Si, lo so, quest'articolo lo avevo già pubblicato, ma alcuni di voi hanno commentato: perché non metti qualche foto di quelle anticaglie a due ruote, noi a quei tempi non c'eravamo proprio, anzi i nostri genitori ancora succhiavano il latte chi dal biberon, chi da...
Ok, provvedo ora... e poi di moto ne avevo dimenticate un paio!
Sono (ero - nda) qui bloccato in casa dall'influenza, sto leggendo i suggerimenti di ZioPigTurbo sul guasto al cambio della mia CB750Four e mi tornano in mente le avarie che ho affrontato in tutti questi anni…
1968, 15 anni, il primo viaggio da solo da Torino al mare con la ITOM Astor 50, un motorino a tre marce con il cambio a manopola, come la Vespa.
Mio padre mi aveva fatto imparare a memoria e ripetere ancora al momento della partenza tutti i paesi che avrei incontrato, nell'ordine, da Torino a Diano Marina (e mica c'erano i navigatori!).
Il viaggio che, alla velocità di un motorino, oggi mi farebbe crescere tanta barba da attorcigliarla alla ruote all'epoca doveva essermi parso inebriante, con la ciliegina di salire la famosa Garessio-San Bernardino e scendere dall'altra parte verso Albenga.
Ma arrivato ormai alla fine della discesa, con una lunga strisciata della gomma posteriore il motore si blocca in una frazione di secondo.
Penso: c...o, ho grippato ! Aspetto qualche minuto, dicono che il due tempi raffreddando si sblocca, poi provo a mettere il moto: rimango sospeso in piedi sulla pedivella, che non si muove di un millimetro.
Non resta che proseguire in autostop, arrivato a Diano mio zio – che abitava li – manderà a prendere il motorino e lo farà riparare.
Si era sfilato uno degli anelli seeger che fermano lo spinotto sul pistone.
Lo spinotto uscendo dalla sua sede e strisciando contro la canna del cilindro aveva incontrato una luce e vi si era infilato dentro, bloccando all'istante il motore.
Cilindro rotto, biella piegata…
Il motorino fu comunque riparato e ci scorrazzai ancora per un paio d'anni, anche se…
Un giorno percorrendo con amici un piccolo tracciato da cross ricavato nell'allora Piazza d'Armi di Torino, all'atterraggio da un salto spaccai in due entrambi gli ammortizzatori, il peggio era dirlo a casa….
1970, la Itom passa a mio fratello e arriva la moto dei miei sogni di adolescente, la Honda CB 125 bicilindrica che il solito generoso zio, ex corridore e costruttore di moto agli albori del motociclismo - mi aveva regalato (Che moto vorresti Carlo ? - Sai zio, mi piacerebbe tanto quella – Ma perché invece non un bel Falcone Guzzi ?).
Un giorno vado a trovare un amico a Bossolasco, nelle Langhe – terra di vini e di curve come qualsiasi buon motociclista piemontese ben sa.
Me la fai provare? Passa il tempo e non torna, quando finalmente arriva a bassa velocità lasciandosi dietro una scia di fumo azzurro capisco che ha grippato.
A quel tempo le giapponesi fino a 350 cc erano contingentate, la 125 in Italia era rara e di ricambi neppure a parlarne.
Vengono montati due pistoni nuovi fatti espressamente da una ditta di Torino – ancora le conoscenze dello zio – ma sono più pesanti degli originali per cui il complesso albero a gomito-bielle-pistoni è alquanto squilibrato e il motore non riesce più a prendere i giri.
Avessi saputo che un giorno l'equilibratura sarebbe diventata il lavoro di tutta la mia vita !
Alla fine la CB 125 viene data in permuta per un Morini Corsaro Country 125.
Esemplare probabilmente nato male, che però ha avuto il merito di insegnarmi la meccanica motociclistica.
A 2500 km. ruppe un cuscinetto di banco, e da lì in poi ogni 2000/2500 km. un guasto importante lo bloccava per strada.
Viaggiavo con una piccola officina nella borsa sul serbatoio – alesatore per lisciare la canna del cilindro, estrattore per il volano, pistone di ricambio, aste, candele…) e avevo imparato a sostituire pistone, aste della distribuzione, bobine e quant'altro sul posto in modo da ripartire subito (o quasi!).
Ma il perfido talvolta mi “fregava” rompendo il cuscinetto della biella: lì non restava che smontare il motore e portarlo in rettifica.
E quando lo faceva? Ad esempio quando si andava in un piccolo campetto da cross che allora si poteva trovare sulle pendici della collina di Torino, dove l'ingresso era nel punto più alto e il Morini sbiellava in quello più basso.
