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La ricotta di Zinal
Scritto da choke - Pubblicato 07/08/2011 17:07
Politicamente scorretto? Forse...

La ricotta di Zinal. Ha un sapore particolare, semplicemente sa di formaggio, o meglio, sa di ricotta.
Se ne sta li buona buona, su grossi tavoloni di legno, insieme a splendide forme di formaggio stagionato. Nell’oscurità. La signora ti apre la porta. Spalanca una finestra su un mondo dominato dalla pace dei sensi. Inizialmente fatichi ad abituarti al buio della stanzetta e quindi solo il tuo naso ti avverte di tutto quel ben di dio che a breve si materializzerà, in bianco e nero, davanti ai tuoi occhi. Ricotte, ricotte, ricotte…. La ricotta di Zinal si scioglie in bocca, persino una ricotta intera, se hai molta fame…

Luglio. Pisa. 32 gradi all’ombra. Quale ombra? Una moto dal meccanico si sta sottoponendo ad un’operazione di alta chirurgia. Un trapianto a dire il vero. Due belle gambe nuove, due ginocchia a forma di molla verranno impiantate nella mia buon vecchia Kawasaki. 58000 chilometri e non sentirli, o quasi… L’altra, l’italiana, non è messa tanto meglio. Senza scarpe e pure lei con le ginocchia ballerine.
Me ne sto sdraiato pancia in giù. Il tappeto ispido dell’Ikea mi buca la pancia sudaticcia mentre sono intento a segnare itinerari sulla cartina dell’Italia. Solo quelli percorsi in giornata, senza interruzioni. La Brindisi Pisa dell’estate scorsa: 1200 km di appennino, in solitaria, su un motard 400 cc. Dieci pieni di benzina, 19 ore in sella. Il col della Bonette con rientro per il Monginevro, 1280 km, più di 20 ore ininterrotte di guida. E molti altri… E’ allora che vedo quella stradina, piccola piccola, a fondo cieco. Un bacherozzolo sulla mia cartina grande come un lenzuolo. In fondo a quel vermicello verde un nome: Zinal…

Tempo una settimana e quattro cilindri sibilano dolcemente scorrendo quasi senza attrito, come una palla da bowling, su un nastro nero, nel nero della notte. Un fioco faro giallognolo illumina l’autostrada davanti a me. Non ho dormito. Non potevo farlo. Non lo faccio mai prima di queste partenze. Sono un tipo emotivo io. Non posso dormire sapendo che devo assolutamente dormire. Però mi addormento non appena so che non devo dormire. Mi sono addormentato alla guida di ogni mezzo, dalla macchina, al camper, alla moto. E ogni volta sono morto. Contro un guard-rail, in faccia ad un camion, in una scarpata. Ma ogni volta una mano dal cielo, gentilmente, mi ha preso per la collottola e mi ha depositato nel punto fatidico un attimo prima dell’impatto, dandomi un leggero scossone per svegliarmi. Così, ogni volta, decine, centinaia di volte sono tornato a vivere. E ogni volta mi è rimasta dentro quella sensazione, irreale, di essere effettivamente morto. Non so se ho procurato una strage, non mi curo del fatto che altre persone possano essere morte a causa mia, non mi chiedo se anche a loro è stata data una possibilità. Forse si, ma non ha importanza.

Sono le due quando inforco il primo casello, sono circa le sei quando lascio l’autostrada. La giornata inizia adesso. Dopo 10000 sbadigli dentro un casco sudaticcio, due colazioni, altrettante pisciate con relativo lavaggio della visiera e un’infinità infinita di pensieri. Una evidente contraddizione, visto che alla fine, forse, guido la moto per non pensare.
Quando percorri una strada tutta curve la testa si svuota e prendono il predominio altri circuiti, quelli riflessi. Che non raggiungono la fase cosciente. Non pensi: ecco la curva, ora mi sporgo all’interno e piego la moto. Semplicemente guardi avanti e la moto va, come fosse collegata al tuo io tramite una rete neurale. I comandi al manubrio sono estensioni delle tue braccia. La moto non farebbe mai qualcosa che tu non le dici di fare. Questa esplosione di neurotrasmettitori, accensione e spegnimento di circuiti, scorrere di impulsi, annienta il normale sviluppo dei pensieri. Il cervello è come una fotografia controluce, sovraesposta. Quando il sole entra nel campo della visuale, tutto il resto diviene ombra, c’è ma non si vede. Non in autostrada, però.

