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Orient Express settima tappa: il sogno continua verso Kathmandu!
Scritto da Maurizio60 - Pubblicato 03/11/2025 17:14
Prefazione: Questo articolo è un report di fantasia che vi porterà nel cuore di un'avventura straordinaria...

Seguiremo le tracce di tre inseparabili amici appassionati motociclisti : Marco, Luigi e Gianni. La loro idea? Intraprendere un viaggio epico su due ruote.
Ma un'impresa del genere non si improvvisa. La preparazione e l'organizzazione di questa spedizione sono iniziate con largo anticipo, ben molti mesi prima della data di partenza, fissata per la fine di febbraio. Pronti a scoprire i dettagli di questa incredibile avventura?



Il tempo di lettura stimato per il racconto "Orient Express settima tappa: il sogno continua verso Kathmandu!" è di circa: 7 minuti

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È l'alba di sabato 8 marzo, e tre amici sono pronti a dare il via alla loro avventura. Marco è in sella alla sua Ducati Multistrada V4 rossa, Luigi alla sua BMW R 1300 GS nera e Gianni sulla sua Honda Africa Twin 1100 bianco e blu. Li attendono 300 chilometri di strada, con l'obiettivo di raggiungere Pokhara.
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Domenica 9 Marzo, settima tappa + due giorni di riposo - Km totali percorsi 2.300. Tappe Thankot, Kathmandu 200 km.
La tenue luce grigio-rosa dell'alba del 9 marzo si insinuava attraverso le persiane di legno del piccolo albergo a Pokhara, dipingendo strisce dorate sul pavimento. Era il settimo giorno del loro viaggio attraverso l'Oriente, un'avventura che aveva già intessuto ricordi indelebili nella tela delle loro vite.

La carica del mattino
Il primo a muoversi fu Marco. Si infilò la giacca di pelle e si diresse al piano di sotto, dove un aroma di spezie e caffè forte aleggiava nell'aria. Con la meticolosità di chi vive per la strada, aveva già controllato le gomme della sua Ducati Multistrada V4 rossa. Pochi minuti dopo, lo raggiunsero Luigi e Gianni.



La colazione era un rito
Una montagna di paratha caldi, frittate cariche di cipolle e peperoncino, e abbondanti tazze di chai speziato. Si sedettero in silenzio per un po', godendosi il calore e l'energia del cibo che si diffondeva nei loro corpi stanchi ma eccitati.
«Oggi si vola, ragazzi,» disse Marco, asciugandosi la bocca con un tovagliolo. «Kathmandu ci aspetta, circa 200 chilometri. Spero solo che il traffico non sia già impazzito.»
«La strada è la strada, Marco,» replicò Luigi, il più pragmatico, finendo il suo chai. La sua BMW R 1300 GS nera era una roccia, e lui ne aveva la stessa inossidabile fiducia. «Purché la polvere non sia troppa.»
Gianni, appoggiato al muro, osservava il sole che saliva sopra le cime. La sua Honda Africa Twin 1100 bianco e blu era sempre pronta per ogni evenienza. «Passiamo da Thankot, giusto? La salita finale per la valle di Kathmandu è sempre uno spettacolo. Godiamocela. Abbiamo dormito bene, mangiato bene... siamo pronti.»



Il sound della partenza
L'ultimo sorso di caffè fu il segnale. Salirono in camera a prendere gli ultimi effetti personali, poi scesero nel cortile dove le loro tre regine a due ruote erano parcheggiate in fila, brillanti nella luce nascente. Marco diede il primo colpo, e il motore Desmosedici Stradale V4 della sua Ducati prese vita con un ruggito profondo e inconfondibile. Un suono che parlava di potenza italiana e chilometri inghiottito. Luigi fece lo stesso, e la sua BMW rispose con un suono gutturale, solido, l'eco di avventure africane e passi alpini. Infine, Gianni accese l'Africa Twin. Il suo rombo era più pacato, affidabile, la promessa di una resistenza inarrestabile. Erano un trio di suoni, un coro meccanico che spazzava via il sonno e annunciava l'inizio della giornata. Si scambiarono un rapido cenno con il capo - l'unica comunicazione necessaria tra vecchi amici che condividono la passione per il viaggio.
Con un'ultima occhiata al placido lago di Pokhara, le tre moto uscirono dal cortile. Marco in testa, la rossa sagoma un faro nell'aria fresca del mattino. Luigi lo seguiva, l'ombra nera e massiccia della GS a coprirgli le spalle. Chiudeva Gianni, la sua Honda che si fondeva con i colori della strada all'alba.
Kathmandu era l'obiettivo. Thankot era il varco. Ma la vera destinazione, come sempre, era la strada stessa, il vento in faccia, e la compagnia ineguagliabile di due amici e tre moto pronte a divorare l'Oriente. La giornata era appena cominciata.