Vi lascio immaginare le imprecazioni nello spingerlo in salita verso l'uscita...
Comunque il vecchio Francesco (il nome del Morini) mi ha portato fino al Nuerburgring per accompagnarmi nel secondo dei miei Elefantentreffen.
All'andata fu solo necessario cambiare la bobina, al ritorno le due aste della distribuzione ....
Ecco il Morini con il suo pilota al rientro notturno a Torino ...
Il giorno in cui dopo 40000 km. di riparazioni, ma anche di tanto divertimento, la camma che comandava l'apertura delle puntine platinate usurò talmente la sede dove girava da non riuscire più ad aprire le puntine per far scoccare la scintilla della candela, lo permutai per un Fantic Trial 125 che ho ancora oggi, in fotografia insieme al suo fratellino Fantic Trial 50 che è stato la moto scuola di entrambi i miei figli.
Il Fantic era appena uscito, appesa al manubrio c'era ancora la cartolina da rimandare alla Casa con i suggerimenti e le impressioni avute nel primo periodo d'uso.
A parte qualche cavo dell'acceleratore o della frizione che è sempre bene avere con sé quando si percorrono le vecchie mulattiere militari in alta quota (mulattiere aperte al traffico, non prati o sentieri da escursionisti!) mai un guasto fino a quest'estate quando la candela ha cominciato a sporcarsi ogni pochi km. fino a non scoccare più la scintilla.
Non ho ancora avuto il tempo di cercare l'avaria, ma non lo lascerò fermo ancora per molto.
1972, la prima moto “vera”: una Honda CB 500 Four.
Ce l'ho da poche settimane, ad un incrocio un automobilista brucia il rosso come se non lo avesse visto.
Riesco comunque a fermarmi prima dell'impatto, ma l'auto dietro di me non ce la fa e mi spinge contro il folle che nel frattempo stava anche svoltando venendomi incontro.
Il manubrio gli sfonda un finestrino e vi rimane agganciato, la moto ed io con lei veniamo trascinati dall'auto per diversi metri.
A parte il manubrio, il telaio si è fortemente piegato ma la moto è nuova e il danno è a totale carico dell'assicurazione, per cui vale la pena ripararla.
Ma è guardando il casco che mi rendo conto di cosa sarebbe potuto accadere: in prossimità dell'orecchio la calotta è quasi completamente consumata dall'abrasione dovuta allo strisciamento contro la carrozzeria in tutti quei metri percorsi a sandwich.
Fortunatamente il casco l'ho sempre indossato fin dagli inizi, anche per fare brevissimi tratti quando ancora non era d'obbligo. Meditate ragazzi…
La piccola 500 Four mi verrà rubata un anno dopo, percorsi 25000 km. senza nessun problema.
Trascorsi un paio d'anni di Purgatorio per scarsità di pecunia, arriva il momento di servire la Patria.
Corso alla Cecchignola di Roma, poi dopo qualche mese trasferimento a Milano.
Nel frattempo qualche monetina era rimasta attaccata al borsellino, perciò quale occasione migliore per comprarsi una moto con cui andare in licenza a casa?
La scelta cade su un Suzuki GT 500, bicilindrica a due tempi modificata in origine dall'importatore con kit di ruote in lega e freni a disco davanti e dietro, una chicca per i tempi.
Dopo la naja, nelle ore post lavorative ho a disposizione un'officina per giocare un po' con il Suzuki: monto mezzi manubri, pedane arretrate e una carena tipo quelle delle motogp (cioè, classe 500) dell'epoca, tirando fuori una specie di supersportiva ante litteram.
L'impiego di due pignoni e due corone con diversa dentatura da la possibilità di scegliere tra quattro rapporti finali più o meno veloci.
Il guaio è che l'efficienza aerodinamica in carena era tale da far superare abbondantemente regime di rotazione e velocità consentite, così quel giorno su un'autostrada tedesca – no speed limit! - la lancetta del tachimetro arrivò a fine corsa ma il Suzukino continuò ad accelerare.
Superare moto di cilindrata doppia era un godere, fino a quando un leggero tintinnio mi fece contrarre d'istinto il dito sulla leva della frizione: il grippaggio arrivò in quel momento e la povera bicilindrica fece d'abbrivio ancora due o tre km. prima di fermarsi.
Il cielo di un pistone si era fuso lasciando un… buco nero al suo posto.
Dopo l'esperienza Morini lo smontare i cilindri, cosa molto facile su un due tempi di quel tipo, portarli in rettifica e rimontare nuovi pistoni fu un gioco da eseguire a occhi bendati.