Se c’è una cosa pericolosa è viaggiare a velocità codice in autostrada. Dico io, ma come si fa a vietare alle moto di viaggiare oltre i 130 km orari? E’ pericolosissimo! A quella velocità possono succedere molte cose, dalla distrazione al colpo di sonno. In effetti, quando senti la stanchezza prendere il sopravvento puoi fare solo due cose, se non vuoi fermarti: inforcare la prima uscita sperando di ritrovarti su una strada tutta curve o girare la manopola del gas. Spalanchi fintanto che devi lottare per rimanere schiacciato con la testa contro la forza del vento. Fili concentrato per evitare che una piccola inezia possa sbalzarti fuori di sella e lanciarti dritto all’altro mondo. Non puoi proprio addormentarti a 200 km orari, in galleria, mentre sorpassi una lunga fila di TIR. No, questo non accadrebbe mai, nemmeno se tu fossi stanchissimo da non riuscire a tenere gli occhi aperti…
Ogni volta, il mio desiderio è di lasciare l’autostrada all’alba. La giornata inizia qui del resto. Ma ogni volta, il sorgere del sole mi sorprende quando sono ancora ben lontano dal casello, pazienza mi dico.

La strada per la valle di Anniviers sale piuttosto ripidamente, un susseguirsi di rettilinei e tornanti, come sono spesso le strade svizzere. Viste dall’alto sembrano le scale mobili di un grosso centro commerciale. Poi la valle si restringe e il piccolo nastro asfaltato sale intagliato nella roccia, sopra profondi dirupi; per brevi tratti si infila dentro la montagna.
Sono stanco. Con sollievo, mi appare l’ampio parcheggio dove si esaurisce la strada poco oltre il piccolo paese, che riconosco molto bene. Penso che per qualcuno raggiungere questo posto in moto, così da lontano, significherebbe aver vissuto una vera e propria avventura. E questa avrebbe avuto ancora più senso se condivisa con altri.

Questo luogo ha qualcosa di magico, come molti altri posti sperduti in fondo a vallate senza sbocco simili a questa.
E’ piuttosto tardi, quasi sera. Vedo la casetta di legno. Alcuni turisti entrano, altri vi escono con forme di formaggio in mano. Scendo di moto, attacco il casco alla manopola del gas, come faccio sempre, e mi sdraio sul prato.
Le montagne, quelle vere, alte, da qua si intravedono appena, vi siamo troppo sotto. Ci vuole una sensibilità particolare per percepire, con chissà quale senso, ancor prima che con la vista, la presenza del Weisshorn, una delle montagne più belle delle Alpi. La più alta del Vallese. Sta li dietro, lo so bene. Ne sento il respiro. L’aria che scende dal versante nord ovest si fredda rapidamente. Ma il brivido che sento non è causato dal freddo…
Più avanti, una stradina sterrata si approfondisce nel fondovalle sparendo lontana alla vista. Mucche pascolano libere. Brucano erbetta fiorita. Dove finisce la strada inizieranno sentieri e questi si esauriranno nel regno dell’alta quota, dove la vita è scandita dal buonsenso prima ancora che dalle leggi dell’uomo. Freddo, vento, ghiaccio, nebbia, sole, buio dettano le regole. Lassù, in fondo, la valle è sbarrata da una possente muraglia rocciosa. La Dent Blanche, l’Ober Gabelhorn e lo Zinalrothorn, tre dei numerosi 4000 del Vallese mostreranno il loro lato B. La loro faccia più impervia. Sporca come una coscienza.