L'Ingresso nella giungla d'asfalto
I primi chilometri fuori Pokhara furono rapidi e relativamente tranquilli. La Ducati Multistrada V4 rossa di Marco, in testa, danzava sull'asfalto ancora fresco, sfruttando l'agilità e la potenza del V4. Dietro di lui, la BMW R 1300 GS nera di Luigi seguiva come un cacciatorpediniere, la sua stabilità un conforto anche sui tratti meno regolari. Gianni, con la sua Honda Africa Twin, godeva della posizione eretta e del parabrezza che deviava la brezza mattutina, mantenendo una distanza calcolata, gli occhi attenti a ogni sbandamento dei compagni.
Presto, la strada iniziò a mutare, trasformandosi nella vera spina dorsale dell'entroterra nepalese. La natura si fece più densa, il verde più prepotente.
«Qui inizia il vero divertimento,» trasmise Marco via interfono, la sua voce squillante. «Occhio alle buche, sembrano crateri lunari oggi!» La loro velocità si ridusse. La strada non era più una tela liscia, ma un mosaico di asfalto crepato, ghiaia e improvvisi dossi per la velocità non segnalati. Il traffico cominciò a infittirsi: vecchi autobus colorati stracarichi di persone, camion che avanzavano con la lentezza di lumache stanche e scooter che sfrecciavano in ogni direzione immaginabile.



La prova della polvere
Intorno alle 9:30, la calma mattutina fu definitivamente spezzata. Entrarono in una sezione di lavori in corso, un inferno di polvere rossa sollevata dai mezzi pesanti. Il sole, ormai alto, si trasformò in un disco opaco attraverso la foschia. Luigi si coprì il volto con la manica, le sue dita stringendo forte le manopole. La sua GS, pensata per l'enduro duro, affrontava le asperità con una stoica indifferenza, ma la polvere era insidiosa. «Non si vede niente! State larghi!» urlò Gianni, la cui Africa Twin dimostrava la sua vocazione desertica, con un assetto che assorbiva le vibrazioni meglio di un cammello. Marco, costretto a ridurre la velocità della sua Multistrada, che preferiva le curve veloci e pulite, si concentrò sulla traiettoria, evitando i sassi più grandi che potevano far perdere l'equilibrio alla sua moto sport-tourer. Per un'ora intera, il mondo fu ridotto a un sibilo di motori, un crepitio di sassi e la visiera sporca. Finalmente, uscirono dal tratto sterrato, fermandosi a lato della strada in una piccola radura sotto un albero di banano.
«Siamo tutti coperti di terra, piloti da motocross ecco cosa siamo diventati,» scherzò Luigi, battendosi la polvere dai pantaloni con un sorriso stiracchia. Si tolsero i caschi, bevvero un sorso d'acqua e si spruzzarono qualche goccia d'acqua sul viso. Erano sporchi ma felici.