Viaggio di nozze in moto,
Ppoi arriva il primo figlio e il Suzuki rimane fermo nel box, così dopo qualche tempo la vendetti per non vederla più li a coprirsi di polvere.
Mi fece piacere sentire dall'acquirente che l'avrebbe utilizzata per correre, la piccola ne sarebbe stata felice, ma vederla andar via mi procurò un tuffo al cuore.
Gli anni passano e dopo tanto tempo arriva un secondo marmocchio, e la mia ex zavorrina che male aveva digerito la vendita del Suzuki che fa? Scova una CB 750 Four in un pagliaio e me la regala.
Una bella pulizia dei carburatori, un tagliando generale e… siamo di nuovo in moto !
Per 25 anni Luckie (così si chiama) ci scorrazza allegramente, isole comprese…
Solo inconveniente l'incrinatura di un carter per un avvallamento in curva presa un po' allegramente sulla Garessio-San Bernardino (sempre lì, ricordate?) con sospensioni a pacco e toccata un po' ruvida sull'asfalto.
Smontaggio dell'alternatore per liberare il carter, un bello sgrassaggio, un po' di pasta metallica ed il problema è presto risolto, mai più una goccia d'olio trafilata.
Poi da qualche anno a questa parte mi viene il buzzo di regalarle la certificazione ASI.
Al posto dei Köni rimonto i suoi ammortizzatori originali dopo averli fatti ricromare, sostituisco la coppa del contakm ammaccata in un traghetto, risello la sella ormai tagliuzzata da 25 anni di pesi… non proprio piuma con una replica della copertura originale, dagli USA riesco a farmi mandare l'introvabile maniglione posteriore e, dopo un paio d'anni di ricerche, finalmente trovo anche i suoi quattro scarichi da sostituire all'impianto 4-in-2 con cui l'avevamo trovata.
Insomma, un bel maquillage anche in termini di volgar conio, ma lei se lo merita.
E' praticamente pronta per sostenere l'esame dell'ASI e per festeggiare organizziamo quattro o cinque giorni di ferie in Provenza con una coppia di amici.
E qui il diavolo è in agguato.
Siamo a Saignon, un grazioso paesino a picco sopra Apt, sto per entrare in un parcheggio per visitarlo, rallento, scalo in seconda e una sonora grattata che non cessa neppure in folle mi delizia le orecchie provenendo dal cambio.
La prima e la seconda sembra che cerchino di entrare insieme, della terza e della quinta non c'è più traccia.
Si ferma un camioncino che ci vede in difficoltà e ne scendono due addetti alla manutenzione delle strade, anche loro modards, per offrirci aiuto.
Cerchiamo di smontare il coperchio del selettore per vedere cosa è successo, ma nonostante le “scalpellate” sui tagli delle viti a testa croce le ultime due si rifiutano di svitarsi.
Ad Apt chiediamo aiuto ad una officina, gli unici meccanici aperti in città quel giorno, ma ci viene rifiutato perché “perderebbero troppo tempo a svitarci due viti con il cacciavite pneumatico”… No comment.
Sfruttando la quarta portiamo la moto a Manosque dove c'è una grande Concessionaria Honda, con un grande via vai di meccanici in tuta firmata che portano moto in officina e ne riportano altre fuori.
Il titolare appena metto in moto il motore mi suggerisce di portarla a riparare in Italia, occorre tirar giù il motore, aprirlo, ordinare i ricambi e aspettarli chissà quanto, sempre che si trovino ancora… ma perché non ti compri una moto nuova?
Siamo tornati a Torino in quarta a bassa velocità per non sollecitare troppo la meccanica superstite, percorrendo quegli ultimi 300 km. con un po' di apprensione.
Adesso lei è da un meccanico che non ha ancora avuto tempo (o l'ispirazione) di aprire il motore.
Oggi non ho più la disponibilità di una officina e tirare giù dal telaio un motore a quattro cilindri, movimentarlo e aprirlo senza l'attrezzatura necessaria, in un box male illuminato e reso polveroso dalle ruote dell'auto, non è cosa alla mia portata.
Per continuare ad andare in moto ho trovato a buon prezzo un Transalp di una ventina d'anni, ottima moto, leggera, maneggevole e intuitiva, già ci ha portato in Sardegna e da lì in Corsica per godere quelle ferie che la Four non ci ha potuto offrire, ma non vedo l'ora di sapere cosa è successo alla nostra Luckie per provvedere alla sua riparazione...