Il parcheggio sterrato si sta svuotando lentamente. I visitatori, gli alpinisti, le famiglie venute fin quassù per il pic-nic scendono a valle come l’acqua del torrente: inesorabilmente.
Un gruppetto di alpinisti ha fatto crocchio poco più avanti. Parlano una lingua incomprensibile ma pare che tra loro si capiscano. Hanno grossi zaini, grosse scarpe, grossi rotoli di corda elegantemente rifilata e tanta ferraglia: piccozze, ramponi caschi, attrezzi vari. Sembrano stanchi, alcuni si sdraiano sul prato. Hanno i capelli umidi. Sudore o pioggerella di alta montagna? Poco oltre, altri due alpinisti, un ragazzo e una ragazza si fermano, posano anche loro a terra l’attrezzatura e trovano la forza di salire alla casetta di legno. Dopo poco vi escono con delle bustine in mano, dalle quali pescano del cibo bianco e morbido con il quale si riempiono voracemente le bocche. Sorrido.

Non ho il ricordo di aver pensato di andare via, ma mi ritrovo con il casco allacciato. Con la mentoniera aperta. Non guido mai con la mentoniera aperta. Faccio un rapido conto delle ore che impiegherò a tornare. Sarò a Pisa la notte successiva a quella in cui sono partito. Chiudo la mentoniera ma non la visiera. Guardo ancora la casetta di legno. I miei occhi si girano mentre la moto piano piano scende verso valle. Rimangono fissi su quella porticina di legno. Chiudo la visiera e giro il polso destro. Come per magia una forza poderosa mi spinge verso valle…
 

Commenti degli Utenti (totali: 10)
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Commenti NON Abilitati per gli utenti non registrati
Commento di: JO195 il 07-08-2011 18:40
.... complimenti, narrazione avvincente come nei migliori romanzi. E complimenti anche alla ricotta di Zinal. Psilocibe e formaggio vanno d'accordo. Buona strada e felice estate. Gio'
Commento di: Maurizio60 il 07-08-2011 23:32
Ho letto con molto interesse il tuo racconto.. ottima narrazione, complimenti!!!

Buona Strada Sempre!
Commento di: _UBER_ il 08-08-2011 08:23
Ciao Cesco! Ho letto il tuo racconto tutto d'un fiato, avendo davanti l'immagine della tua simpatica figura... Complimenti, mi è piaciuto.
Ma scusa... perchè una Kawa e non una Guzzi?!?!?!?
Non che cambi molto eh...
Al prossimo Giau!!! ;-)
Commento di: evo3 il 08-08-2011 18:39
Ho letto poche righe poi ho desistito: me lo racconti a voce :-)

Ciao!!!!
Commento di: choke il 08-08-2011 19:35
Grazie a chi ha avuto voglia di leggermi (e grazie anche a evo3 che almeno c'ha provato). Mi fa piacere che abbiate trovato piacevole il mio racconto.
@uber: la vera compagna di scorribande ad ampio raggio è la kawa (anche perché la guzzona divora le gomme...). Spero che ricapiti di fare un giro insieme.

Saluti a tutti!
Commento di: Dani75 il 09-08-2011 09:35
Ciao Choke, bellissimo racconto! Mi piace molto la tua (auto)ironia!
Un guaio però: mi hai fatto venire voglia di fare un lungo giro in moto... Questo il martedi mattina, quando mancano ancora tre lunghissimi giorni al prossimo fine settimana!

Buona strada
Commento di: Desmorebel il 09-08-2011 14:48
Semplicemente stupendo e scorrevolissimo, bravo veramente.
Commento di: SparklePlenty il 11-08-2011 00:51
Buona la ricotta
Commento di: Ugo51 il 11-08-2011 21:44
"[...] E ogni volta sono morto. Contro un guard-rail, in faccia ad un camion, in una scarpata. Ma ogni volta una mano dal cielo, gentilmente, mi ha preso per la collottola e mi ha depositato nel punto fatidico un attimo prima dell’impatto, dandomi un leggero scossone per svegliarmi. Così, ogni volta, decine, centinaia di volte sono tornato a vivere [...]"

questo non lo dimenticherò mai! complimenti, complimenti, e ancora complimenti.
brividi....
Commento di: 1MetroDaTerra il 12-08-2011 11:33
"Penso che per qualcuno raggiungere questo posto in moto, così da lontano, significherebbe aver vissuto una vera e propria avventura. E questa avrebbe avuto ancora più senso se condivisa con altri. "

Qual'è il problema?! ..basta chiedere e l'avventura è fatta!!

....e la ricotta merita veramente, non tanto per la ricotta, quanto per il paesaggio meraviglioso!

Alla prossima!