L'Ascesa a Thankot
La pausa fu breve, l'orologio segnava mezzogiorno e volevano superare il valico di Thankot prima del picco del traffico pomeridiano. Ripresero la marcia. La strada iniziò a salire dolcemente, poi con curve sempre più strette e continue. Questo era il terreno di gioco preferito di Marco. La Ducati rispose con prontezza, il telaio leggero e il motore potente che la spingevano fuori dalle curve con un'accelerazione esaltante. Marco giocava con il cambio, le ginocchia quasi a terra. Luigi non era da meno. La sua BMW rivelava la sua incredibile versatilità, stabile in frenata e potente in ripresa, macinando i tornanti con una sicurezza imponente. Gianni, con la sua Honda, manteneva il ritmo, apprezzando l'erogazione fluida e prevedibile del bicilindrico, perfetta per le salite ripide dove la trazione era tutto. Intorno alle 14:00, raggiunsero l'apice della salita: Thankot. La vista da lassù era maestosa. Sotto di loro, la valle di Kathmandu si apriva, un'immensa distesa di case, campi e templi che si perdevano all'orizzonte. L'aria era più fresca, il cielo più blu, anche se una nube di smog aleggiava sulla metropoli in lontananza.
Si fermarono brevemente, questa volta senza fretta, per scattare una foto di rito: tre moto, tre amici e un mondo ai loro piedi.
«Da qui è tutta discesa,» mormorò Marco, rimettendosi il casco. «Ma la giostra del traffico di Kathmandu non scherza. State concentrati fino all'ultimo metro.» Il viaggio di 200 chilometri era quasi terminato. Mancava solo l'immersione finale nel cuore pulsante del Nepal.



La Trappola della discesa
Lasciata Thankot, la strada si trasformò in una discesa vertiginosa e tortuosa, la porta d'ingresso naturale nella vasta e inquinata Valle di Kathmandu. La maestosità del panorama svanì presto, sostituita dalla realtà del traffico urbano in espansione: un fitto muro di veicoli che si muovevano a passo d'uomo, un balletto caotico di clacson, fumi e clacson. Marco, in testa, usò l'agilità della sua Ducati Multistrada V4 rossa per zigzagare tra i veicoli. Il suo stile di guida, aggressivo ma preciso, si fondeva con la necessità di trovare ogni minimo varco disponibile. Luigi dietro, con la sua BMW R 1300 GS nera, sfruttava la sua altezza e la posizione dominante per vedere oltre il caos, guidando la sua moto con la calma di un treno. Gianni, con la sua Honda Africa Twin, si teneva in coda, concentrato a mantenere il gruppo unito.
«Questo è un manicomio!» esclamò Luigi nell'interfono, il respiro reso affannoso dal calore e dalla concentrazione. «Stai largo a destra, Luigi!» lo avvertì Marco, evitando per un soffio un risciò che aveva cambiato corsia senza preavviso.



Il controtempo inatteso
Mentre il gruppo si avvicinava al cuore della città, il caos divenne un blocco totale. Non era il solito ingorgo, ma qualcosa di più serio. Tutte le corsie erano ferme, ostruite da una folla di persone che si accalcavano, alcune gesticolando animatamente.
Marco si accostò al marciapiede, spegnendo il motore. «Che succede?» chiese, sollevando la visiera. Luigi si avvicinò a un tassista che urlava in nepalese. «Sembra che ci sia stato un incidente più avanti... o forse un blocco stradale per una protesta politica...»
Improvvisamente, un ragazzo corse verso le moto, i suoi occhi spalancati. Urlò qualcosa in inglese stentato, puntando il dito verso un vicolo laterale stretto e polveroso che si apriva alla loro sinistra. «Bandh! Scendete qui! La polizia chiude la strada! Bandh!» Bandh (sciopero o blocco) era una parola che i tre motociclisti avevano imparato a temere. Significava ore di attesa forzata. L'unica opzione era quel vicolo stretto che sembrava appena abbastanza largo per far passare una moto alla volta. Marco non esitò. «Andiamo! Meglio la polvere che ore di coda!» Accese la Multistrada e si infilò per primo, il V4 che borbottava in prima marcia. Il vicolo, fiancheggiato da fatiscenti case di mattoni e cumuli di spazzatura, era un labirinto di detriti, cani randagi e fango secco. Marco riuscì a superare la sezione più stretta a malapena, la borsa laterale della Ducati che strisciava contro un muro, lasciando una lunga scia rossa.
Poi fu il turno di Luigi. La BMW R 1300 GS era la più larga e pesante delle tre. Luigi procedeva con cautela millimetrica, tenendo il manubrio saldo, la sua visiera che si appannava per lo sforzo.