E per terminare, ancora due motine...
Il Fantic Raider 125, acquistato qualche anno fa su E-bay per ben 251 euro... è costato forse di più il passaggio di proprietà !
Unico guasto, il rinvio del contakm... però era troppo piccola per salire in coppia sulle mulattiere alpine per cui dopo qualche tempo ci siamo separati.
E infine la Motoguzzi Airone Sport 250, acquistata nel 1979 e restaurata poco a poco.
Gli orribili specchietti neri sono quelli che dovetti montare per rimetterla su strada, a quell'epoca alla Motorizzazione non li volevano cromati per via dei... riflessi !
Nonostante i suoi quasi 70 anni si è fermata solo due volte, entrambe per aver bagnato la candela (e quella di scorta naturalmente l'avevo dimenticata sullo scaffale...).
La prima durante una gita sociale dovevamo raggiungere un rifugio in alta montagna, e siccome l'ultimo tratto di strada era su sterrato avevo applicato una calza di nylon sul cornetto di aspirazione del carburatore, perché lo Sport non ha il filtro dell'aria.
L'idea era quella di evitare che vi entrasse polvere, ma a questo punto la miscela aria-benzina era troppo grassa.
Nonostante l'Airone arrivasse orgogliosamente fino al rifugio, dopo la (lunga, sapete com'è nei pranzi sociali...) pausa pranzo si rifiutò di ripartire nemmeno nella ventina di km. di discesa percorsi con la marcia inserita.
Per fortuna in quell'occasione c'era il carrello scopa ...
L'altra volta invece il carrello scopa non c'era ...
Era successo rientrando da un altra gita sociale, quando ormai nelle vicinanze di Torino ognuno si era separato andando per la propria strada.
Dopo una giornata di sole Il cielo si era aperto scaricando un temporale di violenza inaudita, viaggiando con il casco jet e gli occhialoni stile anni '50 pareva di poter affogare per la quantità d'acqua proiettata sul viso.
Finalmente una pensilina !
Quasi al riparo aspetto che termini il temporale che dopo la pioggia ha inondato la strada di grandine, poi - ormai notte - riparto.
Ma la statale adesso sembra un fiume che trasporta ogni sorta di detrito, la Guzzi avanza tra la sua stessa scia e le secchiate d'acqua proiettata dalle auto che la sorpassano.
Per un po' fa finta di niente, ma alla lunga inizia a tossicchiare prima con discrezione, poi sempre più forte, fino a fermarsi.
Il tempo di avvisare a casa del ritardo e il cellulare - anch'egli piuttosto... umido, si scarica.
Non potrò più chiamare neppure un carro attrezzi...
Voi lascereste una moto del 1950 abbandonata per strada, di notte ? Forse sperando alla moda di Pinocchio di trovarne poi quattro il mattino dopo!
Ma io non credo alle favole per cui mi accingo a spingere, con l'intenzione di lasciare il Guzzi nella prima autorimessa pubblica... che arriverà ovviamente in città dopo 18 km...
Il perché la Sport si fosse offesa fu scoperto smontando il carburatore, dove nella vaschetta c'era più acqua che benzina insieme a una morchia formata da frammenti di sporcizia e fogliame catturati dal cornetto di aspirazione.
La piccola non mi aveva lasciato a piedi neppure sulla Susa-Moncenisio (per una volta, non la Garessio-San Bernardino!) quando dopo la sosta-caffè a Susa avevo intrapreso la salita dimenticando ai aprire il rubinetto dell'olio.
Percorsi alcuni km. quella sensazione di indurimento del motore così famigliare ai tempi del Morini mi suggerisce di tirare subito la leva della frizione e, a quel punto, il motore si arresta con il classico grrrrrannn.
Lo lascio raffreddare, poi con un po' (molta?) d'incoscienza riprendo la salita fino a raggiungere il passo del Moncenisio, tanto ormai se ha grippato dovrò comunque rettificare il cilindro e cambiare le fasce se non anche il pistone...
Ritornato a casa smonto il motore per constatare i danni: sulla camicia del cilindro neppure un graffio, e pistone e fasce sembrano nuovi !
Ma già, vedo che il pistone fu costruito da quel mio zio ex corridore e costruttore, che appunto nel '27 cessò di costruire moto per specializzarsi nella fabbricazione di pistoni.
Così mi torna in mente, con affetto, che quando gli offrivano da fumare rispondeva: no, grazie, pistone B. non fuma!
Bene, come concludevano le favole di quand'ero bambino, stretta è la foglia, lunga la via, voi dite la vostra che io ho detto la mia.