommel, in cui si è dispersa la 101a dei paracadutisti americani. Quanti ragazzi sono morti? Quale sacrificio è stato offerto? Quale contributo impagabile di sangue è stato versato? Avranno davvero una seconda vita? Riabbracceranno i propri cari? Ne siamo sicuri? Chissà perché le croci che ho visto nei cimiteri mi dicono di no.

Eppure, è propio questa la libertà che stavano difendendo in quel 6 giugno ‘46, al prezzo di sè stessi. Io sono libera di non credere in alcuna religione. E altrettanto chi è accanto a me è libero di andare a Messa ogni domenica. O di leggere il Corano. O forse non è più così. Recenti fatti dimostrano che non siamo più liberi nemmeno di guardare i fuochi d’artificio. Magari a Nizza.

Non so, non so più nulla. Mi siedo davanti al grande orologio, e mordo il mio panino. E mordo pensieri confusi che mi lasciano alla deriva. E le lancette scoccano oggi secondo tempo. In meno da vivere.

Mai più però immaginavo mi lasciasse allo sbando il mio navigatore. Nero. Schermo nero. Morto. Di nuovo. L’idea Parigi sfuma in un amen. Peccato era ad un’ora di strada. Avevo pure guardato gli alberghi su Booking. Ma non ho voglia di sbattimenti, senza navigatore poi, figurati, ero ancora lì a cercare l’albergo adesso. E ‘sto navigatore lo odio. E sono lontana dal campeggio più di 150km. E siamo verso sera. E ci sono 200 rotonde e mille tangenziali e autostrade. Ed io non capisco una cippa della cartina. Non so collocarmi in essa. Non capisco la direzione. Ci provo. Entro in una specie di tangenziale e poi mi fermo in un distributore. Bene. Sono nella direzione sbagliata. Che novità… Riparto, esco e rientro e non capisco nulla. Mi fermo sul lato della strada, fra macchine che sfrecciano. Azard accesi e cartina alla mano. Un motociclista si ferma. È francese. E l’ho adorato. Gli dico che voglio prendere l’A13 verso Caen. Mi ci accompagna lui. Fantastico. Veramente. Ho apprezzato all'infinito quella sua capacità di leggere un mio bisogno e assolverlo. Meraviglioso. E mai scontato. E odio l’autostrada, ma in questa situazione si è rivelata fondamentale. Da Caen a Luc sur Mer ci impiego otto anni. Ma al camping arrivo. Mi chiedono pure se è tutto ok. Evidentemente il mio viso è un po’ provato.

Odio il mio navigatore. Tornare a Torino sarà un casino. Per fortuna le spiagge sono tutte qui vicino. Lo ricarico alla presa elettrica del campeggio. Pare rifunzioni.

Vorrei anche io una presa per ricaricarmi.
Io non so più se funziono.
 
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15867161 Inviato: 28 Ago 2017 17:27
 



Ouistreham.
 
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15867170 Inviato: 28 Ago 2017 17:47
 



Pegasus Bridge.
 
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15867179 Inviato: 28 Ago 2017 18:04
 



Rouen.
 
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15867571 Inviato: 29 Ago 2017 13:15
 

LUNEDI 14 AGOSTO LE SPIEGGE DELLO SBARCO : NOMI.
Juno - Gold - Omaha - cimitero americano - Bayeux chissà come -



Oggi comincia il viaggio.

Sole. Questa mattina forse sono pronta. Forse. Forse ci riesco. A camminare sulle spiagge dello sbarco. A raccoglierne la sabbia. Nei sacchetti che avevo già preparato a casa mia. Ma faccio una cosa diversa. Due passi al mattino sull’Oceano. Il paesino di Luc Sur Mer si sta svegliando, negozi e locali mettono fuori cartoline e tavolini. Ed io ho voglia di calma. Ho bisogno di quiete prima di partire. Per questo viaggio nella Storia.
Voglio la classica colazione francese: petit dejeuner. Ed entro in un locale così caldo, così morbido dei suoi divani, così sull’Oceano che da quelle vetrate sembra quasi arrivi sul palmo della tua mano. Un te caldo, una marmellata ai mirtilli, un burrino, una mezza baguette, un croissant, un succo di frutta. E il mio libro guida sul D-Day aperto insieme alla cartina della Normandia. Fa effetto avere questi due oggetti qui. Proprio qui mentre guardo Sword Beach. Leggo due cose e segno numeri sulla cartina. La cameriera mi scorge una lacrima. Ma ha notato il libro e la mappa evidenziata e scritta. E credo che qui, siano abituati a questo. Turisti che camminano nel tempo. O almeno, ci provano. Mi godo quella colazione come mai prima. La migliore del mondo.