Il Blocco: Quando si trovò a metà del vicolo, un carrello di legno stracarico di frutta e verdura, spinto da un venditore anziano, apparve all'improvviso da una porta laterale, bloccandogli la strada. Luigi frenò bruscamente.
«Luigi, muoviti! Cosa succede?» la voce tesa di Gianni risuonò nel casco. Luigi imprecò. «Sono bloccato! Un carrello mi ha tagliato la strada! E la polizia sta arrivando, li sento!» Il suono delle sirene, lontano ma inequivocabile, si stava avvicinando al blocco principale. Se fossero rimasti bloccati lì, avrebbero perso ore.
«Sposta il carrello! In fretta!» urlò Marco, che non poteva tornare indietro. Il venditore, confuso e spaventato, non capiva cosa volesse Luigi. Luigi non poteva scendere dalla moto in quello spazio così angusto.
Fu Gianni a salvare la situazione. Senza pensarci due volte, portò la sua Honda Africa Twin al minimo, la affidò alla banchina sporca, e si precipitò in avanti. Usò tutte le sue forze per spingere il pesante carrello con la merce su per il gradino laterale, liberando un corridoio di pochi centimetri. «Vai, Luigi! Adesso!» Luigi ringraziò con un cenno, manovrò abilmente la sua massiccia GS nello spazio appena creato, le borse che raschiavano ancora, ma era libero. Gianni tornò alla sua Africa Twin, ripartì e si lanciò nell'apertura.



Kathmandu: Caos e rifugio
Liberati dal vicolo, riemersero su una strada secondaria che li condusse, dopo altri venti minuti di guida difensiva, nel quartiere di Thamel. L'energia della capitale era travolgente: odore di incenso e gasolio, musica folk che si mescolava al rumore dei clacson, e un'esplosione di colori da ogni lato.
Erano arrivati. Erano esausti, sporchi di polvere rossa da Pokhara e intrisi del fumo di Kathmandu.
Parcheggiarono le loro regine (la Ducati rossa, la BMW nera, la Honda bianco e blu) in un cortile interno di un piccolo guesthouse prenotato in precedenza, l'unica oasi di calma che potevano trovare. Mentre spegnevano i motori, il silenzio che seguì fu quasi assordante. Si tolsero i caschi.
«Gianni,» disse Marco, passandogli una bottiglia d'acqua, «Mi hai salvato il viaggio. Grazie.» Gianni si asciugò il sudore e sorrise, appoggiandosi alla sua Africa Twin. «Siamo una squadra, no? E poi, la mia moto non ama aspettare.»
Luigi, più sollevato che mai, scosse la testa. «Sette giorni. Più di duemila chilometri. E il momento più rischioso è stato un venditore di cavoli in un vicolo.» Si diedero una pacca sulla spalla. Kathmandu, la città degli dei e del caos, li aveva accolti. La missione era compiuta. Ora, non restava che una doccia calda e scoprire cosa riservasse loro la misteriosa capitale.



La Tappa in città e il calore della sera
Dopo aver scaricato i bagagli, i tre amici si concessero il lusso più grande dopo una lunga giornata di polvere e stress: una doccia calda e rigenerante. L'acqua lavò via lo sporco della strada, ma non l'eccitazione dell'arrivo.
Marco, rimise piede nel cortile del guesthouse per primo. La sua Ducati era coperta, ma lui ne toccò il serbatoio rosso, quasi a rassicurarla. Trovò Luigi intento a verificare la pressione delle gomme della sua BMW, una routine serale irrinunciabile.
«Quindi, i 200 chilometri sono ufficialmente completati,» disse Marco, passandosi una mano tra i capelli. «Ora, cosa ci riserva la sera di Kathmandu?» «Un pasto decente, spero,» rispose Luigi. «Ho bisogno di qualcosa di sostanzioso, non solo riso e lenticchie.» Gianni si unì a loro, il suo umore leggero dopo la doccia. «Ho sentito parlare di un posto qui vicino che fa dei momos fantastici e ha della birra fresca. Lasciamo le moto a riposare. Stasera, siamo pedoni.» Si incamminarono nelle vie strette e vibranti di Thamel. Il quartiere, turistico e affollato, era un turbine di colori, suoni e profumi. Trovarono il ristorante in un cortile nascosto, un'oasi di tranquillità tra le lanterne appese. Mentre mangiavano, scambiandosi aneddoti sulla giornata - la lotta nella polvere, il bandh evitato, la scena del carrello di frutta - la conversazione si spostò sul futuro, sul vero obiettivo del viaggio.
«Settimo giorno finito,» disse Marco, sollevando un bicchiere. «Domani si chiude la parentesi nepalese.»



