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La strada verso il passo
Scritto da mab - Pubblicato 17/04/2013 11:58
Ciao a tutti! Dopo il mio primo “esperimento letterario” mi sono deciso a pubblicare il secondo. Visti i complimenti dell’altro, sono un po’ timoroso... vediamo come va con questo racconto!.. :)

Bella. Perché é bella la strada verso il passo. Dolce la ripida salita che si fa via via più aspra. Salgo la valle, mutevole di luce e d'ombra in questo pomeriggio di metà settembre. Scorre silenziosa sotto le ruote della mia moto, di cui mi pare di non sentire più il suono. Sembra tutto ovattato, talmente è placido e tranquillo, in questa valle boscosa, sferzata solo a tratti dai raggi rassicuranti del sole. Il panorama scorre così vario e multiforme, mutevole, tra le curve che si susseguono senza sosta regalando sempre nuove prospettive, che quasi non mi accorgo...

Poi mi fermo al lato della strada e mi affaccio: la valle, placida fino ad un momento prima, si fa severa. Nascosto dietro gli alberi giù un profondo strapiombo. Laggiù in fondo turbina l'acqua impetuosa di un ruscello che sa di nevi e di ghiaccio. Così bella e così severa, così grande, soltanto ora me ne accorgo! Nascosta dietro le chiome rassicuranti degli alberi, che quasi accarezzano l’asfalto scopro una valle grande e profonda.

E sono i giochi dell'ombra ora, non più della luce, che mi fanno scoprire poco a poco tutti i suoi dettagli: dai tetti placidi dei masi, giù in basso, lungo i pendii della vallata, al movimento complicato, quasi disarmonico, ma bello, di questa fenditura che gira, che ruota, nascondendosi e scoprendosi ad ogni svolta, nelle sue mille forme, nelle sue ombre boscose e verdi, rassicurante e severa.

Il borbottio impetuoso del bicilindrico rompe il silenzio; riparto e proseguo, gli alberi diradano e finalmente mi arrampico, con gli occhi che seguono le cime, col polso e con le gomme che seguono gli andamenti sinuosi delle curve. Ruvidamente accarezzandole col bordo morbido della gomma, quasi mordendo le rocce con l’urlo impetuoso del motore, che risuona e rimbalza su questa pietra viva che mi circonda.

Privilegiato. Il passo è splendido, molto poco battutto. Mi dà un senso di pienezza, di soddisfazione. Spero che altri non lo scoprano mai. È perfetto così, scomodo e poco accessibile, in una valle secondaria dove non vanno che i valligiani. Sulla strada quasi nessuno, qualche sparuta automobile, turisti stranieri e cabriolet.

I tornanti si allungano, continuo a salire e ad una svolta la sorpresa più strana: un gigantesco portone presidia la strada. Un enorme portale di legno e di acciaio, corroso dal sale e dal ghiaccio difende quel tratto di strada, preclude maestoso l'accesso alla nera galleria, buia come una caverna, gocciolante di acque e di ghiaccio. Mi accingo ad entrare, per me è aperta. Ma prima mi volto a guardare, un ultima volta, quel panorama infinto e magnifico, di cime di monti e di sole che mi sto per lasciare alle spalle.

Privilegiato e timoroso ne varco la soglia, indeciso se procedere piano, deferente come un bambino impaurito che si avventura nel buio, o sfrecciare attraverso la montagna nera prima che il portone si richiuda dietro di me, lasciandomi intrappolato nel ventre freddo ed umido di questo gigante di pietra. Che pare vivo.

Ritorno alla luce, la montagna è ancora più aspra. Il vento mi sferza e le rocce appuntite ed aguzze sembrano volermi colpire. Guardo di lato e, di là della strada, di là della valle che l'indefinita distanza di uno sguardo può misurare, altre montagne ed altre rocce, aguzze, mobili, con le punte bagnate dal sole sembrano muoversi insieme a me, corrermi accanto, come onde di un mare ghiacciato di rocce, sferzato da quel vento che ancora batte e mi fa sbandare, che non vuole farmi avanzare, mentre la patina bianca del sale di questo mare roccioso già si deposita sulla moto e su di me.

La furia del vento non cessa, sono arrivato, vorrei cercare un riparo. Scendo. E non riesco a fare a meno di correre tra quei sassi aguzzi, godermi quel panorama spettacolare di mare, mentre il vento adirato cerca di buttarmi giù mi schiaffeggia sul volto con polvere e neve. Il rifugio è chiuso. Trovo riparo nel piccolo museo del passo, scheggia di ferro piazzata nella roccia, che mi appare calda e accogliente.

Dalla vetrata mi affaccio e quella tempesta di rocce è ora ancora diversa, mutevole alla luce veloce del tardo pomeriggio. Tentenno, dubito, misuro chilometri, orari e distanze. Devo tornare di là prima che si chiuda il portone. Ma mi avventuro per un po’ e scendo sull'altro versante, scivolando su questa strada biancastra di polvere, sale e nevischio. Il vento cessa, si arrende e mi abbandona, la montagna ora è dolce, quasi bucolica e rassicurante.

Spengo il motore e mi lascio andare giù per la discesa, verso il chiarore caldo del sole quasi al tramonto. Passo in mezzo ad un gregge di pecore che attraversa, lascio la moto là in mezzo alla strada deserta, cammino, mi fermo a contemplare, e una cabrio blu, un alfa duetto degli anni 70, lei col foulard, lui coi guantini di pelle e corda intrecciati, mi passa accanto. Sarà tutto un sogno?

[ Qui il primo racconto ]
 

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Commento di: 749_74 il 20-04-2013 23:37
ciao mab,
questa è poesia, intensa, maestosa, raffinata.
E' un privilegio poter leggere l'arte.
Mi inchino.
Commento di: markobassi il 25-04-2013 21:42
Non è un sogno: è la moto, ragazzo!
Il più grande meccanismo produttore di emozioni felici!
Complimenti.