Poi preparo la borsa da serbatoio, il kit sicurezza è sempre con me. Non si sa mai, pinze e fascette e tanto di guanti rosa a fiorellini. Una bottiglietta d’acqua, diario e acquerelli e si va.

Juno Beach.
Questa striscia di terra col nome in codice Juno Beach confina proprio con Luc sur Mer. La scelta del suo nome ha qualcosa che rimanda al cuore. Il generale britannico Montgomery propose dei nomi di pesce per indicare le spiagge. Ma l’abbreviazione di jellyfish (medusa) in jelly significa gelatina, termine non proprio idilliaco per rappresentare la forza del soldato, del guerriero. E così il tenente colonnello canadese Dawnay propose allora Juno, un nome a lui certamente caro: il nome di sua moglie.

Questa sabbia è stata calpesta da 15.000 soldati canadesi e 9.000 britannici sotto il comando del Maggiore-Generale R.F.L. Keller. E prima di loro, no so da quanti soldati tedeschi che hanno deposto 14.000 mine. E altri ostacoli di ogni tipo. Disegnati e progettati da Rommel in persona.

I canadesi ritornano in Francia. Erano già stati a Dieppe. Ma fu un disastro: 4.384 fra morti, feriti e dispersi per gli Alleati. E non valgono di meno i 311 morti e i 280 feriti per i tedeschi. Tutte vite umane spezzate. Era il 19 agosto 1942. Erano pronti adesso a sbarcare? A uccidere per non farsi uccidere? A sparare per liberare? Non lo so. Non lo saprò mai.

Sono a Saint-Aubin-sul-Mer e subito mi fermo. C'è un pezzo di una batteria: cannoni. Mi fanno sempre impressione. Dove puntavano? Quale fragore devastante avvolgeva la bomba che cadeva giù? Quali sono i rumori della guerra? Riesco io ad immaginarli? Urla, e colpi. E ordini. E passi. Riesco davvero ad immaginare? No. Per quanto io abbia fervida immaginazione, no. Non ci riesco. Non riuscirò mai. Quella realtà io non l'ho vissuta. Non conosco le bombe. E non mi rendo conto di quale fortuna io abbia, in tutto questo. Una cosa però si, riesco ad immaginarla: la scuola. Qui, viene trasformata in un ospedale. Scatto fotografie, sempre alle bandiere che in questo cielo azzurrissimo sono il colore più bello che vi sia. Sono come un saluto. E c'è una bandiera che mi colpisce più che mai. È il sole in essa, in quel nel nero, giallo e rosso. E sventola quel tricolore meraviglioso insieme a tutte le altre. Perché la Normandia è questo: Pace. È fratellanza. È qualcosa che ti buca.

Riaccendo la moto. E mi trovo non so nemmeno dove. Ma sempre sulla costa di Juno. E un altro monumento chiama la mia attenzione. È una spada. E sulla guardia è inciso 6 giugno 44. È un dono: il D-Day plus 50 years. Perché sì chi ha combattuto ed è sopravvissuto, in Normandia ci torna. Anche fisicamente per celebrare l’inaugurazione di un monumento. Del significato di questo calibro. Scatto due foto. Un signore inglese sulla sessantina, passa vicino al monumento, porta la sua mano sulla bocca, gli lascia un bacio e lo depone su quel marmo. Lo ha fatto con una delicatezza che si potrebbe descrivere di un padre per i suoi figli. Ha lasciato quel bacio come se davvero potesse essere arrivato al cuore di chi qui è morto. Mi ha toccata questa scena.

