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La leggenda del bambino con la tuta da moto
Scritto da docelektro - Pubblicato 26/01/2011 09:34
Molti anni fa un ragazzino per “odore” di mafia era stato sciolto nell'acido... Era una cosa sufficientemente brutta da smuovere la mia pigrizia (capita di rado) e scrivere un racconto.

Più che altro per ricordarlo... Nomi, zone e mezzi sono INVENTATI. Attenzione linguaggio QUASI CRUDO. Penultimo racconto del libro di doc.

LA LEGGENDA DEL BAMBINO CON LA TUTA DA MOTO

Ogni zona ha le sue leggende, anime dannate che vanno in giro per fare danni e mettere paura, dai morti squartati in epoca medioevale a esseri saltati in aria durante una delle guerre mondiali.
Si passa dai cavalieri antichi vestiti di armature a meno nobili cavalieri in divisa grigia oppure verde.
Come regola generale, chi trapassa per morte violenta, a volte non va nel mondo dei morti o se ci va non vuole restare nel mondo dei morti ma cerca sempre di tornare, e talvolta ci riesce. Dicono che si materializzi come presenza, alcuni dicono che ritorni per farla pagare a chi lo ha ucciso. Ma se di mezzo c’è un incidente e una morte accidentale? E soprattutto che forma potrebbe avere un fantasma? Lo immaginiamo con il lenzuolo? Oppure come?
Non c’è zona che non abbia le sue credenze popolari e spesso a esse si attribuiscono rumori, ombre e luci non spiegabili (o spiegabili dopo a mente fredda).

Anche la pineta di Roure Chisone ha la sua leggenda, una leggenda recente. Si racconta che nel 1994 ci fu un incidente motociclistico, una moto lanciata a folle velocità sulla statale del Sestriere si schiantò contro il guardrail facendo due morti, anzi un morto e un disperso. Morì Angelo Cafueri di anni 45 siciliano, elemento di spicco del clan di Totò Riina, nello schianto riportò gravi lesioni interne e non sopravvisse al trasporto in ospedale. Il disperso era Antonino Cafueri di anni 12, non venne più ritrovato.
Si pensò che fosse stato sbalzato nel fiumiciattolo che in Agosto è poco più di un torrente, ma le ricerche non hanno dato nessun esito.

Venne anche una squadra da Torino di carabinieri con i cani, ma perlustrarono una giornata senza trovare assolutamente niente. Niente fu nemmeno trovato nelle chiuse al comune più a valle, Pinerolo. Vennero controllate ogni pozza, ansa e diramazione, ma non si trovò niente.
Eppure il bimbo venne visto sbalzato via dagli stessi occupanti dell’altra moto che seguiva e che era stata sorpassata, in quanto i giornalisti malignando (come è loro solito fare) dicevano che era in corso una gara clandestina, a dire il vero un sorpasso molto azzardato che si è concluso con lo schianto, alla curva dopo, presa troppo veloce… nessuno saprà mai come è andata veramente. Di Antonino non si seppe più niente.

Al funerale seppellirono una bara piena e una vuota, pratica illegale ma molto diffusa quando ci sono morti e sparizioni in odore di mafia, lo stesso corpo del padre venne infatti fatto rientrare in Sicilia con un aereo privato senza troppi controlli.

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Un gruppo di ragazzi intenti a fare campeggio abusivo lo vide una settimana dopo: erano seduti intorno al fuoco, intenti a mangiare, bere e fumare. Venne verso di loro con un cane lupo e attaccò subito discorso.
-“Salve ragazzi come va?”
-“Ciao tipo“ disse uno di loro intento a prepararsi una bonga, nel mentre si guardava in giro in quanto il cane sembrava un cane lupo da sbirro, ma era piuttosto trascurato e con il pelo opaco.
-“bel cane, è un cane lupo?” chiese una tipa.
-“no è un lupo!, Dorme insieme a me tutte le sere”disse il bambino.
-“e in moto come lo porti?“ facendo allusione alla tuta da moto
-“viene a piedi, abito due curve più sopra, e mio padre porta me con la moto, sapete ha un mille da strada”
-“e adesso dove è se tu sei qui” richiese la tipa.
-“sta cercando di fare partire la moto, si è guastata. Quando l’avrà aggiustata mi verrà a prendere, posso sedermi vicino al fuoco?”
-“siediti pure” disse un tipo con i capelli lunghi.

