Moto
L’officina di Gianni
Scritto da madux - Pubblicato 19/03/2007 16:17
E' qualcosa che appartiene ad altri tempi: vi si respira un’aria particolare dovuta al mix di odori che traspira dalle vecchie pareti scrostate e tappezzate di poster sbiaditi.

Montagne di riviste, barattoli di bulloni, utensili sparsi dappertutto, tute imbrattate e il fumo stagnante delle poche sigarette che fuma creano un’atmosfera unica.

Gianni ha circa la mia età ed abbiamo pressappoco gli stessi ricordi di certi periodi della vita, la pubertà e la giovinezza, in cui sono piantate le radici del nostro essere come siamo oggi. L’ho conosciuto per caso: un dirigente del motoclub al quale sono tesserato me lo ha presentato quando, insieme a mio figlio, abbiamo deciso di costruire di sana pianta un “cinquantino”partendo da un motore Minarelli P4 a testa radiale recuperato da un Fifty Malaguti disastrato acquistato per 50 euro.

Le prime visite sono state abbastanza formali: Gianni è uno che parla molto poco. Giorno dopo giorno, però, a mano a mano che il mezzo prendeva forma, abbiamo preso a ricordare insieme i nomi, le strade, le mitiche cronoscalate Isola del Liri - Arpino che vivevamo come l’evento dell’anno in quei tempi ormai lontani. Mio figlio ascolta interessato i nostri discorsi e fa domande circa i mezzi di quei tempi.

Ieri pomeriggio è venuta fuori una storia che tanto tempo fa mi vide protagonista e che ancora oggi molti ricordano. Gianni, dopo una battuta sarcastica di mio figlio sulle mie capacità di guida, ha raccontato di quella volta in cui, con la mia Honda CB550 Four, la stessa che ho in garage e che Marco conosce bene, diedi “la paga” ad un fanatico detto “Il biondo” che correva in pista e andava vantandosi con tutti per le capacità sue e del mezzo superpreparato per quella salita (un Husqvarna tipo supermotard) a sua disposizione.

La sfida partì dalle sue parole taglienti come la lama di un rasoio pronunciate in modo sprezzante quando, in pantaloncini corti e ciabatte, mi affacciai all’officina di “Claudio Kanemoto” in sella alla mia Honda, con attaccata al manubrio la spesa appena fatta al supermercato. “Non ti vergogni ad andare in giro con quel cesso?” sibilò sorridendo. Lo guardai sorridendo a mia volta e gli chiesi cosa avesse da giocarsi, mentre un capannello di curiosi prese a formarsi. Con un cenno del capo indicò il “mostro” parcheggiato fuori. Scesi dalla moto, tolsi il “silenziatore” al “quattroinuno” (la borchia di un lavandino da bagno che avevo adattato per ridurre lo scarico ed il rumore), poggiai la spesa su una sedia e misi in moto. La “salita di Arpino”, terra classica delle nostre sfide, era proprio li vicino. Lui indossò il casco integrale, i guanti, si allacciò il giubbetto e mise in moto a sua volta.

Ci mettemmo d’accordo sul punto di arrivo e, mentre ancora parlavamo lui partì. Colto di sorpresa feci una fatica del diavolo per arrivargli dietro, mi ci vollero due curve sulle 11 a disposizione. Guidava bene e la moto lo assecondava: ad ogni curva metteva il piede fuori e mi chiudeva in tutti i modi, ma gli stavo alle costole. Mancavano solo cinque curve quando lo feci fuori all’interno: aveva allargato un pelo di troppo. Scaricai tutta la potenza del mio motore preparato con cammes “Yoshimura artigianale”, quattroinuno arrangiato e getti più grandi. Arrivai davanti alla curva successiva e da lì non ci fu più storia: la mia moto era magica ed io diventavo una cosa unica con lei in quelle curve.