E via. Ancora. Via. C'è una croce che voglio vedere. Quella croce famosa in Francia. La croce di Lorena. Courseulles-sur-Mer -Graye. “Il reggimento di carri armati Centauro ne prede 34 su 40 sbarcati. Una compagnia perde due terzi del suo effettivo”. Non so immaginare. Ma c'è sole e subito un cartello indica la “Voie del Francais Libres”. E cammino su questa via e arrivo all’altissima, metallica, croce di Lorena. È sulla spiaggia di Juno che ritrova il suolo di Francia il Generale De Gaulle il 14 giugno 1944. Potremo mai immaginare cosa significassero quei passi per quell’uomo? Il 6 giugno - riporto da “Il giorno più lungo”- il contrammiraglio Jaujard, sull’incrociatore leggero francese “Montcalm”, parlò ai suoi ufficiali e marinai “C’est une chose terribile et monstrueuse que d’être obligè de tirer sur notre prope patrie, mais je vous domande de le faire aujourd’hui”. I francesi insieme agli Alleati hanno bombardato la loro stessa terra. Era stato proprio il Generale De Gaulle, nel suo vibrante discorso, a chiamare a combattere tutti i francesi liberi, di unirsi a lui, nell’azione, nel sacrifico, nella speranza. Ed era il 18 giugno 1940. Quattro anni dopo, riusciva a vedere l’inizio di un sogno nazionale, avverarsi. È tutto questo è presente su questo spiazzo che accoglie l’altissima croce. E sempre bandiere accanto.

Faccio due passi e scelgo di raccogliere qui un po’ di sabbia di Juno Beach. Quella che c'era accanto ad una difesa in cemento armato, sul cui tetto però gioca un bambino con la sua macchinina radiocomandata. Ed il padre lì seduto accanto innamorato di suo figlio. Questa scena mi tocca.

E sorrido. Al parcheggio saluto tre coppie di motociclisti francesi. Loro arrivano ed io parto.
Lì accanto c'è Graye. C'è un carro armato. Mi fanno paura i carri armati. Ho un ricordo di bambina. Parecchi anni fa. Mio padre mi aveva portata con sè in visita ad una caserma. C'erano carri armati. Erano solo fermi. Nemmeno in movimento e ne ho avuto paura. Era il 4 novembre. Non so più di quale anno. Ma certamente anno in cui si celebrava in Italia la “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate” con più attenzione forse, che non oggi nel 2017. Cosa si commemorava? L’entrata in vigore dell’Armistizio di Villa Giusti. La vittoria italiana sull’esercito austriaco. E quindi della Prima Guerra Mondiale. È il 4 novembre 1921 quando avviene la tumulazione del Milite Ignoto all’Altare della Patria. A Roma. La nostra capitale. Quanti militari sono “militi ignoti”, quanti ragazzi sono morti di cui nessuno riusciva più ad identificarne il corpo, la sua storia, il suo nome? Quante famiglie chiedono, vorrebbero, persino oggi, il corpo di un proprio caro, morto, in qualsiasi tragedia? Non per forza militare? Abbiamo questa esigenza del tutto terrena di avere un corpo su cui piangere. Il corpo del milite ignoto cui è stata data solenne sepoltura a Roma è stato scelto perché una madre, di suo figlio morto in guerra per l’Italia, si è accasciata davanti ad uno degli undici feretri senza nome. Gridando il nome di suo figlio: Antonio. Posso quasi vederla. Sentirla.

Quanti “militi ignoti” sono presenti in questa terra di Normandia? C’entra ancora la bandiera? La divisa che si indossa? La morte non rende tutti uguali? Uguaglianza Universale, direi. E, senza tempo. Per questi ragazzi, anche senza nome. Addirittura è scritto nei cimiteri, giuro io l’ho letto “A soldier of the 1939-1945 War. Know unto God”. Lascia un brivido. Credimi.

Come il carro armato che ho qui di fronte. Scatto fotografie. E adoro una bambina. Ha un palloncino rosa in mano. Questa scena mi tocca.

E proseguo. Altro. Da caricare nella mia borsa da serbatoio. Nella mia testa, il mio serbatoio di pensieri compressi e deliranti, annebbiati e confusi. Altra sabbia da raccogliere. Altra spiaggia da camminare.

Proseguo e leggo il cartello indicativo per il castello di Creully: il Quartiere Generale del Generale Montgomery. È qui che il britannico Montgomery incontra il Generale De Gaulle, Re Giorgio VI è Winston Churchill. Ed è qui che la BBC installa uno studio televisivo per realizzare delle trasmissioni in diretta con Londra.
Ma non sono attratta da questo, per quanto possa affascinarmi l’aspetto emotivo di un Generale. La sua tempra, la sua capacità di riuscire ad infondere calma alle sue truppe. Fiducia nella riuscita di una operazione. E presumo infinita capacità di scernimento.
Desidero altro. Voglio solcare la sabbia di Gold Beach.
 
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