Il bambino posò il casco che aveva sottobraccio e si sedette.
Stava osservando, quasi sorridente, divertito da cosa gli altri facevano.
C’era chi fumava, chi beveva e chi era già addormentato in un sonno profondo.
Al mattino al risveglio si chiesero l’un l’altro dove fosse il bimbo, ma di lui rimaneva solo il ricordo in chi lo aveva visto e le impronte per terra.

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Oscar Depetris è un pacifico commercialista grassottello, stava tornando a Torino dal Sestriere con l’auto della moglie, era domenica notte e lunedì doveva finire dei lavori nel suo studio di Torino, piazza Statuto, una nebbia,  tipica di gennaio avvolgeva la strada e riduceva la visibilità. Vide appena un bambino vestito con la tuta in pelle da moto che faceva l’autostop e fermò per farlo salire.
Aprì la porta e lui salì, posò il casco sulle ginocchia e chiuse la porta.
Oscar gli chiese “non sei troppo piccolo per guidare una moto”.
Lui gli rispose con accento siciliano “la moto è di mio padre e si è rotto il motore due curve più in giù, sono andato a cercare un pezzo di ricambio”.

Oscar non volle indagare, era domenica e non c’erano meccanici più in su. Tuttavia partì lentamente. La nebbia aumentava e poco più in giù quasi non si vedeva nulla. D’improvviso il bambino fece uno scatto in avanti e urlò “frena!!!!”. Oscar frenò e la clio si arrestò con stridio di freni, il casco che era sulle ginocchia rotolò contro al cruscotto. Dall’erba uscì un cinghiale che attraversò la strada e sparì nel nulla, risucchiato dalla nebbia.
Tirò un sospiro di sollievo e poi ripartì, fece i complimenti “che vista piccolo!”, ma il bambino non rispose alla affermazione, disse solo “avresti sfasciato la macchina, contro quel cinghiale”.

Quando arrivarono vicino alla pineta gli disse che scendeva qui.
Oscar fermò di nuovo la macchina, il bambino scese e chiuse la porta. Scese anche Oscar, avrebbe voluto dare una mano a aggiustare la moto, ma non c’era nessuno. Girò intorno alla macchina che illuminava la nebbia con i fari.
Ma non c’era proprio nessuno. In lontananza abbaiavano i cani e i rumori arrivavano ovattati dalla nebbia.
Il terreno era gelato, non poteva nemmeno vedere se c’erano impronte di scarpe o pneumatici. Comunque a Torino le scartoffie lo aspettavano, salì in macchina mise in moto e ripartì, non aveva né tempo né voglia di farsi domande.

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Marco voleva farla finita, gli era andato tutto storto: aveva perso al casinò in Francia quasi tutto lo stipendio dopo aver svuotato il conto in banca, aveva importanti spese per il mese e Irene, la sua ragazza gli aveva detto che al ritorno lo avrebbe lasciato. Altro che vita insieme, altro che giorni felici: aveva rovinato tutto per la sua stupida mania del gioco d’azzardo!
Pensava che un nodo alla gola fosse la soluzione, arrivò con la “regata diesel” nel parcheggio della pineta, la parcheggiò, chiuse a chiave la portiera, non prima di aver lasciato un biglietto di scuse sul cruscotto.
Si incamminò a piedi verso il ponte di legno. Era sua intenzione impiccarsi a una delle travi del ponte, stando in piedi su un pietrone per poi buttarsi giù.