Il ritorno fu una goduria unica mentre l’adrenalina a mille mi faceva vibrare da capo a piedi. Arrivati in officina, la piccola folla che ci attendeva non si poteva capacitare di come fosse stato possibile: “Il biondo” che si allenava tutti i giorni su quella strada e girava in pista con Faloppa (o almeno così diceva) battuto da uno in pantaloncini e ciabatte con un’Honda quasi normale! Aveva gli occhi fuori dalle orbite quando bestemmiando e chiedendo rivincite da farsi “con tutti i mezzi e su tutte le strade”, mi consegnò il libretto di circolazione della moto che avevo appena vinto. Non risposi: lo rigirai fra le dita per qualche secondo e lo buttai su una sedia, rimisi il silenziatore, riappesi la busta della spesa al manubrio, misi in moto e me ne andai. Dopo quella volta altri ci vollero provare... ma questa è un’altra storia.

P.S. Molti criticheranno quello che ho scritto: la sicurezza prima di tutto ecc. ecc.. Avete ragione: a mio figlio infatti insegno giorno dopo giorno con l’esempio come comportarsi e come rischiare meno possibile quando si và in moto ed il cinquantino lo userà solo in pista e quando sarà il momento, ma quella volta andò così e dentro di me quelle sensazioni sono vive e vegete e fanno parte dell’esperienza che oggi mi permette di essere prudente e godermi la moto per quello che è: il mezzo più bello del mondo.
 

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Commento di: DieciOrsi il 19-03-2007 16:28
Bellissimo racconto. 5 stelline per l'ambientazione e l'atmosfera che hai saputo trasmettere.
Chiudo un occhio sul discorso sicurezza :-)))) Ti dichiari pentito e quindi voto alto :-))
Commento di: danibarge il 19-03-2007 19:10
Ormai ogni volta che trovo un tuo racconto lo leggo tutto con la massima attenzione, per non perdermi nessun particolare di quelle emozioni che riesci a trasmettere.. Ancora un dieci e lode per quello che scrivi e per come lo scrivi, ha qualcosa che mi ricorda molto i racconti di Stefano Benni.
Per quanto riguarda la sicurezza, credo che chi ha vissuto quei periodi lì, nemmeno si provi a mettere in discussione e colpevolizzare le "zingarate" che venivano fatte.. E se restano nel tempo certi ricordi molto intensi e pieni di emozione, è anche "grazie" a una certa dose di incoscienza, dovuta pure alla mancanza di regole, che oggi forse abbondano..
Ma io mi chiedo... stiamo davvero tanto meglio adesso?
Commento di: indesmoniato il 19-03-2007 22:52
bhe in quanto alle troppe regole se ci pensate non sono nemmeno poi lontani gli anni in cui ce n'erano ma si rispettavano molto meno..io ho 23 anni e ricordo che fino a circa 8 anni fa andavo ogni mattina con mio fratello a scuola in due col cinquantino, e facevamo 30 km andata ritorno senza ovviam il casco. mi ricordo che la legge c'era ma chi ti fermava mai.. adesso appena fai qualche cappellata o metti il muso fuori senza casco ti beccano dopo 200m, ma forse e' meglio cosi', si sa i tempi cambiano. comunque ho postato il commento a parte questa parentesi per fare i complimenti a quest'uomo, MADUX, che ogni volta che scrive sa trasmettermi( e penso un po' a tutti) delle emozioni davvero rare e molto prelibate. ho gia' commentato in un altro articolo del madux chiedendo semmai avesse mai pensato a fare lo scrittore poiche' credo che egli abbia delle doti che non sono comuni e non si imparano a scuola ma non ho ricevuto risposta... anche se come scrisse qualcuno infondo "non sei tu a scegliere la scrittura, ma e' la scrittura a scegliere te" (C. bukowski)comunque, da vivo appassionato delle buone letture, complimenti davvero continua cosi'. un lampeggio

Marco
Re: L’officina di Gianni
Commento di: ghostrider il 22-03-2007 10:16
Dopo quella volta altri ci vollero provare.. ma questa è un'altra storia...
Complimenti del bel racconto tra l'altro scritto molto bene, ora vogliamo il seguito!
Commento di: stive882003 il 25-03-2007 17:58
veramente un bel racconto. 5 stelline anche per l'ottimo italiano(meglio di alcuni libri)
Commento di: facciolino il 13-04-2007 13:59
è vero papà,l'officina di gianni è magica,soprattutto perchè voi due la riempite con lo spirito dell'epoca.
Marco