La Partenza verso Shanghai la nuova frontiera
Luigi annuì, i suoi occhi che brillavano al pensiero dell'ignoto. «Sì, Shanghai e l'Oriente vero ci aspettano. La logistica è stata un incubo, ma è tutto pronto.»
Il piano era audace: non volevano percorrere l'intera distanza verso Est via terra. Avevano organizzato un trasferimento aereo per sé stessi e per le loro fedeli compagne a due ruote. Era il modo più rapido per superare la complessa barriera montuosa e raggiungere Shanghai il loro punto di partenza in Estremo Oriente.
«Domani all'alba, dobbiamo essere al terminal cargo,» continuò Gianni. «Devono imballare le moto in cassa in tempo per il volo pomeridiano.»
Marco si strinse nelle spalle. «Spero solo che trattino la mia Multistrada con rispetto. Non voglio ritrovarmi il V4 smontato a metà.» «Starai bene, la Ducati è robusta,» lo rassicurò Luigi con una risata. «La mia BMW e l'Africa Twin sono abituate a ben altro. Il vero problema sarà la burocrazia cinese per l'ingresso dei mezzi, ma ce la faremo come abbiamo sempre fatto: un chilometro alla volta, un timbro alla volta.»



L'Ottavo giorno: Il Carico
La mattina successiva, l'aria era fresca e carica di aspettativa. Nonostante la stanchezza, si svegliarono molto prima dell'alba. Il cortile era silenzioso mentre preparavano le moto per il viaggio aereo. Smontarono parabrezza, specchietti e alcune borse, riducendo al minimo l'ingombro.
Alle 6:00 erano in strada, guidando le loro moto l'ultima volta sulle caotiche ma ormai familiari strade di Kathmandu fino all'area cargo dell'aeroporto. L'addio alle loro moto fu un momento quasi solenne. Le tre regine dell'avventura, la rossa Ducati, la nera BMW e la bianco-blu Honda, furono fatte scivolare in casse di legno su misura, pronte per il viaggio ad alta quota. Marco si voltò, osservando i contenitori chiusi, un mix di malinconia ed eccitazione negli occhi. «Sette giorni qui in Nepal. Non male. Ma l'ottavo giorno è il giorno del volo.» Gianni gli diede una pacca sulla spalla. «Il volo è solo un traghetto veloce. La vera avventura, l'Oriente più profondo, ricomincia appena atterriamo e rimettiamo le ruote sull'asfalto in Cina.»
Mentre i tre amici si allontanavano dall'area cargo, diretti al terminal passeggeri, sapevano che il capitolo nepalese del loro viaggio era concluso. Le loro moto erano in volo, pronte a posarsi su una nuova e vasta terra.



L'avventura continuava, prendendo quota e dirigendosi con decisione verso la prossima grande frontiera dell'Oriente, Shanghai e la Cina li aspetta!

Questo Report Real-Fantasy è un viaggio immaginario attraverso luoghi reali, prendendo spunto dall'emozionante format di "Pechino Express". Un'esplorazione tra realtà e fantasia,
la descrizioni dei luoghi, pur basandosi su località esistenti, sono frutto della mia interpretazione personale e della libertà narrativa. Allo stesso modo, le immagini che accompagnano questo racconto sono creazioni di fantasia generate tramite intelligenza artificiale. Un lavoro fatto con passione, non sono uno scrittore professionista, sebbene amo profondamente scrivere e creare racconti che parlano di moto. Allo stesso modo, non sono un graphic designer, anche se mi diletto con passione nella generazione di immagini tramite IA. Per questo motivo, vi chiedo di essere indulgenti se doveste riscontrare qualche imprecisione nelle descrizioni o nelle rappresentazioni visive, io da parte mia ci metto sempre del mio meglio.

Questo è un lavoro nato dalla passione, e spero che possiate apprezzarne lo spirito! Pray


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