Camminava senza guardarsi intorno, facendo luce con un accendino e inciampando in questo o altro sasso, arrivò al ponte. Lanciò la corda intorno a un trave e ne fece un nodo. Stava preparando il cappio quando una voce dietro di lui cominciò a leggere “Vi chiedo scusa, sono un fallito e posso rimediare solo togliendomi ….”. Si girò di scatto, divenne pallido e chiese a alta voce”chi sei?”.
“chi sei tu!” disse il bimbo “dormivo così bene prima che mi pestassi un piede passandomi accanto!.”
Marco, sentendo che era la voce di un bambino si sentì un po’ rincuorato, anche se al fondo della colonna vertebrale sentiva sempre un certo timore. Mollò la corda che cominciò a penzolare e accese l’accendino. Vide illuminata dalla fiamma tremolante dell’accendino la sagoma di un bambino vestito con una tuta da moto che teneva in mano il foglio che lui aveva scritto e aveva lasciato in macchina. Era seduto su un casco integrale e lo guardava dritto negli occhi.

“Sto solo leggendo, che hai fatto di male per impiccarti? Hai ucciso qualcuno? Mio padre ogni tanto spara a qualcuno ma non si è mai fatto problemi!”. “No” rispose Marco”voglio uccidere me stesso, sono un fallimento totale! Prima mi bucavo, ora ne sono fuori e sono caduto nel gioco d’azzardo e sto continuando a perdere soldi”.
“Tutto lì?” Disse il bambino ripiegando il foglio e dandoglielo, aggiungendo “torna a casa, chiedi scusa, magari aggiungi qualche lacrima; poi spendi un po’ meno per qualche mese rinunciando al bar e a qualche pizza, e poi che ci trovi di interessante nel gioco? Pensa a viverla la vita, guarda che serata!”

Marco si guardò intorno e vide che effettivamente era una bella serata, la luna faceva capolino dalle nuvole, il cielo era tutto un rifiorire di stelle, poi riguardò in direzione del bimbo, adesso non c’era nessuno!
Tornò all’automobile che trovò chiusa a chiave come l’aveva lasciata, mancava il foglio sul cruscotto. La aprì si sedette all’interno e accese il motore. Quando accese le luci, vide che di fronte a lui, seduto su un pietrone c’era il bimbo che lo guardava, sobbalzò sul sedile, tirò giù il vetro e disse “vuoi che ti porto fino alla moto?” “No” rispose “quando mio padre l’avrà aggiustata mi verrà a prendere” “e guida piano, è facile ammazzarsi per strada! Credimi!”.

Marco andò via salutando con la mano dal vetro, illuminando la strada con i fari, andava molto piano, si guardava intorno, ma di moto parcheggiate a bordo strada non c’è n’erano e dato com’era vestito il bambino doveva essere un bel motone da strada. Ma non vedeva niente, solo il buio intorno a lui.
Tornò una notte ad amoreggiare con Irene in quella pineta, qualche giorno dopo ma non vide nessuno vestito con la tuta da moto, né adulto né bambino e nemmeno quella notte vide moto parcheggiate a bordo strada.

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Eliana Luigia Manin detta anche nonna Manin abitava in una casa sulla collina, proprio dietro alla pineta. Da sola con i suoi 86 anni, un cane e qualche gatto. Era la nonna di tutti, conosceva ogni angolo di quelle montagne, ogni persona.
Vive dominata dai ricordi, dall’alluvione dell’anteguerra che aveva spazzato via due dei suoi tre figli, alla guerra che aveva fatto tornare il più giovane invalido, partito poi per la città, per lavorare in fabbrica e mai più tornato.
Ricevette qualche anno più tardi un telegramma che ne avvisava la morte, in un incidente sul lavoro.

