Tecnica
Dal freno a Tamburo al freno a Disco
Scritto da LucaRs125 - Pubblicato 18/01/2006 08:27
La fine degli anni Sessanta e tutti gli anni settanta furono, sia per i piloti sia per i motociclisti da strada, un’epoca di grande miglioramento della sicurezza...

Le nuove tecnologie crearono infatti sia un sistema di frenatura che, pur non essendo innovativo, consentì una grande evoluzione: il freno a disco.

Il freno a disco venne brevettato nel 1902 da Lanchester e sviluppato in seguito da diversi fabbricanti, fra i quali si distinse Herbert Frod (Ferodo). La prima casa in assoluto che equipaggiò una moto di serie con un impianto frenante a disco con azionamento idraulico fu la Honda, nel 1969.

Il principale vantaggio di questo sistema di frenatura era la sua concezione e il sistema di azionamento, totalmente esterno. Con esso scompariva il principale problema dei freni a tamburo, il surriscaldamento, e la conseguente perdita di rendimento.

Lo schema del freno a disco è molto semplice, molto più di quello del tamburo.
Quest’ultimo, conosciuto come “sistema di espansione interna”, funziona partendo da un cilindro metallico (il tamburo) che gira al centro della ruota, al cui interno è alloggiato un sistema di pattini ricoperti di materiale abrasivo che producono attrito quando sono premuti contro la superficie del tamburo e rallentano la velocità di rotazione della ruota.

Il principio di funzionamento del “nuovo” sistema è lo stesso: consiste in un disco - normalmente metallico - fissato alla ruota, sul quale viene collocata una pinza che, fissata al telaio (forcella o forcellone) ha due pasticche che stringono il disco riducendo per attrito la velocità.

Il principale vantaggio introdotto negli anni Settanta fu l’azionamento idraulico e l’impiego di materiali più resistenti, affidabili, leggeri che portano a un effettivo miglioramento.
Così, se i primi dischi utilizzavano un sistema meccanico poco efficiente, l’avvento dell’impianto idraulico permise di supplire con più potenza di spinta allo svantaggio tecnico del disco rispetto al tamburo, che vantava una superficie di attrito maggiore.

Dai primi freni a disco con pinze con un solo pistoncino alle attuali con sei pistoncini opposti, l’evoluzione è stata continuata, passando per i dischi doppi, i perforati, le pinze con due pistoncini paralleli, quattro opposti, ecc. Le combinazioni sono state e sono numerose e si sono accompagnate ad un ulteriore miglioramento dei materiali.

L’introduzione dei freni a disco non fu un punto di arrivo ma un punto di partenza per lo sviluppo e la ricerca nel settore della frenatura, che come sempre accade ha visto successi e veri e propri fiaschi.
Fra le proposte più sfortunate deve essere menzionato il sistema “Inboard Disc” della Honda, che consiste nel collocare parzialmente il disco e la pinza all’interno del cerchio ruota e coprirli totalmente.
L’invenzione pretendeva, soprattutto, di ottimizzare il comportamento del disco e delle pastiglie in condizioni di pioggia, però fallì per problemi di temperatura, in quanto il raffreddamento era praticamente nullo. Successivamente, l’impiego di nuovi materiali per la costruzione delle pastiglie e dei dischi risolse l’inconveniente.

Il materiale più efficace scoperto per fabbricare i dischi è la fibra di carbonio. Questo materiale composito si utilizza solo nelle competizioni e offre il miglior “mordente” possibile, sebbene abbia anch’esso il suo tallone di Achille: è molto più caro dell’acciaio e funziona correttamente solo a una temperatura costante ed elevata, per cui utilizzarlo normalmente risulta quasi impossibile.

 

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Commento di: andreaspr il 18-01-2006 10:07
interessante davvero come articolo... quelle cose che mai mi ero chiesto come fossero nate!!! bell'idea luca quella di scriverlo.... davvero!!!
Commento di: corry88 il 18-01-2006 14:57
davvero un bell'articolo, è anke molto interessante soltanto guardando il titolo! x questo l'ho letto... bravo!
Commento di: de_corsa il 10-02-2006 13:12
una serie di piccole precisazioni:


...pattini ricoperti di materiale abrasivo...

il materiale d'attrito non è da considerare, né dev'essere, "abrasivo" (se lo fosse, una pista di frenaggio durerebbe ben poco) ma solo materiale che, a fronte di un'abrasività MINIMA, offra un attrito MASSIMO.
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...l’avvento dell’impianto idraulico permise di supplire con più potenza di spinta allo svantaggio tecnico del disco rispetto al tamburo, che vantava una superficie di attrito maggiore...

quest'affermazione è contraddittoria: se a parità di carico applicato aumentiamo la superficie di contatto la pressione specifica diminuisce e quindi diventa uno svantaggio!

il vantaggio del disco risiede nella geometria vettoriale delle forze applicate: senza avventurarsi in dimostrazioni meccaniche provate a immaginare di dover frenare un tamburo ed un disco... direttamente con le dita!
è intuibile di come sia molto più meccanicamente efficace "pinzare" un disco che far espandere dall'interno delle masse d'attrito.
tanto più che s'interviene in modo da impedire un assorbimento elastico della forza applicata (il tamburo, sollecitato dall'interno, tende a cedere espandendosi. mentre il disco è sollecitato da due forze convergenti contrapposte e non ha una deformazione elastica apprezzabile)
a questo punto un tamburo potrebbe anche essere azionato idraulicamente per compensare lo svantaggio strutturale ma il vero vantaggio del freno a disco non è la potenza ma la sua modulabilità, o progressione: i tamburi o frenano poco o tendono al bloccaggio, c'è poco da fare!

Fra le proposte più sfortunate deve essere menzionato il sistema “Inboard Disc” della Honda, che consiste nel collocare parzialmente il disco e la pinza all’interno del cerchio ruota e coprirli totalmente.
L’invenzione pretendeva, soprattutto, di ottimizzare il comportamento del disco e delle pastiglie in condizioni di pioggia, però fallì per problemi di temperatura, in quanto il raffreddamento era praticamente nullo. Successivamente, l’impiego di nuovi materiali per la costruzione delle pastiglie e dei dischi risolse l’inconveniente.


il sistema tentato dalla Honda non aveva il presupposto di far lavorare bene i dischi con la pioggia (per questo è sufficiente una corretta foratura) ma di utilizzare, celati, dei dischi in ghisa che, rispetto agli acciai cromati dell'epoca, offrivano una bella quota di coefficiente d'attrito in più!
infatti gli impianti delle moto italiane erano allora molto più efficienti di quelli giapponesi per il solo fatto di avere i dischi in ghisa.
che però arrugginivano immediatamente fuori dalla fabrica (salvo lucidarsi a specchio sulle piste frenanti)
per i nippo era più importante l'estetica che qualsiasi altra considerazione e si sono ostinati tanto fino a produrre degli acciai inox con un buon coefficiente d'attrito. tra l'altro utilizzabile in spessori dimezzati rispetto alla ghisa, con vantaggi sul peso e sul raffreddamento.