Un tardo pomeriggio mentre andava a funghi, né trovò qualcuno ma venne sorpresa da un violento temporale, andò a ripararsi sotto una tettoia di quelle usate dai turisti per le merende, vicino alla pineta.
Un vento freddo soffiava l’umidità fino nelle ossa, i lampi squarciavano il cielo e la pioggia nonostante la tettoia arrivava a bagnare i vestiti.
Si stava facendo buio e la pioggia sembrava non dovere finire da lì a breve, sconsolata pensò ad alta voce”staseira posu nen turnè a cà, povra mì”.

“Non pianga signora pioverà ancora per un'ora al massimo”disse una vocina alle sue spalle.
“oh sun nen sula an bele si” rispose la signora
“no ci sono anche io” disse il bambino
La nonna lo guardò da testa a piedi, poi disse “ma cum at ses vestì?”
“è una tuta in pelle da moto, stavo andando in moto con mio padre quando la moto si è rotta, lui la sta aggiustando, quando andrà mi verrà a prendere”.
“povr cit ma tses tut bagnà” aggiunse la nonna.
“solo fuori, dentro sono asciutto e caldo, ho solo i piedi un po’ umidi”

La pioggia stava diminuendo ma il cielo era sempre più scuro e la nonna affermò”ai sciairu nen ad andè a cà”.
Quando smise di piovere il bambino disse “la guido io a casa “e cominciò a camminare con piccoli passi.
La scarna mano veniva tenuta dal bambino e guidata passo a passo in mezzo a quegli alberi e ai cespugli, l’altra mano reggeva il casco.
Nonostante il buio fosse ormai arrivato, rischiarato di tanto in tanto dai lampi del temporale che si allontanava, il bambino conosceva il bosco perfettamente, le stanche gambe di Eliana Manin appoggiavano sempre su terreno consistente, non un sasso e non una radice la fece inciampare.
Arrivarono alla casa e salirono la scala di legno.
“dorm si staseira, tses tut bagnà” disse la signora. Il bambino disse “va bene, tanto fino a domani mio padre non potrà venire a prendermi con la moto”.

Nonna Manin entrò in casa, accese la luce e si mise qualcosa di asciutto. Il bambino giocava con il cane.
Accesero la stufa, qualche foglio di giornale, un po’ di legno piccolo e la fiamma guizzò rapida, dopo la nonna accese la radio come faceva tutte le sere per non morire di solitudine.
Mangiarono la minestra, con un po’ di pane dentro. La radio faceva da sottofondo portando musica e voci da terre lontane con quella voce calda e piena che solo gli apparecchi a valvole a onde medie sanno dare.
Parlarono tutta la notte, la nonna gli raccontò aneddoti e episodi di una intera vita di rinunce e pericoli. Gli raccontò della guerra, dell’alluvione e di tutto cosa fosse successo in più di mezzo secolo in quella vallata.
Il bambino poco per volta si addormentò vestito raggomitolandosi sul divano, vicino a Bill, il cane.
Il fuoco crepitava nella stufa irradiando un piacevole calore. Andò a rimboccare le coperte al bambino e quasi inciampò sul casco che faceva bella mostra di se sul pavimento. Tirò su la coperta, fino alle spalle che sembravano più grosse a causa dei rinforzi e della gobba salvaschiena lasciando fuori soltanto la testa di Bill. Poi si sedette sul divano e cullata dalla radio si addormentò.

Si svegliò al mattino, il sole inondava di luce la stanza, le imposte erano ancora aperte, qualcuno aveva spento la radio e la luce. Girò la testa per vedere il bambino sul divano, ma c’era solo più il cane, la coperta era su un lato ben ripiegata. Sul tavolo c’era un biglietto, ”grazie nona Manin”.
Pensò che il padre fosse venuto a prenderlo con la moto, ma Bill non si era svegliato e non aveva abbaiato, bè meglio non pensare, è iniziato un altro giorno e aveva due porcini pinicoli da preparare e fare seccare.

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Igor è un punk, cresciuto in un paese della vallata accanto, e andatosene di casa quando il mondo gli sembrava troppo stretto. Capelli sparati verso il cielo e voglia di viaggiare sia col corpo che con la mente anche se fino ad allora tutti i viaggi che aveva fatto non lo avevano portato da nessuna parte.
La pineta gli sembrava un posto tranquillo in cui farsi e ripartire con la mente per poi ricadere da lì a poco dopo sulla terra e sentirsi ancora più male.

Si addentrò a piedi mentre già stava imbrunendo, scelse un posto tranquillo, si tolse la cintura dei pantaloni che subito arrotolò intorno al braccio già abbondantemente sforacchiato.
Tirò fuori la siringa dallo zaino, la bustina, l’accendino e il cucchiaino.
Accese, preparò sciolse e iniettò. Come tutte le altre volte, no, forse stavolta ne aveva messa troppa e la vampata di calore diventò soffocante. Sentì le tempie che pulsavano come un treno a vapore, i suoni andavano e venivano, la luce tremolava, era partito…

Dove lo avrebbe portano questa volta la mente ? Avrebbe voluto rivedere la terra del mai, il suo primo viaggio fatto bucandosi nel treno, quando si vide in un bel giardino con intorno a se soltanto erba e fiori.
Invece no. Si trovava in una città caotica macchine che schizzavano sulle strade, code, semafori e più ancora macchine. Guardò verso il cielo ma vide solo una informe massa grigia.
Poi cercò di scappare, attraversò una strada e un taxi gli passò vicinissimo strombazzando. Fece altri due passi e un alfetta di colore violaceo si fermò davanti alla banca. Scesero due loschi figuri che entrarono con le armi in pugno. Tutto ciò a Igor non piaceva, si nascose dietro un pulmann parcheggiato, ma dopo gli spari e le grida il suo nascondiglio si mise in moto e se andò.
Fece appena in tempo a guardare la banca che i vetri andarono in frantumi mentre i due salivano in macchina e partivano sgommando.
Arrivò a sirene spiegate un altra macchina e cominciò un violento scontro a fuoco. Igor voleva scappare ma le gambe non rispondevano, cercava di correre ma riusciva si e no a camminare, come si cammina a un funerale. E capì che il funerale era il suo, sentì qualcosa attraversagli un fianco, una botta come un pugno, cadde a terra e il cielo si fece bianco come il latte.

Si risvegliò sul marciapiedi, intorno a lui qualcuno piangeva, vecchie donne vestite di scuro che lui non aveva mai conosciuto si sgolavano a piangere.
Poi uno da dietro lo chiamò “Igor”, poi di nuovo, lui si rese conto che non stava respirando, cercò di alzarsi e vide che il suo corpo era a terra in una pozza di sangue, ma lui era come trasparente si sentiva galleggiare e di nuovo la voce “Igor!!!”.
Si girò, vide un uomo sulla quarantina, barba e baffi seduto su una grossa moto da strada.
Cominciarono a parlare, Igor disse “ chi sei? “
Lui rispose “Io ? sono un padre di famiglia”
“ E che cazz vuoi da me? “
“portarti indietro, voglio che vai via di qui, non è posto per te almeno non ancora”
“voglio andare via anche io questo posto è una merda!”
“Sali allora”

Igor non aveva neanche messo i piedi sulle pedane quando già la moto stava sfrecciando via, era senza casco e l’aria gli stava riempiendo gli occhi, gli insetti sembravano proiettili. Poi venne notte poi di nuovo giorno e in pochi minuti fu di nuovo sera e la moto si fermò in mezzo ai pini.
“scendi ora” gli disse l’uomo con la barba.
Igor scese e l’uomo disse ancora “dì a mio figlio che gli voglio bene”, sparì in un rombo assordante.
E Igor si trovò da solo, in mezzo ai pini. Stava diventando sempre più buio e le palpebre sempre più pesanti. Si addormentò. Vide tutto nero, il cielo come un grosso telone scuro gli stava scendendo addosso.
Una voce di bambino gli gridava “svegliati” si sentiva percuotere, mordere e leccare, aprì gli occhi che all’inizio sembravano incollati e vide un cane e un bambino che cercavano di rianimarlo,  il cane faceva del suo meglio con la bocca a rosicchiargli una scarpa, il bimbo gridava e poco a poco a Igor tornarono le forze riuscì a muovere la testa poi a bofonchiare qualcosa, il cane lo stava ora leccando.
Poi di colpo ricominciò a vedere, riusciva di nuovo a muoversi, si alzò di scatto e poi ricadde subito a terra, riusciva si e no a stare seduto e così fece.

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In tanti dicono di averlo visto, chi di averci parlato intorno al fuoco, chi di averlo portato in macchina, chi di averci camminato insieme.
I pastori lo hanno visto camminare nella notte quando sorvegliano il bestiame e fumano la pipa sotto alle stelle; lo hanno paragonato alle streghe parlandone con rispetto e senza timore.
Alcuni esperti hanno fatto ricerche sulle impronte degli stivali da strada alpinestars, che sono state trovate e appartengono a un modello di stivale effettivamente in commercio, di un numero adatto a un bambino o a una ragazza ma estremamente diffuso.

La polizia ha interrogato gli abitanti della zona, senza riuscire a sapere nulla, qualcuno lo ha visto, qualcuno no e nessuno ha saputo fornire particolari nuovi a quelli che già si sapevano.
Ma nessuno che lo ha veramente cercato lo ha mai trovato. Non ci sono riusciti i carabinieri con i cani. Non ci è riuscita la guardia forestale che ha girato giorni con il fuoristrada. E poi perché non è mai cresciuto? Tutti parlano di un metro e cinquanta, e lo descrivono sempre uguale, vestito nello stesso modo, con la stessa tuta Dainese rossa con triangoli bianchi e blu, lo stesso casco integrale scuro senza visiera,  sottobraccio e con i capelli corti e scuri sempre uguali. Vogliamo pensare che Antonino esista veramente? Diventano ormai una delle tante presenze che vivono nei boschi, e che in questo momento sia a dormire sotto qualche pino secolare o a giocare con qualche cinghiale, cane selvatico, gatto, lupo o qualche volpe nella sua pineta. In un posto nel quale nessuno ti spara per un cognome o per essere nato in una o in un'altra famiglia.

Poi scenderà la notte e si addormenterà sorvegliato dai suoi amici a quattro zampe di varie dimensioni, a meno che non trovi nessuno con cui parlare.
Buona notte Antonino, nessuno sfiderà le zanne dei cinghiali o un branco di lupi per venire a farti del male. E se mai dovesse provarci, un gatto ti avviserà con i suoi occhi che vedono nel buio oppure un cane selvatico ti avviserà ululando alla luna.
Buona notte Antonino! Dormi bene nella tua pineta.
 

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Commenti NON Abilitati per gli utenti non registrati
Commento di: Elvis_ il 26-01-2011 14:29
bello bello bello mi affascinano queste cose !!!!!
Commento di: gasgas78 il 26-01-2011 17:21
brividi!
Commento di: Botta14 il 26-01-2011 21:28
Davvero molto bello
Commento di: Andrea95 il 28-01-2011 19:40
bella......inquietante...
Commento di: damianus il 30-01-2011 19:05
complimenti veramente..!
Commento di: Ospite il 30-01-2011 20:08
bella davvero, scritta molto bene!
Commento di: alekabi il 16-02-2011 21:17
Bellissimo, complimenti mi hai fatto sottosotto commuovere.
Commento di: alekabi il 16-02-2011 21:23
E non ci scordiamoci che "la caratteristica delle leggende è che a volte sono vere". ;)
Commento di: motodome62 il 21-07-2011 14:28
Che belle storie. Chissà dove nascono queste storie, resta il fatto che dopo averle lette, pensi al bambino e provi tenerezza e stasera quando rivedrò i miei piccoli figli, dorò una carezza a loro in più anche per lui.
motodome